Dopo l’anteprima apparsa ieri su MilanoNera de La principessa di ghiaccio, pubblichiamo, per gentile concessione di Marislio editore, un’intervista esclusiva alla scrittrice svedese.
Camilla Läckberg, come è arrivata a scrivere gialli? E perché ha scelto proprio il giallo?
Per me non è stata una scelta. Ho sempre amato le storie poliziesche e scrivere gialli è sempre stato il mio sogno. Fin da piccola ero affascinata da questo genere, forse perché amo il lato oscuro delle persone…
Lei ha frequentato un corso di scrittura. Molti criticano tali corsi, sostenendo che non insegnano a scrivere. Qual è la sua opinione in proposito?
In effetti, nel 1998 la mia famiglia mi ha regalato l’iscrizione a un corso di scrittura di polizieschi. E’ allora che ho iniziato a scrivere La principessa di ghiaccio. Ho finito il romanzo in due anni e l’ho spedito a una casa editrice. Pensi che ho firmato il contratto solo cinque giorni dopo averlo inviato, un vero record! Sembra una favola, e invece è andata proprio così. Per tornare alla domanda, trovo così strano che si abbia questa opinione riguardo alla scrittura. Per tutte le altre forme d’arte – pittura, musica ecc. – nessuno si stupisce che si debbano passare anni in una scuola per apprendere le tecniche. Per la scrittura è esattamente lo stesso. Certo, bisogna avere innanzitutto talento, ma lo si può sviluppare seguendo delle lezioni o leggendo libri.
Cosa serve per fare un buon giallo?
Due cose: credo che bisogna caratterizzare i personaggi con la stessa cura che per qualsiasi altro romanzo. E ci vuole un buon intreccio, intelligente, che il lettore possa risolvere. Detesto quando il lettore non ha alcuna chance di trovare il colpevole. Non è leale!
Molti grandi autori di gialli e thriller – da Henning Mankell a Stieg Larsson – oggi vengono dalla Scandinavia. Come se lo spiega?
Abbiamo lunghi inverni cupi! A parte gli scherzi, abbiamo una lunga tradizione nel genere che risale a Sjöwall e Wahlöö negli anni Settanta. Credo anche che siamo un popolo della malinconia. Siamo persone riservate che cercano sempre di mantenere il controllo sulle cose. Ma le emozioni umane, più uno cerca di tenerle sotto controllo, più succedono cose drammatiche. Ecco la vera nozione di dramma.
Perché ambienta i suoi romanzi nel villaggio portuale di Fjällbacka?
Sono sempre stata più interessata alle piccole società. Per quanto riguarda il crimine, non sono attratta dalle storie di gangster e terroristi. Preferisco le microprospettive, le vicende di uomini comuni. In un piccolo paese, dove tutti conoscono tutti, ci sono molti pettegolezzi e piccoli risentimenti. Trovo interessante questa atmosfera di tensione permanente.
La sua eroina Erica Falck somiglia più a un personaggio di Desperate Housewives o a Bridget Jones che a una protagonista di thriller…
Ho sempre voluto renderla molto normale; non è una top model, non è né brutta né bella, è proprio come la ragazza della porta accanto. Volevo che il lettore avesse l’impressione di poterla avere come amica nella vita reale.
Perché ha scelto di scrivere una serie?
Sapevo fin dall’inizio che stavo iniziando a scrivere una serie. Mi interessa seguire i miei personaggi nel corso degli anni. Io stessa non so cosa gli capiterà nei prossimi episodi. Una delle gioie della scrittura è scoprirlo. Per me sono veri amici.
Lei ha avuto un successo straordinario, ha cambiato la sua vita?
La differenza più grande è che oggi non ho capi al di fuori di me stessa. Lavoro quando voglio e non devo più andare in ufficio, cosa che non amavo molto. A parte questo, la cosa più inquietante è venire riconosciuta per strada, e dover fare attenzione ai tabloid…
Non avverte una maggiore pressione quando scrive?In realtà, provo piuttosto il contrario: è un privilegio scrivere sapendo che si hanno tanti lettori che aspettano il prossimo romanzo. Non ho più i momenti di scoramento che mi prendevano all’epoca del primo libro, quando mi continuavo a domandare se aveva senso passare così tanto tempo a scrivere. Oggi so che non lavoro per niente.