Paranormal Activity: di nome ma non di fatto

Se è incontestabile che ci sono più cose tra cielo e terra che nella somma delle due dimensioni è altrettanto vero che una bufala cinematografica, se veicolata in maniera idonea può arrivare a sbancare i botteghini.
Porte che sbattono ed una coppia di Yankess bombati ad estrogeni di junk food con lei dallo sguardo bovino più di una mucca da latte e lui reso catatonico da ore di cable TV, possono decretare il successo della stagione.
L’operazione commerciale è stata articolata e complessa. Cominciata serpeggiando sui blog dove sono stati lanciati indizi.

A distanza di due mesi i promo hanno affollato le sale cinematografiche e le tv di genere con inquietanti coming up. Novanta minuti di terrore puro. Da far sembrare acqua fresca la zuppa di piselli vomitata dal Linda Blair nell’esorcismo del 73.

In realtà la campagna mediatica ha mosso tanto rumore per nulla.
Fatto sta che il ruffiano conto alla rovescia trasversale e su più canali di Paranormal Activity ha incassato oltre cento milioni di dollari. Cifra ragguardevole per un film no budget costato quindicimila dollari e home made, nel senso letterale del termine visto che la location è l’appartamento del regista.

Girato con due digitali, una fissa su un totale ed una seconda usata come soggettiva dei due malcapitati.
Lampadari che tremano e strane presenze sono il leit motiv dell’horror venduto come il delfino della strega di Blair. Stessi veicoli di promozione, riprese e montaggio affine ma differente presa sul pubblico.
Dopo un primo urletto in sala (indice di stabilizzazione del parterre) comincia un fruscio di fondo sinonimo di disinteresse. Il motivo è presto spiegato: se gli adolescenti inseguiti dalla strega si trovavano all’interno di un videogioco privo di cornice attraversando boschi più estesi della teutonica foresta nera, qui i nostri sono confinati in una casa che potrebbero vendere in seguito alla prima notte in compagnia.

Capita a tutti, prima o poi nel percorso dei traslochi, di incontrare dei vicini da incubo. Invece i nostri due recidivi ripudiano il cartello “in vendita” e si ostinano a filmare notte dopo notte i fenomeni paranormali.
Nonostante un esperto del settore venga consultato, rivelando loro che quello che li tormenta non è un semplice fantasma, ma un demone che si ciba di energie negative.
Micah decide allora di piazzare una videocamera nella loro stanza da letto per vedere quello che accade mentre dormono, scoprendo realtà inquietanti.

Il film, reiterato nell’arco di una sequenza di notti, va a colpire il momento più vulnerabile della vita di una persona: il sonno. Le lenzuola si muovono, si odono strani rumori, le ombre si addensano. La casa diventa un bozzolo mortale isolato dal mondo, in cui gli altri penetrano solo alla luce diurna lasciando i due prigionieri della notte e del misterioso persecutore della ragazza.

Si può dire che il regista, nerd indefesso e vero Merlino del montaggio digitale, abbia trascurato pressoché in toto la sceneggiatura.
Nel complesso il meccanismo regge per merito della campagna di lancio basata sulla sollecitazione del desiderio di paura da parte del pubblico. Ciò che spaventa, attrae, non è una novità.

Peccato che qui l’unico a spaventarsi sia il proprietario dell’Odeon, quando a dieci minuti dalla fine della proiezione per sbaglio, viene chiuso il sipario e alzate le luci.

Qualcuno dal loggione grida “non svegliate il demòn che dorme”. Come ha ragione.

bea buozzi

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