Novelle col morto



Gaia Conventi
Novelle col morto
betelgeuse
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Le “Novelle col morto” di Gaia Conventi sono due racconti lunghi intitolati  “Quarti di vino e mezze verità”   e “La locanda del Giallo”.

Nella prima storia, la scrittrice ferrarese punta il proprio vivace e mordace interesse sul giallo storico, sbeffeggiandone con grazia i cliché e i luoghi comuni, per confezionare il proprio modo – scanzonato, ma al tempo stesso colto – d’intendere il genere medesimo.

Con il secondo racconto, del quale ci occupiamo in questo commento, Gaia s’avventura in un campo (meglio sarebbe dire in un’ansa del fiume, ove l’immaginazione dell’autrice situa Arginario Po) a lei congeniale, se è vero che l’autrice rappresenta una delle penne più appuntite del web nella satira editoriale.

 La trama: in una locanda durante un decadente festival dedicato al giallo convengono quattro scrittori (“Strana razza, quella degli scrittori”), che lì pernottano in attesa dell’evento. Ma, la mattina, “il delitto è servito” (“La testa della defunta era calata sulla tastiera di un portatile”) e lo spirito imprenditoriale del locandiere (“Giusto Onesti… non era né giusto né onesto…”) ha un’intuizione (“Sta per arrivare la tv, abbiamo un cadavere e quattro giallisti”): risolvere il caso significa fare pubblicità al festival  (“Il festival stava andando a rotoli e quel delitto era una manna dal cielo”) e restituirgli lustro. Per dirla con la nostra: “A indagare saranno proprio gli scrittori, invitati a ciarlare di gialli su di un banchetto addobbato in carta crespa, e ognuno di loro potrebbe trarne un beneficio, uno spot gratuito ad ampio spettro. Nessun cartonato in libreria potrebbe fare tanto!”
Un po’ cena con l’assassino (“La cuoca stava tentando di avvelenarli tutti”?), un po’ “delitto nella stanza chiusa” alla Agatha Christie, il plot rappresenta una ghiotta occasione per delineare quattro tipologie di scrittori (“quattro cialtroni… sembravano soltanto quattro zucconi”): l’antica gloria che vive di ricordi (“Iduccia Parlapiano, forte dei tanti morti in calzebrache  e cotta di maglia con cui aveva infarcito i suoi romanzi, mal tollerava il resto del repertorio giallistico. Gente sfacciata e nuda che dice parolacce e non sa crepare con stile, roba da bifolchi”), la velina che si affida a virtù non soltanto letterarie (“Ludmilla Fox, giovane scrittrice di gialli erotici che Iduccia trovava assolutamente illeggibili”), l’affascinante scrittore di successo in crisi creativa (“Il bel Giuffré era autore di numerosi bestseller, ma sembrava aver perso il tocco magico”) e l’emergente con l’immancabile capolavoro nel cassetto (“Mariolino Millusi era un promettente giallista reduce dalla vittoria al famoso Misteryfest di Gambettola”).

Sarcastica caratterista, con umorismo vispo (“Con l’altra mano muoveva pigramente un ventaglio. Vezzo che nell’ambiente le era valso l’attributo di sventola”) e attento al buon gusto (“I giocatori mettevano in mostra i muscoli. E, sia detto, in quanto a pettorali la Fox partiva avvantaggiata”), Gaia Conventi dà libero sfogo alla propria vocazione per la farsa, imbastendo tra gli autori dialoghi al vetriolo e irridendo le magagne dei generi (“E anche l’erotic thriller poteva dirsi sistemato”), dell’editoria (“Gli autori: tutto fumo e niente arrosto”) e del  narcisismo letterario (“Fingere falsa modestia rientra tra i compiti sociali di ogni romanziere”).

 

Bruno Elpis

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