Aberdeen non è soltanto un fondale; si agita, suda, geme sotto il peso di un’innaturale estate, con un caldo bollente e appiccicaticcio che sembra voler sciogliere ogni barriera morale.
Stuart MacBride torna alla sua città-laboratorio per riportare finalmente in scena Logan McRae. Nella casa delle ossa festeggia i vent’anni di una serie ormai diventata iconica e accende un nuovo, feroce e minaccioso cerchio di fuoco attorno al suo ispettore più provato.
Sin dalle prime pagine infatti la tensione decolla. Un ladro guardone di nome Andrew Shaw (che vive con la madre, naturalmente), s’intrufola nella villa di una discussa figura mediatica. Nei suoi movimenti si percepisce la sordida convinzione d’essere contemporaneamente predatore e vittima. La donna rientra, la casa si chiude su di loro come una trappola ma in quell’istante la narrazione compie una svolta improvvisa: un presunto detective si presenta alla porta, aggredisce crudelmente la donna e la trascina via chiudendola nel bagagliaio della sua macchina. È un’apertura che rivela l’eleganza di MacBride, in grado di ribaltare ogni prospettiva in pochi attimi. E il ladro direte? Guarda, riprende tutta la scena con il telefono e memorizza tutto, prima di tagliare la corda.
Da questo drammatico spunto scaturisce una trama che non lascerà respiro.
Il romanzo si muove in un’Aberdeen aggredita da un caldo semitropicale e piegata da un’epidemia influenzale che sta decimando le forze dell’ordine, mentre la tensione sociale si fa incandescente. Un ostello per migranti infatti è andato in fiamme. C’è scappato il morto. Incendio doloso? Mentre incombe sulla città una grossa manifestazione di protesta, la stampa battagliera soffia sul malcontento. Natasha Agapova, la nuova proprietaria dell’Aberdeen Examiner, principale testata cittadina, che sta privilegiando una nuova linea editoriale basata su titoloni e scandali a ogni costo, alimenta ormai da tempo panico e odio, trasformando ogni notizia in pericoloso materiale incendiario. In questo afoso e instabile groviglio, Logan McRae dovrà far fronte, intanto, a un organico ridotto in un clima politico vischioso di una città che sembra sul punto di esplodere.
L’inseguimento della polizia di tal Charles MacGarioch, sospettato di aver appiccato l’incendio, regalerà subito alla trama un tono umoristico grottesco, con un furgone dei gelati lanciato come un fulmine per le vie della città, inseguito dalla polizia in una folle fuga che culminerà a capofitto nel fiume Don.
Ciò nondimeno il cadavere che riemergerà dalle acque del fiume sposterà subito l’asse narrativa verso un’indagine più cupa, mentre tutti gli agenti arrancano tra mancanza di sonno, un esagerato sovraccarico di responsabilità e situazioni sempre più degradate.
Ancora una volta MacBride, descrive la sua squadra di reietti dal cuore sorprendentemente robusto. Tufty, Rennie, e soprattutto Roberta Steel, ex ispettrice retrocessa e ormai sempre più vicina alla pensione, che torneranno a prendersi la scena con la loro ruvida comicità, l’esasperato sarcasmo in grado di alleggerire anche l’orrore della peggiore situazione. McRae li guida con paterna pazienza, spesso esausto e quasi sempre sopraffatto da un sistema che par voler scatenare solo caos. L’equilibrio tra grottesco e drammatico resta infatti uno dei maggiori punti di forza della scrittura di MacBride, mentre tratteggia un microcosmo dove la violenza è reale e l’umorismo funge da unico possibile antidoto.
Il romanzo pur superando le cinquecento pagine non risulta mai eccessivo. Ogni capitolo aggiunge un tassello, ogni scena porta con sé una domanda, L’alternanza tra azione e introspezione mantiene alta l’attenzione, e persino le parentesi più comiche diventano necessarie per costruire un credibile quadro psicologico. Le ombre tuttavia non mancano. Alcuni personaggi, come la stereotipata streamer di YouTube, risultano poco convincenti. L’australiano introdotto solo per creare gag mi pare forzato. Ma sono sbavature minori che non scalfiscono l’impianto complessivo, sostenuto da un solido intreccio e da un’ambientazione che si fa motore narrativo. MacBride stavolta non risparmia nessuno. Servendosi della caricatura colpisce tutto e tutti e si diverte a prendere di mira sparando su ogni sorta di istituzione, vedi il Servizio Sanitario Nazionale con gli ospedali allo stremo, i colloqui scolastici con i genitori, non dimentichiamo che è sposato con Tara e ha un figlia Elisabeth detta LizMonster che va già a scuola, il declino umano di Aberdeen, l’architettura sociale urbana, l’assurdo linguaggio manageriale e l’esibizionistico pubblico dolore con la sfilata di fiori di plastica, palloncini e messaggi di cordoglio semianalfabeti drappeggiati su ringhiere e lampioni. Lugubri scenografie kitsch con biglietti sgrammaticati.
Il finale si avvicina più al thriller che al poliziesco puro. Non tutto verrà risolto con l’efficienza della narrativa investigativa classica, e più volte Logan sarà vittima di una giustizia lenta e condizionata da poteri esterni.
La scrittura è sempre incisiva, dominata da un linguaggio crudo, vivace e da un incisivo umorismo che taglia come una lama. È più che evidente quanto MacBride si sia divertito nel ripescare Logan, come rivelano le sue note finali in cui parla del “richiamo del sangue” del personaggio. Un ritorno che si fa sentire: con immagini che infiammano ogni scena. Nel complesso Nella casa delle ossa è un perfetto omaggio alla serie. Riassume tutto ciò che rende Logan McRae un protagonista amatissimo: il senso dell’umano, la capacità di resistere al caos, la resilienza di chi continua a battersi per la verità anche quando il mondo sembra già deciso a collassare. Un ritorno in grande stile, e una imperdibile lettura per chi cerca un noir scozzese intriso di ironia e oscurità, ma anche per chi desidera ritrovare una voce speciale nel panorama del crime contemporaneo.
Nella casa delle ossa – Stuart MacBride
Patrizia Debicke


