Bologna, Novembre 1592. È un periodo molto difficile per tutti quelli che abitano nella penisola: guerre, carestie e pestilenze si susseguono e molta gente ha perso il lavoro e non ha più di che vivere. Don Tomasso, che dirige l’ospizio di San Biagio, aiuta il prossimo come può, offrendo rifugio e un piatto di minestra ai pellegrini che gli chiedono ospitalità, nonostante sia lui che la sua famiglia siano vittime della miseria che attanaglia la città. Recatosi quella mattina al tribunale per denunciare un episodio violento accaduto tra gli ospiti che accoglie ogni notte, si trova ad assistere alla denuncia di una donna, Violante, accusata da un foglio affisso alla porta di casa di aver ucciso il marito: “VIOLANTE PUTTANA – HAI AMMAZZATO TUO MARITO COL SUBLIMATO – PER STARE COI TUOI BERTONI” dice il delatore.
Il notaio che si occupa delle indagini domanda a don Tomasso di prendere informazioni sull’accaduto dal parroco della donna, don Lucio, che fa parte di una categoria di preti che il nostro sacerdote non ama e il cui comportamento non approva.
Nel frattempo, giungono all’ospizio due ragazzini, uno dei quali, Ettore, è ancora un bambino mentre il secondo, Gian Andrea, è più grande e così sveglio da diventare immediatamente l’inseparabile compagno nelle indagini che don Tomasso svolge nella città. Il ragazzo, infatti, è in grado di carpire informazioni che nessuno rivelerebbe mai, né a un sacerdote né a un notaio.
All’ospizio, però, ci sono dei problemi: il piccolo Ettore non parla ed è molto spaventato, perché, come racconta Gian Andrea, ha visto il cadavere di una putta nella cantina del filatoio dove egli stesso lavora e che appartiene a un uomo violento e scorbutico, di nome Righi. Il giorno dopo il corpo della ragazza, con il viso gonfio, tutto infangato, livido e graffiato, viene ritrovato nei sotterranei dell’ospizio. Appartiene a una certa Caterina Pancaldi, una lavorante del filatoio, che con molta probabilità prima di morire ha subito violenza. Qualcuno, per liberarsene, lo ha gettato nel Fiaccalcollo, un canale sotterraneo che attraversa molte cantine dell’antica Bologna.
Con l’aiuto di Gian Andrea don Tomasso inizia a indagare su quella morte che gli pare terribile e ingiusta. La situazione, però, si complica quando il piccolo Ettore sparisce. Il prete è convinto che chi ha rapito il bambino sia la stessa persona colpevole dell’abuso e della morte di Caterina e che abbia agito per eliminare uno scomodo testimone.
Nonostante l’omertà di molti e le minacce di qualcuno, don Tomasso continua nella sua ricerca che lo porterà alla scoperta di una verità legata al suo passato, un passato che lo perseguita e che non riesce a dimenticare perché, nonostante il parroco sia un povero tra i poveri, è nato da una delle famiglie più ricche della città, che ha abbandonato per dedicarsi interamente al proprio dovere. Un dovere che gli pesa, perché il sacerdote nasconde un segreto: anni prima si era innamorato e aveva sperato che venisse concesso anche ai religiosi il permesso di sposarsi.
“Sentì stringersi il cuore per la tristezza, come spesso gli accadeva. Il suo pensiero riandò a giorni lontani, quando qualcuno, quasi trent’anni prima, gli aveva ricordato che anche San Pietro era sposato, ed egli aveva ascoltato con fiducia quelle voci proibite, voci di gente che poi aveva finito la sua vita remando su una galera o fuggendo lontano o addirittura bruciando sul rogo.”
Ho apprezzato, e molto, la ricostruzione cronotopica, che ha il pregio di far rivivere un periodo storico con una precisione tale da riportarci indietro nel tempo.
Ho invece trovato un po’ tardiva la rivelazione del segreto custodito da don Tomasso e frettolosa la conclusione dell’indagine. Un vero peccato, perché il romanzo mi era davvero piaciuto molto.
Attendo l’autrice alla prossima prova.