Gunnar Gunnarsson (1889-1975) è considerato uno dei maggiori autori della letteratura islandese. Nato in Islanda orientale, ha compiuto gli studi in Danimarca e qui ha iniziato la sua carriera letteraria scrivendo tutti i suoi romanzi in danese. Dopo il ritorno in Islanda negli anni ’30 ha personalmente tradotto le sue opere in islandese.
L’uccello nero, ispirato a una vicenda reale, è una chicca nel panorama noir della letteratura nordica ed è stato pubblicato la prima volta nel 1929.
Gli eventi narrati si riferiscono ai primi anni dell’800 in una fattoria isolata tra le montagne islandesi dove vivono due coppie di contadini con i loro figli. A distanza di pochi mesi il marito di una coppia e la moglie dell’altra muoiono apparentemente per motivi del tutto spiegabili, ma il pettegolezzo dilaga e i due coniugi sopravvissuti vengono accusati di avere una relazione ‘indecente’ e di aver causato la morte dei congiunti.
I fatti vengono raccontati quindici anni dopo dal cappellano della parrocchia a cui appartenevano i protagonisti ed è in realtà il racconto del processo a cui vengono sottoposti i due adulteri. Tuttavia non si tratta di un legal thriller ante-litteram, ma piuttosto di un giallo psicologico in cui vengono esaminate le motivazioni degli accusati così come quelle del giudice Scheving, giovane e spregiudicato.
Ma più di tutti séra Eiulvur (colui che racconta la storia come viene indicato in tutto il romanzo usando la denominazione islandese di séra cioè pastore), prende in esame i suoi sentimenti e le sue motivazioni a quindici anni dai fatti e dopo che un evento tragico si è abbattuto sulla sua famiglia. In tutto il libro non smette di farsi domande sulla giustizia divina e umana e sul suo ruolo in opposizione a quello del giudice, tanto che verso la fine il pastore dice al giudice: “Non è lei che ho servito, ma solo il mio Signore che è Dio, meglio che ho potuto.”
L’uccello nero è una piccola preziosa opera della narrativa islandese, confezionata con la consueta precisione e diligenza da Iperborea, che porta il lettore nell’atmosfera apparentemente così lontana da noi della campagna islandese affacciata su un mare freddo e pericoloso, ma in realtà molto simile a quella di molte altre zone di campagna con i pettegolezzi, i segreti inconfessabili e le inevitabili vittime.
Un altro pregio di questo romanzo è che non appare datato anche se è stato pubblicato un secolo fa e narra avvenimenti avvenuti più di duecento anni fa, a testimonianza che ciò che esce dalle profondità della coscienza umana, se viene raccontato con abilità, rimane immutato nel corso dei secoli.