Luca Di Fulvio

Lo scrittore in pillole di questa settimana è l’amico Luca Di Fulvio, dal cui ultimo libro La scala di Dionisio presto verrà tratto un film per la regia di Salvatores.

Il libro (di un altro) che avresti voluto scrivere e il libro (tuo) che NON avresti voluto scrivere
Sono indeciso tra moltissimi libri. La letteratura ha prodotto dei romanzi straordinari. Pur provandomi a restringere il campo non riesco a scendere sotto questi tre: Luce d’agosto di William Faulkner, Jude l’oscuro di Thomas Hardy e L’amore ai tempi del colera di Gabriel Garcia Marquez.
Per quel che riguarda un mio libro, francamente sento di riconoscere tutto quel che ho scritto. Vedo i difetti di alcune pagine, trovo che avrei potuto smussare degli angoli, che avrei potuto accelerare o rallentare o deviare appena il percorso ma sono ragionamenti e osservazioni che mi servono a migliorare in prospettiva futura, non a rinnegare. Credo di essere onesto, con me stesso e con il lettore, quando scrivo. Ciò detto, però, per costituzione sono proiettato in avanti e non sto troppo a rimuginare sul già fatto.

Sei uno scrittore di genere o scrittore toutcourt, perché?
Ufficialmente sembrerei appartenere al genere. La critica mi ha sempre riconosciuto una mia originalità di scrittore, sono stato paragonato a importanti scrittori non di genere da importanti recensori. Abbiamo bisogno di segnare perimetri? Di marcare il territorio? Posso pure adeguarmi. Non so, non mi pongo il problema. E me lo pongo così poco che non partecipo ai simposi ufficiali sul genere e non faccio parte di circoli. Sono un solitario, viaggio a vista sulla mia barca e scelgo la rotta e il vento che mi corrispondono di più. Il mio prossimo romanzo non sarà noir e il mio editore, Mondadori, non mi ha posto veti. Antonio Riccardi e Massimo Turchetta mi hanno lasciato libero. «Scrivi» mi hanno semplicemente detto. Il che mi fa pensare che loro non mi considerino uno scrittore di genere.

Un sempreverde da tenere sul comodino, una canzone da ascoltare sempre, un film da riguardare.
Dovrei ripetermi coi tre libri che ho elencato all’inizio. Ma avevo escluso a malincuore il Leviathan di Julien Green. Musica: The lamb lies down on Broadway, Genesis, e il Requiem di Mozart, in particolare Lacrimosa. Film: Citizen Kane, Orson Welles, e Magnolia, Paul Thomas Anderson. Mi spiace, non c’è – in nulla – una cosa sola che rappresenti, o colmi, la mia natura.

Si può vivere di sola scrittura oggi?
Io vivo dei miei libri. Mi nutrono e mi rendono felice. Il mio direttore di banca è un po’ meno felice.

Favorevole o contrario alle scuole di scrittura creativa? Perchè?
Non le conosco. Sono un autodidatta. Non ho fatto nemmeno l’università. Ma ho frequentato, come attore, l’Accademia d’arte drammatica Silvio d’Amico. Ecco, se posso azzardare un parallelo (al di là degli insegnanti, che comunque ti mettono su un piatto delle regole, condizione necessaria a qualsiasi artigianato, foss’anche solo per infrangerle) il valore aggiunto, per la mia esperienza, è dato dalla promiscuità con altre persone come te, con gli altri studenti, che hanno le tue stesse ambizioni e i tuoi stessi sogni. È la differenza tra il figlio unico e quello che ha fratelli. C’è un paragonarsi, un confrontarsi, che oltre a essere stimolante produce effetti reali. Accelera l’apprendimento, lo rende empirico, stimola l’osservazione, accende dibattiti, mette in crisi idee che in una stanzetta deserta, magari, si gonfierebbero a dismisura portandoti fuori strada. Io ora sono un solitario ma riconosco il valore formativo della comunanza con i miei coetanei di allora. Infine, ma questa è una notazone pratica, il mondo del lavoro – perché questo è un lavoro a tutti gli effetti – ha delle porte. Alcune scuole, le più qualificate, permettono ai loro studenti un inserimento e dei contatti che altrimenti sarebbero molto faticosi. Io ce l’ho fatta senza conoscere nessuno, né editori né giornalisti ma dopo anni di rifiuti. Quindi ben vengano scuole che permettono a giovani di talento di saltarsi le prime, scomode, frustranti scale per raggiungere quelle porte. (paolo roversi)

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