Intervista a Enrico Miceli

Sangue, cadaveri, violenza, ma anche inaspettata meditazione filosofica sulla materia di cui è fatto l’uomo. Questo è il romanzo pulp Humus, opera prima di Enrico Miceli pubblicata da Castelvecchi. Abbiamo incontrato l’autore per… scavare nell’humus.

Partiamo dal principio. Perché Enrico Miceli scrive un romanzo pulp e non, per esempio, un canonico giallo con protagonista un commissario di provincia?

A essere sincero non è stata proprio una scelta, nel senso che avevo in testa già da un po’ di tempo le voci di alcuni dei protagonisti e fin da subito mi era chiaro che difficilmente sarebbero potuti diventare dei poliziotti. Il perché poi la storia sia diventata proprio pulp credo che sia da ricercare nell’esigenza che avevo (e che ho) di analizzare prospetive un po’ più estreme rispetto al “normale”. Di solito mi interessa riflettere su quale possa essere il punto di vista di chi si trova, per un verso o per un altro, sull’orlo della disperazione. E Il pulp ben si adatta a questa esigenza.

A proposito di punti di vista, ho trovato interessante che si alternino più voci narranti, e che man mano che la narrazione procede il protagonista di turno dichiari esplicitamente la sua identità a ogni inizio capitolo, come per emergere dall’humus indistinto dell’umanità e rimarcare il proprio nome individuale. Come mai non ti è bastata una sola voce narrante?

In generale mi piace l’utilizzo del multipiano perché, a differenza della singola voce narrante onnisciente, è una tecnica che rende ogni storia soggettiva. E’ importante ricordarsi sempre che non esiste mai un unico punto di vista sulle cose e ciò che per un individuo ha un dato significato per un altro potrebbe averne uno diverso. Per quello che riguarda poi la presentazione del personaggio narrante all’inizio di ogni capitolo, come giustamente fai notare tu è un po’ un voler affermare la propria identità sopra a ogni cosa. In qualche modo è un rivendicare la propria esistenza. E’ come provare a rispondere alle domande esistenziali “Chi sono?” e “Cosa faccio?”. “Sono Federico Zolfanelli. E sto correndo”. Inoltre, dato l’utilizzo del multipiano, questo sistema ha semplificato di molto la scorrevolezza del testo, almeno a mio avviso, arricchendolo anche di una cifra stilistica ben precisa, il che non guasta.

Parlando dell’ambientazione geografica, ritieni di aver descritto una Torino reale e riconoscibile, o più uno sfondo generico?

Eccessi a parte, credo che la Torino descritta sia abbastanza simile a quella che ho avuto modo di conoscere nel corso degli anni. I luoghi, i ritrovi e i riferimenti in generale sono più o meno precisi, ad esclusione di piccoli dettagli che si sono rivelati utili più che altro per lo sviluppo della trama. Certo, la città è descritta dal punto di vista dei protagonisti, quindi si parla dei loro luoghi e di come loro li vivono, di conseguenza quello che ne viene fuori è una descrizione assolutamente parziale e soggettiva.

Nel libro c’è lo splatter ma anche la riflessione filosofica. Chi avevi in mente come “lettore modello” quando hai scritto il romanzo?

In verità il “lettore modello” non è una cosa a cui penso durante il processo di scrittura. Mi preme raccontare storie che siano prima di tutto divertenti per me, il che mi rende consapevole che anche qualcun altro potrebbe trovarle divertenti. Detto questo scrivere una storia che sia solo puro intrattenimento non sempre mi soddisfa, quindi tento spesso di inserire riflessioni di diversa natura. Quando il risultato è buono le azioni si sviluppano in parallelo a queste riflessioni creando un’armonia che permette di approfondire l’analisi senza appesantire il ritmo narrativo.

Il pulp non è un genere molto frequentato dai narratori italiani. Quali sono i tuoi autori di riferimento (nostrani o stranieri, letterari o cinematografici)?

Per ciò che riguarda le mie letture sono piuttosto onnivoro. Ciò che mi appassiona di più sono ovviamente i testi classici, in particolar modo la letteratura russa ottocentesca che credo abbia toccato vette di intensità difficilmente raggiungibili oggi. Poi c’è tutto un mondo contemporaneo che trovo divertente, autori come Bukowski, Fante, Walsh, Bunker, Palahniuk e tantissimi altri. E tra gli autori italiani amo molto Sciascia, Scerbanenco, tra quelli attuali sicuramente Barbara Garlaschelli, Niccolò Ammaniti, Valerio Evangelisti. Il cinema poi gioca una parte importante dato che l’impatto visivo ha una capacità d’influenza molto forte. Sergio Leone su tutti, ma ad essere totalmente sincero anche Tarantino e Fincher.

Difficilmente la Rai farà una fiction su Humus… ma se qualche produttore volesse puntare sul pulp, tu chi vedresti come regista e interpreti?

Speriamo in Sky allora! Scherzi a parte, in verità non ho mai pensato a un regista nello specifico, ce ne sono molti validi, anche tra le nuove generazioni, che potrebbero fare un ottimo lavoro. Stesso discorso per ciò che riguarda gli attori, giusto per darti un nome posso dirti che in questo momento Elio Germano è tra i miei preferiti (e probabilmente sarebbe un ottimo Federico, e forse anche un ottimo Sergio), ma oltre a lui ce ne sono tanti molto molto bravi. Ad ogni modo, se qualche produttore “fuori di testa” volesse puntare sul pulp ci sarebbe davvero di che divertirsi, a mio avviso.

Rileggendo oggi Humus (se lo hai riletto dopo la pubblicazione…) cambieresti qualcosa?

Sì, credo che sia fisiologico. Cambierei qualcosa in ogni storia scritta più di una settimana fa, quindi anche in Humus. E se oggi dovessi fare qualche cambiamento, domani ne farei altri e dopodomani altri ancora. Magari sono io che sono “difettato” ma non riesco a leggere nulla di mio senza pensare sempre e comunque: “Qui avrei potuto far meglio… e anche qui… e anche qui… e anche qui…” e così via fino all’infinito. C’è da impazzire, quindi in generale evito di rileggere troppo spesso le mie storie (dopo la pubblicazione). Di sicuro inserirei cento o duecente battute in più a pagina 221 per rendere meno ambiguo il senso della scena. Forse aggiungerei altri dettagli sui cadaveri di passaggio. Renderei meno agevole la fuga di Erika (e forse le darei un tratto ancora più tosto di quello che le ho dato). Poi farei altre mille cose e forse verrebbe fuori un nuovo romanzo del tutto diverso. Il problema di quando si scrivono romanzi, alle volte, è proprio capire quando fermarsi. E ad essere sinceri, in fondo in fondo, anche se il mio super-io non la smette un secondo di insultarmi con cattiveria, mi sento di dire che Humus è un buon romanzo e merita di restare così com’è, al di là di cosa farei io oggi.

Il prossimo romanzo sarà nelle stesse corde o qualcosa di diverso?

I progetti che ho portato a termine dopo Humus in verità sono più di uno, tutti attualmente in cerca di sbocchi editoriali. Nel complesso non sono lavori troppo diversi da questo d’esordio (anzi, uno può anche essere considerato una sorta di seguito) anche se le atmosfere cambiano, i protagonisti hanno altre particolarità rispetto a Federico e Sergio, e i registri usati sono altri. In generale si vedrà un po’ meno sangue, ma forse la tensione psicologia sarà più forte (almeno spero!). Di sicuro chi ha apprezzato Humus apprezzerà anche le prossime storie.

Lorenzo Trenti

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