Legami del passato – capitolo 1

Comincia oggi con il primo capitolo di Legami dal passato una nuova iniziativa di MilanoNera. La pubblicazione di un breve romanzo noir a puntate. E’ un esperimento che speriamo apprezziate.
Per sei domeniche, a partire da oggi, ritroverete un capitolo del romanzo collettivo scritto dai ragazzi di Udine. Tutte le informazioni sul progetto le trovate qui.

Capitolo 1

Corsa frenetica in mezzo ad una sala affollata. Donne e uomini dai volti sconosciuti parlano, ridono e accennano passi di ballo al ritmo di musica. Lui passa in mezzo a loro continuando disperato la sua ricerca affannosa: dove sarà mai? Si erano incontrati poco prima! La corsa riprende tra la folla e il suo sguardo si posa su ogni volto che sembra familiare all’inizio, ma che poi non si rivela mai quello giusto. A un tratto i suoi occhi si fermano e s’illuminano. Sembrano finalmente aver trovato chi stavano cercando. Infila una mano nella tasca della giacca per tirare fuori la sua penna blu e la corsa riprende con gli occhi fissi su quella persona tanto inseguita. Non fa in tempo a compiere qualche passo che… Driiiiin…driiiiin…

Il suono del cellulare improvviso e insistente gli apre violentemente gli occhi e lui non si trova più tra la gente nella luce soffusa della sala; i raggi di sole, che filtrano attraverso la persiana, gli permettono di riconoscere la sua piccola, disordinata camera da letto.

Inspira, ora.

È la prima importantissima inalazione autonoma d’ossigeno della giornata. Il risveglio è il momento fondamentale, che ti fa capire tutto della giornata che verrà. Vinto o vincitore? Fortuna e successo o tremendo capitombolo? Potrebbe essere un forte respiro, il suo, carico e profondo, ricco di aspettative, speranze e fiducia, ma non lo è, non può esserlo. Ha smesso di esser così da molti mesi ormai.

Driiiiiin…driiiiin…

Il cellulare continua a suonare e un raggio di luce, fastidioso e insolente, penetra dalla veneziana mezza abbassata e colpisce le sue palpebre gonfie. Si convince ad alzarsi, ma non appena si mette in piedi sente subito un malessere generale: il suo breve sonno è stato davvero pessimo e a questo si aggiungono un pesante senso di nausea e un gran dolore alla testa.

Esatto, oggi è domenica e ieri si è decisamente divertito troppo.

Driiiiiin…driiiiin…

I pensieri si affollano veloci nella sua testa: Dov’è il cellulare? Nella giacca. Dov’è la giacca? … Cos’è successo? La sera precedente è un vuoto. La memoria, ancora interrogata dalla mente, sforna altri ricordi, vecchi e usati, ricordi bellissimi, capricciosi, bizzarri, alcuni terribili, e non pochi che avrebbero potuto suscitare disgusto. Ma non c’è speranza di tirar fuori qualcosa della sera prima. Buio.

Driiiiiin…driiiiin…

Si trascina fuori dalla camera da letto, verso la piccola cucina, l’unica altra stanza dell’appartamento, senza contare il bagno, che tra l’altro meriterebbe particolare attenzione. Nella piccola stanza la luce si fa più intensa e acceca il suo sguardo che però non esita a sporgersi dalla finestra, oltre i tetti delle altre case: il centro della sua piccola città sembra già sveglio da un pezzo. Abitare all’ultimo piano di un condominio ha anche i suoi vantaggi.

Driiiiiin…driiiiin…

Non ha ancora smesso di suonare, lui si sposta nell’atrio. Finalmente, buttata su una sedia, ecco la giacca, ma la chiamata è appena finita. Infila una mano nella tasca e trova un pezzo di carta che riporta dati confusi scritti in velocità. La grafia non è la sua, ma riconosce l’inchiostro: è la penna blu, della quale non c’è traccia né lì né nell’altra tasca, dove invece trova il cellulare. Sblocco rapido della tastiera per scoprire chi ha chiamato. Numero Privato.

Fatica sprecata.

Posa, deluso, il cellulare sul tavolo e si guarda intorno. Si interrompe subito sulla giacca che, al solo sguardo, gli suscita un sacco di domande alle quali vorrebbe trovare altrettante risposte.

Dove si trovava la sera prima? Si era incontrato con qualcuno? Cosa significava quell’indirizzo? E la penna blu dov’era sparita? L’autore del messaggio se l’era portata via nella fretta? Ma soprattutto, come mai non ricordava nulla? È strano. È come se negli ultimi mesi si fosse allontanato dal mondo. Qualcosa lo turba da molto e, l’ultima cosa che avrebbe voluto fare, sarebbe stata ubriacarsi per poi svegliarsi il giorno dopo e capire ancora meno di quanto ormai stesse facendo in questo periodo. Qualcuno aveva tentato, riuscendoci, di confondergli un po’ le idee? Ma a quale scopo? Prende in mano il foglietto di carta, non trova nulla di chiaro, alcune lettere maiuscole e alcuni numeri, ma niente a cui possa collegarli. Lo poggia sul tavolo, accanto al cellulare. Un’altra domanda: come mai il cellulare squillava Numero Privato? Un collegamento al messaggio? Ancora una volta non sa darsi risposta. Quanto avrebbe voluto tornare alla sera precedente! L’unica cosa che trova certa in quel momento è quella di cercare di svegliarsi un po’.

Si dirige verso il bagno per sciacquarsi il viso. Per girare la manopola, sposta diversi oggetti che l’avrebbero intralciato nel gesto, il sapone, il dopobarba e una lametta, ormai utilizzata troppe volte, non taglia più. Si guarda davanti al piccolo specchio sporco, con un’incrinatura proprio a livello viso. Nota che ormai la barba è incolta! Chissà da quanto quegli oggetti son lì! L’acqua sul viso è come un gran sollievo, una bella sensazione. Con gli occhi ancora chiusi, tasta l’aria in cerca di un asciugamano, ma – ad altezza uomo – nulla. Si decide ad aprire gli occhi e lo trova, per terra. Sporco. Ormai si è deciso. Un giorno di questi pulirà il bagno e rimetterà tutte le cose al proprio ordine, ma no, ora no, non è decisamente il momento. Ora ci sono davvero troppi interrogativi per i suoi gusti.

Ancora un bel po’ confuso, Michele si riporta in camera e riprende e analizza di nuovo il foglietto. Lettere e numeri che sembrano appartenere ad un indirizzo e ad un numero di telefono. Una strana macchia, fonte per ora sconosciuta, aveva cancellato la maggior parte dei caratteri e può leggere solamente: 348[macchia]56 via[macchia]ale.

Dati molto utili, pensa, tentando di dimostrare la sua grande ironia. Si sforza di sgranocchiare gli ultimi crackers della scatola, combattendo con onore contro la nausea che lo aveva colpito.

L’ultimo evento che gli si presenta chiaro in mente è la visita a casa di sua madre, ma dubita fortemente che la sbronza possa risalire a quel momento. L’ unica risposta, o qualcosa di simile, possono avercela solo i suoi amici dal lungo sorso, che devono averlo accompagnato davanti alla porta dell’appartamento, a festa finita.

Ormai è vestito.

Esce e si dirige subito a casa di Filippo.

Lui è di solito quello che regge di più, in quelle notti di follia indicibile.

E’ quasi arrivato, deve solo attraversare la strada, ma sulle strisce pedonali una piccola scossa, quella tipica del deja-vu, lo attraversa. La gente in movimento attorno a lui gli ricorda qualcosa. Una musica accompagna i passi dei pedoni che lo circondano, quasi danzando, intrappolati nel ritmo e nell’euforia.

Rallentato da questo curioso pensiero si ferma in mezzo alla strada, tentando di focalizzarsi sui vari ballerini, che gli sembra di vedere lì davanti. Un clacson suona e lo riporta alla realtà. Michele attraversa in fretta, scosso, e alla porta del palazzo dove Filippo abita, inizia a ridisegnarsi nella memoria – in immagini poco definite – una scena in una sala da ballo. Ora ricorda il suo sogno. Più o meno. Sospetta fortemente che possa essere un tassello importante per la ricomposizione del puzzle.

Filippo è l’unico che forse può far luce sull’accaduto e l’unico che ugualmente può rispondere ai suoi fin troppi interrogativi. Michele alza la mano per bussare ma, non appena tocca il legno della porta, questa si apre, con una docilità innaturale, come se volesse invitare l’ospite ad entrare. Incerto, avanza nella penombra dell’appartamento, dove tutta la luce proviene da una finestra semiaperta, le cui tende si muovono al soffio del vento.

“Filippo, sei in casa? La porta è aperta, razza di inetto! Se fossi stato un ladro, adesso starei facendo man bassa dei tuoi oggetti di valore!”

Così parla, il tono carico di ironia, ed un piccolo sorriso affiora sulle sue labbra. Sorriso che, non appena Michele giunge in cucina, si eclissa istantaneamente.

A terra giace il corpo dell’amico, la bocca socchiusa, il braccio destro allungato, nella cui mano è stretto un cellulare. Un brivido gelido corre lungo la schiena di Michele, le pupille si restringono nonostante la penombra. E’ talmente shockato che a malapena riesce a fare altro se non restare fermo, respirando, a fissare l’amico a terra. Lentamente, quasi in modo innaturale, prende il proprio telefono e chiama il Pronto Intervento; quindi si avvicina al corpo di Filippo. Le pupille sono dilatate, sebbene l’espressione sia totalmente normale. Nessuna espressione orripilata o spaventata, felice o piena di dolore. Sembra sia morto sul colpo, improvvisamente.

Tac. La lancetta di un orologio che si muove segnalando un nuovo secondo.

Ecco come è stata la morte di Filippo. Rapida, veloce, impalpabile.

Lo sguardo di Michele, per forza di cose, cade sull’oggetto stretto dalla mano destra dell’amico. Combattuto tra il desiderio di prenderlo e lasciare intatta la scena, rimane immobile a ragionare. Si decide a prendere il cellulare. Sul display, scritto come l’incisione funebre di una lapide, si legge: 3468647406. Il numero di cellulare di Michele .

In quel preciso momento sente il suono della sirena dell’ambulanza e, per non farsi catalogare come sospetto, rimane fermo, col cellulare in mano, sino a che non entrano i paramedici.

“Ragazzi, vedete se è ancora vivo” dice uno di questi, concitato, diretto ad un compagno. Prendendo una pila, controlla la reazione della pupilla del cadavere alla luce.

Inesistente.

Gli occhi sono lo specchio dell’anima, si dice fra sé Michele; forse è per questo che, mentre i suoi occhi scorrevano veloci sul corpo dell’amico a terra, senza vedere realmente, altrettanto rapida lavorava la sua mente, offuscata dai tanti dubbi che da quella mattina gli vorticavano nella testa. Così, si ritrova a pensare: Filippo è morto, e un’occasione per scoprire qualcosa è svanita. Sul suo cellulare c’è il mio numero… Che fosse lui il numero privato che mi ha chiamato? Oppure mi stava chiamando per illuminarmi sul significato del foglietto?

Potrebbero interessarti anche...