Le spose sepolte è il nuovo libro di Marilù Oliva appena uscito per Harper&Collins.
Un misterioso giustiziere costringe i mariti, rimasti impuniti dalla legge, a confessare dove sono occultati i corpi delle mogli e poi li uccide. Uno dopo l’altro le ossa delle spose sepolte vengono ritrovate. Gli indizi portano la polizia all’idilliaco paesino di Monterocca, retto da una giunta di sole donne. È qui che viene sperimentato il penthotal con cui sono state stordite le vittime ed è qui che bisogna indagare. L’atmosfera paradiasiaca del paese modello inizia presto a mostrare qualche crepa e Micol Medici, la giovane ispettrice della squadra investigativa, è brava e scavare in quelle fessure alla ricerca della verità
Al di là della trama gialla, intrigante e accurata, la storia propone profonde riflessioni di carattere etico e sociologico.
Dal noir esistenziale al noir grottesco fino al noir sperimentale, così mi avevi definito i tuoi tre precedenti libri, come definiresti questo?
Un thriller con un impianto giallo e sfumature noir. Il giallo è dato dalla detection attorno a un mistero: chi uccide i mariti femminicidi, dopo averli indotti a confessare dove hanno nascosto i corpi delle mogli scomparse? L’impianto giallo, dunque, segue i canoni tradizionali: scardinamento dell’equilibrio, indagini, depistaggi dell’autore, soluzione finale. Si tratta però di una soluzione non rassicurante, perché resta qualche ombra sulla giustizia e questo, assieme ad alcune atmosfere cariche di inquietudine, rendono il romanzo a tratti noir. Infine la componente suspense, almeno nelle mie intenzioni, dovrebbe conferire al tutto un ritmo thriller.
Ogni tuo libro ha una sua propria ricerca stilistica, una sua lingua. Come scegli quella che meglio si adatta alla storia che vuoi raccontare?
Qui il racconto si muove su due piani, come hai differenziato i due stili?
Come hai giustamente rilevato, il romanzo si snoda su due piani: il corsivo in prima persona che è la voce dell’assassino (e ci fa capire quale rancore, quale dolore lui abbia covato) e la narrazione in terza persona, che costituisce la voce onniscende della storia, il grande occhio che conosce tutto dei personaggi e parla in maniera più chirurgica, meno coinvolta. La voce in corsivo, invece, provenendo dall’esperienza di qualcuno che vive nell’infanzia, è per forza di cose più spontanea, più contaminata dall’emozione e più soggettiva.
Sbaglio se dico che paura rabbia e vendetta sono i sentimenti che animano il libro?
Non sbagli affatto. Gli eventi di cronaca ci dimostrano che si uccide solitamente per questioni di soldi, potere e sesso: questi sono i moventi più gettonati. Io preferisco gli assassini spinti da sentimenti certo malvagi e condannabili, ma che hanno comunque un’ontogenesi meno meschina. Frustrazioni dovute al nostro anelito disilluso, angosce che affondano le loro radici nel passato, nella gestione di quell’età così delicata e preziosa che è l’infanzia.
Ne Le spose sepolte descrivi l’immaginario comune di Monterocca, modello di efficienza ecologica e civile a maggioranza femminile. Modello che presto però mostra qualche crepa.
Le utopie sono sempre destinate al fallimento? Sono necessarie ma irraggiungibili?
Più che fallimento io parlerei di impossibilità di realizzazione. Utopia è un termine che Thomas More ha coniato nel XVI secolo dal greco: u è la negazione e topos è il luogo: utopia, dunque, è il luogo che non esiste. Perché la perfezione e la dimensione ideale non sono concretizzabili se non a livello di desiderio, quindi sono, come dici tu, necessarie ma irraggiungibi: non dobbiamo perderne di vista la meta perché, anche solo avvicinandoci, ci sembrerà di aver fatto un piccolo passo verso un mondo migliore.
Mi ha colpito come tu sia abilmente riuscita a creare piano piano l’atmosfera claustrofobica della Città delle donne descrivendone gli aspetti che teoricamente dovrebbero essere piacevoli: laghetti incontaminati, strade senza traffico, portinerie che controllano gli ingressi, musica diffusa…
Qualcuno ha paragonato Monterocca a Twin Peaks – e la cosa mi ha fatto piacere – proprio in virtù di questa dimensione claustrofobica. È strano, perché da un lato il paese è coccolato dalla musica in filodiffusione, è incastonato in un ambiente quasi paradisiaco e incontaminato, simbolo di libertà e bellezza, ma dall’altro è circoscritto da mura e dagli stessi elementi naturali che compongono il panorama: un lago dalle acque cristalline, dei boschi fitti, i calanchi. Oltre a questa prima gabbia metaforica, ho cercato di insinuare un altro sdoppiamento: quello degli abitanti. Gente attenta e sensibile, civile, ognuno con la propria competenza che mette al servizio della comunità. Sembrerebbero tutti bravi, almeno finché non cominciano a gettare le maschere…
Anche l’amore a Monterocca è particolare: come lo definiresti? Amore libero o libertà di essere felici?
L’amore a Monterocca avviene come in ogni altro posto: qui vivono famiglie (di ogni genere e senza pregiudizi razziali né di orientamento sessuale, etc) e persone single o impegnate con un partner che vivono serenamente le loro relazioni. Chi è fedele, chi tradisce senza nasconderlo, chi ama nonostante i problemi, insomma: accade tutto come nel resto del mondo, l’unica differenza è che qui i sentimenti si dispiegano all’insegna del rispetto e della libertà.
Uno dei temi centrali del libro è il femminicidio: donne uccise e mai ritrovate. Donne fatte sparire perché troppo presenti, ingombranti. Il giustiziere del libro riparte da dove le indagini si erano arenate e vendica le vittime, giustiziando i mariti colpevoli. Il tuo sguardo però è puntato su altri, su chi è vittima due volte e troppo spesso viene dimenticato.
Le vittime di violenza assistita ad oggi sono il 65%, ciò significa che 65 violenze su 100 violenze vengono commesse in presenza dei bambini. E’ un numero altissimo e agghiacciante. Se si pensa poi che, in caso di femminicidio perpetrato dal padre, i figli perdono in un colpo solo entrambe le figure genitoriali, il dato diventa ancora più triste: la madre scompare e la figura del padre, cui viene tolta la patria potestà (se condannato), viene comunque contaminata da ombre di sangue, diffidenza e sospetto. Senza contare le ripercussioni che seguiranno: nessuno può uscire indenne se assiste all’omicidio della propria madre o anche solo a violenze reiterate in casa. Anche il bimbo più forte del mondo ne pagherà purtroppo gravi conseguenze.
Credi nella solidarietà?
Ci credo religiosamente, forse anche grazie alla lezione del mio maestro Gabriel Garcia Marquez. Lui dichiarò, a proposito di Cent’anni di solitudine: «La solitudine è intesa come l’opposto della solidarietà. Una mancanza di solidarietà che investe la società, portandola alla catastrofe». La solitudine di cui parlava l’autore colombiano è il nostro individualismo, un egotismo che ci porta a disinteressarci degli altri e a ripiegarci sul nostro ombelico. In questo senso la “solitudine” è socialmente distruttiva ed è stato per me importante che ogni mio romanzo cercasse di recare, anche solo in maniera marginale o laterale, un messaggio di solidarietà.
Se al mondo più donne fossero al potere, sarebbe veramente un posto migliore o discriminazione, disparità, corruzione, ambizione , arrivismo e malaffare sono mali del genere umano che non conoscono genere?
Se il potere (politico ed economico) fosse gestito da persone oneste e motivate, quindi non concentrate su interessi personalistici o di casta, la nostra esistenza sarebbe migliore. Se al potere ci fossero più donne, la nostra società sarebbe più equa. Questo non significa che tutte le donne siano in gamba, quindi sarebbe indispensabile che rivestissero ruoli politici e dirigenziali individui di ogni sesso, ma seri e competenti.
La vendetta è sempre da condannare?
Questa è una domanda molto difficile. Ti posso dire che non credo nella giustizia faidate. Viviamo in una società organizzata, non credo che l’anarchia funzionerebbe. Se tutti ci facessimo giustizia da soli precipiteremmo in un abisso ingestibile. Certo è che la giustizia, oggi, necessita di una riflessione. Le leggi esistono: il passo successivo è che vengano applicate. Che vengano formati magistrati, giudici, forze dell’ordine, assistenti, etc e coordinati meglio tra loro. I casi di femminicidio annunciato sono troppi e ingiustificabili.
Come hai scelto le canzoni che fanno da colonna sonora al libro?
La colonna sonora è stata stilata da mia figlia, che è molto più esperta di me quanto a rock, blues e jazz.
Micol è la protagonista del libro. Una mente scientifica compensata da una parte sognatrice.L’essere sognatrici è una debolezza delle donne, secondo te? Le rende vulnerabili? Oppure è una forza che permette ogni volta di ripartire?
Tutti possiamo essere sognatori e questa condizione ci può dare o togliere forza, dipende molto da come è predisposto il soggetto che sogna. Micol, nello specifico, ha delle vulnerabilità dovute alla sua gentilezza, alla sua attenzione verso l’altro, perché purtroppo, oggi, chi è gentile viene scambiato per ingenuo. Invece lei è tenace come una guerriera: eppure mantiene il cuore grande di chi sa bene che il nostro destino è incrociarci con gli altri.
Perché hai voluto che Micol avesse una cicatrice ben visibile a segnarle il volto?
Per scoprirlo dovrete arrivare fino ai tre quarti del romanzo, quando spiego l’origine di quella cicatrice. 🙂
Altro personaggio che colpisce è la Circassa, che se da un lato ricorda l’immagine di quelle erboriste che venivano definite streghe, dall’altro incarna l’essenza femminile, accogliente ma severa, amorevole ma decisa. Oserei definirla Gea, la grande madre. Sbaglio?
Credo che questa definizione le piacerebbe molto, anche perché la Circassa ha un rapporto privilegiato con la Madre Terra: raccoglie molte delle erbe officinali che vende, le lavora con dedizione, ascolta i segnali, capta anche le emozioni. È decisa ma amorevole, è vero. Esperta nel suo lavoro di erborista: si tratta di competenze date dalla passione e dall’esperienza, dove parte fondante ha il rapporto con la gente e con la natura.
Piccola curiosità: Juana, la poliziotta messicana. L’hai inserita perché è una “guerrera? “. Una che è riuscita a non diventare una sposa sepolta?
Hai colto perfettamente il mio intento. Non volevo che il romanzo fosse costellato soltanto di eventi conclusi male. Volevo un esempio edificante, contaminato però dagli imprevisti della vita che, lo sappiamo: non mancano mai.
Perché hai deciso di usare la parola “sindaca” ? La parità passa davvero anche attraverso una desinenza?
Perché il vocabolario lo prevede e penso che sia molto importante l’utilizzo che facciamo del linguaggio. Anche una lettera può cambiare il significato o connotarlo di un forte valore idealistico.
Stupisci ogni volta per i tuoi cambiamenti, il prossimo libro come sarà?
Grazie per le tue parole e per la lettura attenta. Ho cominciato la seconda avventura di Micol: questa volta si svolgerà a Bologna e la vedrà alle prese con una situazione molto, molto inquietante. Tornerà la Circassa ed emergeranno nuove figure che ne “Le spose sepolte” erano rimaste sullo sfondo, come, ad esempio, l’anatomopatologa Virginia Buldini, di cui in questo romanzo si ascolta soltanto la voce nelle conversazioni telefoniche, ma che i miei lettori conoscono dai tempi della trilogia della Guerrera: è quella dottoressa dal volto soave simile a una fanciulla di Manara, pasticciona che combina spesso guai quando si muove, ma medico professionale e preciso quando deve dissezionare cadaveri.
MilanoNera ringrazia Marilù Oliva per la disponibilità