Istanbul, il Bosforo, luoghi di sogno e di misteri, ancor più nel 1898, allo scadere di un secolo che ha visto ascese e discese di potenti e sconvolgimenti di nazioni. Una partita di grande importanza politica si giocherà nelle pagine di L’autunno del Sultano, partita che vedrà coinvolte le più grandi potenze europee e il sultano Abdul Hamid II.
C’è però spazio per una vicenda assai misteriosa ed enigmatica che sopraggiunge a turbare l’esistenza, già piena di affanni, del sultano: incendi dolosi, morti sospette e un cadavere ripescato nelle acque del Bosforo. Un cadavere che è molto più di un morto, dal momento che risulta composto da vari ‘pezzi’ umani appartenenti ad altre vittime.
Chi verrà chiamato a indagare non è un addetto ai lavori, ma il marinettiano architetto Raimondo D’Aronco, un geniale cosmopolita con il cuore friulano, nella natia Godo, che alterna peccaminose fumate di oppio a effervescenti incontri erotici e a ben più edificanti (e valentemente edificate) opere d’ingegno. Personaggio realmente esistito, Raimondo costruisce edifici in cui Oriente e Occidente si uniscono con passione e rispetto. Insieme al fedele Volkan, aiutante dalla loquela turco-friulana, D’ Aronco affronterà pericolose e misteriose peripezie per portare a termine la sua indagine.
Per tessere le lodi di questo romanzo basterebbe solo citare la sfrenata ammirazione del Sultano per Sheik Holmes, più noto come Sherlock Holmes, che consente a Flavio Santi di misurarsi con il grande Umberto Eco in un gioco di ironia, citazioni, allusioni quanto mai originali e godibili, attirando il lettore in un gioco dotto e appassionante. Impossibile tralasciare l’utilizzo del secondo libro della Poetica di Aristotele, motore narrativo de Il nome della rosa, per sottolineare l’importanza del misterioso libro che guida le azioni degli avversari di Raimondo. Certamente, se Eco avesse potuto leggere queste pagine, si sarebbe assai divertito.
E per tornare al sultano che dà il titolo al libro, colui che viene definito l’Ombra di Dio sulla terra ci viene mostrato come un gatto spelacchiato, in una satira elegante quanto derisoria dell’inadeguatezza di chi regge le sorti dei popoli, come il Kaiser in balia dei capricci della consorte.
Questo libro necessiterebbe di una ben più lunga recensione, tanti sono gli spunti, letterari, storici, politici, artistici che offre nelle sua pagine e che lasciamo al piacere del lettore.
Occorre però citare una delle più belle descrizioni letterarie degli ultimi anni, che si trova a pagina 23, in cui l’autore rappresenta l’incendio del Fanar, l’antico quartiere greco sulla sponda europea di Istanbul: l’ anafora “brucia la città nata… brucia la città rinata… brucia la città strappata…” ha una tale potenza e un tale afflato lirico che nobilita il genere giallo, mostrando come uno stile superbo travalica ogni orizzonte di genere e rende indimenticabili un luogo e una storia.