Ad Hans Kuperus, dottore a Sneek, paesino della Frisia olandese, il semplice giro del destino si presenta con quanto di più tradizionale ci possa essere. Una lettera anonima con cui lo si mette in guardia del tradimento della moglie Alice con un facoltoso concittadino. Ci vuole un anno perché il dottore metabolizzi la notizia e prenda una decisione: il primo martedì di gennaio si recherà ad Amsterdam, sorprenderà la coniuge con l’uomo e li ucciderà. Poi lui stesso si toglierà la vita.
No, le cose non sono andate del tutto così. Il doppio omicidio è avvenuto secondo programma, con un tasso d’anonimato troppo elevato per fargli credere di dover vivere nell’ansia delle indagini. Ma il suicidio non c’è stato. Anzi, Hans Kuperus è tornato in paese e, dopo aver passato la serata al caffè dove si riuniscono i membri dell’Accademia del Biliardo di cui è storico socio, torna a casa e si porta a letto Neel, la giovane domestica che da quella notte gli permette ogni giorno di cogliere e apprezzare il suo intero e florido patrimonio.
Tutto nella norma per il protagonista de L’assassino di Georges Simenon. Fino a quando nella norma il vivere ordinario del dottore gli consente di restare. Perché prima o poi subentra l’incalcolabile e allora i conti non si riescono più a fare con così grande razionalità. Siamo solo esseri umani e non ci è concesso di imporre la nostra volontà su tutto ciò che ci succede. Figuriamoci se possiamo anticipare e condizionare gli eventi. Stiamo buoni, al limite possiamo resistere alla pazzia, cadere nell’abisso cercando di far sì che il tonfo avvenga di sponda per attutirne gli effetti. Ma assopire il male fatto perché disturba il nostro metodico tran tran costruito nel tempo è solo la prova provata dell’iniquità del genere umano. Che pensa appunto di poter agire sine die senza invece accontentarsi di reagire come meglio può. Qualcuno da qualche parte ci guarda. È il nostro terzo occhio. Mai miope o presbite.