La scacchiera di Auschwitz di John Donoghue
Giunti Editore
In un crescendo di emozione che scava nelle profondità dell’animo, La scacchiera di Auschwitz è un romanzo sorprendente perché apre uno spiraglio di luce in uno dei periodi più bui dell’umanità.
È la storia profonda, controversa e dolorosa di un’amicizia tra due esseri umani che sono stati nemici.
Novembre 1943. Tra nubi di vapore il treno da Cracovia si ferma cigolando nella stazione di Auschwitz. Trasferito dal fronte russo a causa di una ferita alla gamba, l’ufficiale delle SS Paul Meissner dovrà occuparsi dell’amministrazione dei campi di concentramento. In particolare, dalle altissime gerarchie del Reich è arrivato l’ordine di innalzare il morale delle SS attraverso attività ludiche ma nello stesso tempo edificanti. Meissner decide così di fondare un club degli scacchi dove gli ufficiali possano sfidarsi.
Finché nel campo inizia a serpeggiare una voce: tra i prigionieri c’è un ebreo francese, un certo Emil Clément detto “l’Orologiaio”, che a scacchi è sostanzialmente imbattibile.
In una spirale di orrore e sadismo, Clément è costretto alla sfida più pericolosa e terribile di sempre: giocare contro le SS mentre in palio c’è la vita o la morte di altri prigionieri.
Vent’anni dopo, ormai scrittore di successo, Emil Clément partecipa a un torneo di scacchi ad Amsterdam. Non può sapere che proprio in quella città la sua strada si incrocerà di nuovo con quella di Paul Meissner. Cosa ci fa lì? E che cosa vuole ancora da lui?
Uno spiraglio di luce in uno dei periodi più bui dell’umanità.
John Donoghue vive a Liverpool e prima di dedicarsi a tempo pieno alla scrittura si è occupato per anni di salute mentale, pubblicando numerosi articoli su prestigiose riviste di settore.
La scacchiera di Auschwitz è il suo primo romanzo, in corso di traduzione in 7 Paesi.
Dal libro:
«Sembra che tutti vogliono che passi il resto della mia vita a cercare un tedesco buono. Perché? Perché possa scusarsi? Non esistono scuse. Vuole un tedesco buono? Mi stia a sentire, non ne ho mai visto uno. Nemmeno uno.»
«Vuole sapere se quello era un tedesco buono? Be’, se essere buoni vuol dire approfittarsi degli indifesi, di quelli che non hanno niente, di quelli che sono alla deriva e senza speranza, allora sì, era buono.»