La notte bianca. Un giallo inuit
” Una bella copertina – con tanto bianco neve a mescolarsi con il rosso del sangue vicino alle tipiche casette a tinte vivaci – ci conduce in un territorio a noi lontano e spesso estraneo alle trame gialle.
Già la copertina racchiude in sè molto di quanto troveremo nelle oltre 500 pagine del romanzo che vede l’esordio di Qaanaaq Adriensen, capitano della Omicidi della polizia danese.
Abbiamo conosciuto e frequentato le tonalità del giallo scandinavo ma qui siamo ancora più su, ad un’altra latitudine e ad altre sfumature: siamo cioè in Groenlandia, terra sterminata ai confini del Circolo Polare Artico, per seguire le gesta di questo poliziotto spedito qui per cercare il responsabile (o i responsabili) di tre delitti avvenuti a danno di dipendenti stranieri della Green Oil, una compagnia di estrazione petrolifera.
Il capitano Qaanaaq arriva a Nuuk, prende subito contatto con Rikke Engell, tanto fascinosa quanto abrasiva responsabile della polizia locale, e si vede affiancato dall’ispettore Apputiku Kalakek, che impareremo presto a conoscere per i suoi silenzi, le sue espressioni e i modi di vivere da autentico e orgoglioso inuit.
Ciò che Qaanaaq comprende subito è di essere poco gradito, nonostante quella groenlandese sia la sua terra natale.
Quello che percorrerà Qaanaaq sarà un viaggio in questo spazio sconfinato e ghiacciato ma soprattutto in un “territorio” altrettanto sconosciuto e tenebroso quanto introspettivo: correrà cioè a perdifiato e andrà inconsapevolmente a ritroso per trovare, senza cercarlo, se stesso e le proprie origini, il proprio passato, la propria terra, il proprio sangue.
Ecco, quello che caratterizza questo romanzo è il sapore inuit, ed è viva la necessità per il lettore di lasciarsi trasportare nei gusti, tra gli odori, nelle abitudini e nelle consuetudini inuit per comprendere pienamente il senso di tutto.
Una narrazione riccamente infarcita di idiomi inuit delinea il tratto caratterizzante del romanzo: qui più che i meccanismi del giallo classico e le tecniche investigative conta conoscere e comprendere le caratteristiche inuit dei luoghi e delle persone. Tralasciando questo aspetto è impossibile porsi sulla stessa lunghezza d’onda del narratore.
Gli ingredienti che si miscelano sono ben variegati e coinvolgono diversi piani narrativi: le sfere intime e personali dei protagonisti con le loro tensioni e ambizioni, le ampie e dettagliate descrizioni degli scenari naturali, dal whiteout alla notte polare, e poi l’ambientalismo, la corruzione morale, la lotta per l’indipendenza dalla Danimarca, il doppiogiochismo, l’avidità, il furore di un popolo “gelosamente attaccato ai propri valori tradizionali eppure pronto ad esaltarsi in maniera infantile al minimo segno di modernità”.
Tutto ciò intreccia e tiene insieme la trama gialla che vede i primi tre morti divenire presto quattro e poi crescere ancora di più. Si uccide per vendetta, per potere e sì, a queste latitudini, anche per disgusto.
Il principale ricercato pare essere, per le modalità dell’attacco subito dalle vittime, un orso polare. E per quanto possa apparire strana l’ipotesi sembra reggere.
Un ruolo speciale lo giocano i tupilak, piccole statuine d’orso del folclore inuit trovate accanto a ciascun cadavere. Questi tupilak ci accompagnano lungo l’intero arco del romanzo, interrogando i nostri beniamini, e ci saranno da protagonisti quando il cerchio si chiuderà. Quando la circolarità delle cose della vita porterà cioè Qaanaaq a trovare risposte per le quali non aveva mai cercato domande: quindi non tanto alla trama gialla “principale” quanto piuttosto al giallo che coinvolse la sua famiglia biologica.
A ingarbugliare la matassa della trama della narrazione offre aiuto l’infinita sequenza di spostamenti, di viaggi e di cambi di scenario in un contesto spaziale infinito e incontaminato. E poi nuovi personaggi entrano e altri muoiono creando dubbi e incertezze nel lettore costretto ad interrogarsi circa il peso di tali eventi nell’economia complessiva del racconto.
Ad un certo punto Qaanaaq lascerà Nuuk, prima sede del suo approdo groenlandese e luogo dei primi omicidi, per proseguire le sue ricerche nella città di Qaanaaq (luogo di altri due omicidi) e poi ancora più su nell’Inlandsis.
In questo giallo inuit la politica fa il suo gioco, di macchinazione, di potere e di prospettiva, al pari dei fanatici dell’ultranazionalismo. E, alla bisogna, servendosene.
Alcuni nodi si scioglieranno per complicare ancora di più il racconto: sarà solo con i piedi affondati ma non sprofondati nella neve ghiacchiata e ben piantati nella storia (Camp Century) che Qaanaaq tirerà le fila di una vicenda che ha già incontrato e conosciuto un buon riscontro da parte del pubblico in Francia. Terra natia dell’autore, francese che si cela dietro lo pseudonimo di Mo Malø.
Mi sento dal profondo del cuore di consigliare la lettura di questo romanzo?
Imaqa “