“Impari a essere un patriota e a capire l’importanza di anteporre il suo Paese alla sua opinione personale. È questo che ha reso grande la Cina. Ci pensi: dal Primo imperatore fino a oggi, la Cina è sempre stata forte quando il suo popolo ha messo al primo posto il potere centrale.”
Mettere al primo posto il potere centrale rinunciando a tutto, al bisogno di libertà, alla sete di verità, insabbiando, ricoprendo, facendo finta di non aver visto o aver visto male. Siamo nella Cina odierna, e Tian Haifeng, l’ispettore capo dell’ufficio di pubblica sicurezza di Nanchino, è ormai divenuto un veterano della sezione omicidi. I suoi occhi hanno visto così tanti morti ammazzati da averne perso il conto.
Ma la vita, alla fine riserva sempre qualche sorpresa. Ed ecco che, in una giornata piovosa, Haifeng si imbatte in una donna mummificata nascosta nella torba. La chiamata di un contadino porta il detective sul luogo della scoperta; un campo, un cadavere una donna dai riconoscere e la verità da riportare a galla. La donna mummificata si trova nella regione cinese dello Xinjang, Haifeng tuttavia è colpito da un dettaglio: i tratti somatici della donna, anche se non facilmente riconoscibile, sono occidentali.
Sembra un quadro semplice, un caso come tanti già risolti, ma Haifeng non ha fatto i conti con i vertici del Partito, con il Ministero della Cultura cinese, con le strutture segrete dello Stato, che hanno mettono al primo posto esclusivamente la ragion di stato. Haifeng vuole vederci chiaro ma il cadavere rimane bruciato in un incendio doloso.
Il detective non demorde; inizia così un viaggio alla ricerca della verità e lasciando Nanchino attraversa tutta la Cina per arrivare a Xinjiang, una regione calda e piena di etnie dove quella degli Uiguri, rappresenta la maggioranza.
Haifeng allontanato dalle indagini che a Nanchino rischiavano di calpestare i piedi delle alte sfere, si ritrova nel bollore dello Xinjiang sullo sfondo dei violenti scontri tra i musulmani Uiguri, perseguitati dal regime, e le forze di sicurezza cinesi, a seguire le attività di un vecchio professore di archeologia.
Le attività segrete che il professore sta svolgendo per conto del governo Ministero della Cultura Cinese riportano Haifeng a seguire nuovamente la pista sempre calda della mummia ritrovata e improvvisamente divenuta cenere in un laboratorio di Nanchino.
Arrivare alla verità significa oltrepassare un muro di gomma, significa per Haifeng combattere lo stesso Stato per cui lavora, significa mettere a rischio la vita di ogni suo affetto, di quello lasciato a casa e di quelli nuovi incontrati nello Xinjiang.
Martin Long mette il lettore su un treno immaginario, uno di quelli che attraversano a gran velocità la Cina, e lo conduce verso un viaggio all’interno di un popolo pieno ancora di tante contraddizioni, pieno di dissidi interni, dove la povertà è ancora latente e le istituzioni restano offuscate da una nebbia di corruzione. La rivendicazione del proprio genere, della propri identità, della presenza cinese come prima etnia colonizzatrice della Cina stessa è una delle chiavi di lettura di questo giallo ben scritto, avvincente, specie nella seconda parte, in cui Haifeng si trova suo malgrado in piena azione.
L’attenzione del lettore, che segue le vicende del rude ispettore, si concentra man mano sullo stile di vita dei personaggi che accompagnano Haifeng sulla scena del romanzo; il contadino che teme il sequestro della terra, unico sostentamento, il vecchio professore che vive in povertà ma che supporta, ignaro, le ricerche segrete di “gloria” del governo centrale; la ragazza coinquilina del professore tornata in Cina alla ricerca di una sua identità. Long delinea tutti i personaggi come avvolti da una nebbia, mai definiti nella loro identità come se fossero burattini manovrati da una dittatura sempre presente in ogni angolo delle città ed in ogni aspetto della vita dei personaggi stessi. Tutto si muove rapidamente verso un finale a sorpresa dove ogni pezzo del puzzle prenderà il posto assegnato.
La donna della palude – Martin Long
Mauro Grossi