“Lo spazio nero” è dentro ciascuno di noi. Esiste e non possiamo negarlo. Non sto scrivendo di alcunché di negativo – premetto – mi riferisco a quell’aspetto, o a quegli aspetti, che solitamente – se siamo in grado di riconoscere – preferiamo tenere chiusi all’interno della piccola cassaforte che le nostre certezze, anche false, spesso rappresentano.
Eppure, per chi scrive – e per chi, adesso, scrive – “Lo spazio nero” è di fondamentale importanza: motiva, crea, distrugge – se serve – e molto altro ancora. Alcuni parlano di “vena creativa”, altri di “motivazioni”, certuni di “talento”, altri ancora di “bisogno di esprimersi” e via scrivendo. Io, come sempre, non so quale sia la giusta definizione. Né mi interessa, eventualmente, conoscerla. So solo che, in ambito letterario molto spesso si trattano i libri, gli scritti, i testi, le frasi e persino le singole parole come unità distinte da colui che le scrive. Come oggetti separati dai contesti che esprimono.
E questo, spesso, perché quei concetti, semplicemente, non vengono riconosciuti o non sono considerati come qualcosa che ci “appartenga” realmente.
Ai miei allievi – i ragazzi che con me portano avanti gli ideali MacAdemia – fra le prime nozioni che insegno ce ne sono un paio apparentemente contraddittorie:
1) gli autori non vengono offerti “in allegato” al libro;
2) concluso un testo, occorre “dimenticarsene”. Spetta agli altri interpretarlo e “comprenderlo” come meglio preferiscono.
Ripeto: sembrerebbero due affermazioni in netta contraddizione. Eppure così non è.
Si tratta, in entrambi i casi, di “libertà”. Da un lato c’è la libertà dell’autore di inserire in uno scritto tutto quello che desidera e dall’altra c’è la libertà del lettore di cogliere in quello stesso testo “solo” – o quanto – gli interessi realmente.
In mezzo, ne “Lo spazio nero”, ci sono infiniti gradi di presunzione: autori che credono di aver reso accessibili chissà quali verità e lettori che scoprono in ogni riga una parte di sé o di quello che, per loro, il mondo stesso – tramite l’autore – rappresenta.
Tutto ciò, però, fa parte delle regole del gioco. Così come dovrebbero farne parte anche altri elementi che spesso – per disattenzione o per scelta – trascuriamo.
Ma di questi ultimi, ne tornerò presto a scrivere. Adesso è ora che io mi rifugi nel mio personalissimo “Lo spazio nero”: ho dimenticato di chiudere la cassaforte.