Intervista a Daniele Pisani , vincitore ex aequo del Premio Tedeschi 2025 con All’ombra delle due colonne.


Milanonera ha intervistato Daniele Pisani, fresco vincitore ex aequo del Premio “Alberto Tedeschi” 2025 col romanzo “All’ombra delle due colonne” che ha per protagonista Giacomo Casanova.  Daniele Pisani, ingegnere quarantaduenne con una grande passione per la pittura e la scrittura, nonché direttore di una collana di narrativa crime storica, già finalista nel 2012 del Premio Tedeschi, ha all’attivo una ventina di e-book, pubblicati da Delos Digital, inoltre è coautore di Ramses il Figlio del Sole, quarto libro della saga Il romanzo dei faraoni a firma del collettivo Valery Esperian, per la casa editrice Fanucci. Il suo racconto lungo Sherlock Holmes e l’indagine con Buffalo Bill è pubblicato in appendice al romanzo di Arthur Hall intitolato Sherlock Holmes – L’ombra della Gorgone, sul numero 60 del Giallo Mondadori Sherlock.

Ingegnere di professione, pittore per passione, hai anche una lunga frequentazione letteraria con Giacomo Casanova a cui hai dedicato romanzi e racconti. Cos’hai provato a vincere il premio Tedeschi proprio quest’anno che ricorre il 300° anniversario della sua nascita col tuo romanzo “L’ombra delle due colonne”?

Un senso di chiusura del cerchio e di felicità. In effetti, così l’omaggio al personaggio è completo, nell’anno casanoviano per eccellenza. Ma mi credete se vi dico che non è voluto? Nel senso che volevo tanto partecipare al premio dell’anno scorso, 2024. Ma ho fallito. E per mesi me ne sono fatto una colpa. Ma il romanzo non era pronto, dovevo rassegnarmi. Tutto rimandato. Poi, soltanto con l’uscita del successivo bando di partecipazione ho davvero realizzato che sarebbe stato il Tedeschi 2025, ossia a 300 anni esatti dalla nascita di Casanova. Allora, i mesi successivi, dedicati alla revisione del romanzo, li ho passati con una strana carica interiore, quasi magica. “Dai che ce la fai” mi ripetevo, “forse è destino”. 

Nato a Venezia nel 1725 e morto nel 1798 in Boemia nel castello di Dux, avventuriero, letterato, libertino, seduttore infaticabile, baro, agente segreto della Repubblica di Venezia e molto altro ancora, chi era veramente Giacomo Casanova?

Oltre il mito abbiamo in primis un letterato che ha pubblicato 43 opere in vita. Un meraviglioso memorialista, coltissimo, traduttore di Omero, amante della poesia; persino un matematico. Un uomo che ha incontrato Voltaire ed è stato capace di metterlo in difficoltà, parlando di filosofia. Era un perfetto uomo del Settecento europeo, con tutte le contraddizioni della sua epoca. Uno dei tanti avventurieri che girovagavano per l’Europa. Forse non il più grande né il più fortunato, ma quello che ha saputo lasciare ai posteri il lascito più ricco ed emozionante: la Storia della mia vita. Straordinaria testimonianza della realtà settecentesca. Amava la bella vita, si affidava alla fortuna senza temerne più di tanto i rovesci, perché possedeva una fiducia incrollabile in se stesso. Sapeva come ottenere appoggi dai potenti, come farsi aprire la loro borsa. Fiumi di denaro sono passati tra le sue mani; ma lui ha scialacquato tutto. Amava le donne e si innamorava spessissimo, amava il cibo e la cultura; curiosissimo dell’uomo, e del suo tempo, ha girato l’Europa per appagare tale interesse. 


L’Histoire de ma via, l’opera autobiografica scritta negli ultimi anni di vita da Giacomo Casanova, fu pubblicata postuma, poi venne messa al bando nell’indice dei libri proibiti insieme a tutti gli altri libri dell’autore e soltanto dopo decenni venne ripubblicato il manoscritto originale, acquistato poi nel 2010 per 7 milioni di euro dalla Biblioteca nazionale di Francia, da un erede. Quanto è stato impegnativo documentarti storicamente per scrivere il tuo romanzo?

Nel mio romanzo non c’è la “grande storia” ma la “piccola storia”, quella della vita di tutti i giorni. In questo, fonte principale è ovviamente il testo casanoviano, letto quattro volte in tre edizioni diverse. La prima lettura a quindici anni. Poi ho perso il conto dei saggi sul personaggio. E pure non saprei quantificare le letture “vagabonde” della Storia della mia vita: qualche paginetta qua e là, ogni tanto, magari al termine di una giornata faticosa, giusto per cogliere un po’ di quello slancio vitale di cui sono pregne. Un po’ come alcuni che di tanto in tanto sentono il bisogno di leggere qualche pagina del Vangelo, per sentirsi in pace. Ecco, quel tipo di fanatismo, oserei dire. Quindi è stato un piacere. Per il resto, ho consultato a fondo testi che parlano della Venezia settecentesca: vita quotidiana, casi di cronaca nera e altro. Un lavoro spesso gravoso, che richiede tempo, organizzazione, concentrazione. Ma la passione ti sostiene, sempre.      

Sotto le Due Colonne di San Marco, che danno il titolo al tuo romanzo, venivano eseguite le esecuzioni capitali nella Repubblica di Venezia. Quanto è importante la descrizione delle location realmente esistite in un romanzo di fantasia?

Calvino diceva che la fantasia è come la marmellata, occorre che sia spalmata su di una solida fetta di pane. Ecco la “solida fetta” nel giallo storico: descrizioni vere, meglio se di luoghi tuttora esistenti, così il lettore si ritrova. E poi al termine può guardarli con occhi diversi. Ma non soltanto questo. In linea generale, non si può prescindere dalla logica anche in un’opera di fantasia; anzi, a maggior ragione. Occorre la logica per non perdere il controllo, non incappare in incongruenze, evitare stonature. Poi a qualcosa si può rinunciare, e ciò che perdi in verosimiglianza lo guadagni in emozione. Ma occorre ponderare bene. In questo, la tecnica aiuta molto, lo studio, l’esperienza.

Nonostante le varie avventure, e non poteva essere diversamente in un romanzo con Casanova protagonista, che si presta perfino a un triangolo con annesso poeta/guardone, non si trova una sola descrizione osé o una scurrilità. Quale alchimia hai utilizzato per dosare in maniera così elegante la trama gialla con le avventure galanti di Casanova?

È stato in effetti un azzardo, perché mischio romanticismo/erotismo a elementi raziocinanti. Due caratteristiche in contrasto. Il rischio era di fare un gran pasticcio. In generale, pensando al romanzo nella sua interezza, mi sono immaginato di essere un cuoco che debba aggiungere del piccante a un piatto: né troppo né troppo poco. Nello specifico delle singole scene, invece, spero di avere appreso la lezione del maestro, ossia del Casanova memorialista. Io credo che immagini forti, per nulla sminuite nella loro carica erotica, possano essere fornite al lettore anche usando termini eleganti, artifici linguistici poetici, similitudini raffinate riferite per esempio al mondo dell’arte quando si descrive un nudo. 

Come è nata in te la passione per Giacomo Casanova investigatore di delitti, ma conosciuto dalla maggior parte degli italiani soltanto per le sue innumerevoli conquiste amorose?

Dopo avere immagazzinato tante nozioni su Casanova, mi era balenata l’idea di un saggio storico su di lui. Ma mi pareva presuntuoso e oltre le mie capacità. E poi, a chi sarebbe interessato? Mio obiettivo omaggiarne la figura e favorirne la conoscenza, dato che proprio noi italiani lo abbiamo dimenticato. Non ci sono vie o piazze dedicate a Casanova. Perché? Eppure lo meriterebbe. Allora, ecco l’idea: Casanova investigatore. Non sono il primo ad averci pensato. Ma il primo a farlo adottando una soluzione tecnica all’apparenza semplice ma rivoluzionaria: l’uso della prima persona. Così sembra davvero scritto da lui, tratto dalle sue Memorie, una sorta di spin-off. Ho imitato il suo stile stando attento a non scimmiottarlo. E ho avuto cura di confezionare qualcosa che fosse fruibile da un pubblico moderno ma che avesse, come dire, un sapore e un profumo antico.

Dopo tanti anni di gavetta e diversi romanzi pubblicati, con quali aspettative hai iscritto “L’ombra delle due colonne” al Premio Tedeschi, concorso in cui eri già stato finalista nel 2012 col romanzo Sherlock Holmes e l’assassino di Whitechapel?

Speravo di entrare almeno nella rosa dei finalisti. Come spiegato, il romanzo è un vero azzardo e occorreva che i giurati ci credessero fin dall’inizio, che ne riconoscessero il valore e la carica innovativa. Pur apprezzandolo, avrebbero potuto però non considerarlo meritevole della vittoria o adatto alla collana. Questi i miei dubbi. Alte aspettative, quindi, certo, ma pronto ad accettare la sconfitta per ottime ragioni.  

Che consigli ti senti di dare a chi si vuole mettere in gioco alla prossima edizione del più prestigioso premio italiano per la narrativa gialla?

Porta avanti la tua voce autoriale, la tua idea. Ma punta tutto sulla qualità, sull’idea forte, sull’originalità. Non avere fretta, revisiona il più possibile. Se senti di non essere pronto, non partecipare. Abbi pazienza. Raccogli pareri da beta lettori esperti di cui ti fidi, se puoi, e ascolta con umiltà i loro consigli. Non cercare di compiacere la giuria. Non mettere elementi per fare capire che hai letto molto, che sei preparato. O peggio, non imitare lo stile di uno, o più, dei giurati, nella speranza di accattivarti la sua simpatia. Presenta un lavoro nella migliore forma possibile, come se dovesse andare in stampa il giorno dopo. E lavora sui personaggi prima della trama. Saranno loro stessi, se ben caratterizzati, a suggerirti come andare avanti. Altrimenti rischi di creare dei “binari fissi” (la trama) su cui muovere meccanicamente delle “locomotive” (i personaggi). Con la conseguenza che, piegandosi alle esigenze narrative preimpostate, appariranno poco credibili. 

@per le foto ringraziamo Franco Forte il sito ufficiale del MystFest 2025

Roberto Mistretta

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