Non si può parlare di questo romanzo senza prima avere delineato il suo protagonista, ovvero il detective Bernie Gunther. Un soggetto seriale creato dalla penna dello scrittore scozzese Philip Kerr, autore di “trame nere” in cui vi è una puntuale ricostruzione storica. Deceduto nel 2018, a sessantadue anni, l’autore ha dato alle stampe numerosi romanzi con Bernie Gunther, che da qualche anno Fazi Editore sta ripubblicando nella sua collana Darkside.
Cos’ha di tanto speciale questo detective? Che prima di essere arruolato come un cultore delle forze dell’ordine, è stato al servizio dei nazisti. Pur non proclamandosi mai a favore del partito, detestando il modo di agire e mettendo bene in chiaro di non essere disposto a trucidare donne e bambini, Bernie deve convivere coi fantasmi del passato. Dal momento che non ha saputo reagire nel concreto, a ordini impartiti da superiori pericolosi e spietati. Ha girato le spalle alle vittime, in sostanza. Perché chi tace acconsente e Bernie Gunther non se lo potrà mai perdonare.
Violette di marzo è stato il primo romanzo della serie, a cui sono seguiti Il criminale pallido, Un requiem tedesco, L’uno dall’altro, A fuoco lento, Se i morti non risorgono.
Ecco quindi che, con la preziosa traduzione di Stefano Bortolussi, a luglio 2025 è uscito Il gioco della storia, per la prima volta nella nostra lingua italiana. Come di consueto, la trama è intricata e incalzante. Forse però, chi legge si aspettava altro. La parte iniziale vede infatti tutt’altra dinamica, rispetto al fulcro della vicenda, quasi che il colpo di scena sia stato inserito dall’autore all’inizio, per poi virare e ricostruire una storia che è avvenuta indietro nel tempo. Complice la predilezione di Kerr per i salti temporali repentini, tipo un moto perpetuo.
È il 1954 e il clima all’Avana è teso, con violente repressioni della polizia a scapito dei dissidenti al regime di Batista. Bernie Gunther, che di anni ne ha più di qualcuno e ora iniziano a pesare, vive a Cuba sotto falsa identità. A dire il vero, egli si prepara a lasciare l’isola alla volta di Haiti, poiché ha vinto una barca al tavolo da gioco. Sì, avete capito bene, una barca. E il lettore s’immagina perciò chissà quale risvolto avventuroso in mare, anche perché Bernie è costretto a portare con sé la giovane prostituta Melba, che ha fatto della rivoluzione il suo vessillo ed è implicata in un omicidio.
Il viaggio viene inaspettatamente bloccato dalla marina americana, che arresta Bernie Gunther e lo conduce a New York, sotto la custodia di due agenti della CIA, Silverman e Earp, che lo accusano di essere un nazista. Verrà poi portato in Germania, precisamente nel carcere di Landsberg, nella famigerata cella numero 7, la stessa dove fu rinchiuso Hitler e dove quest’ultimo scrisse in Mein Kampf.
Bernie Gunther deve ripercorrere così gli anni della guerra, giocando d’astuzia. Scegliendo bene cosa raccontare e cosa omettere ai suoi aguzzini, che lo incalzano di domande. Perché non sempre la verità porta a salvarsi la vita. Deve restare lucido, Bernie! Si deve comportare come stesse giocando un’enorme partita con la storia, dato che c’è gente che vuole definire ciò che accadde durante il Terzo Reich. Il premio è la salvezza, ma Bernie Gunther presenta delle zone d’ombra e non può di certo essere definito un santo.
Un intreccio magistrale, di cui non riveleremo oltre. Sarà piacevole per il lettore scoprire da sé l’evoluzione, con particolare attenzione alla sorte dei personaggi. Anche quelli che scompaiono momentaneamente dalla scena, per lasciare il posto a evocazioni di tempi passati.
Nonostante le delicate tematiche trattate, l’autore infonde al suo personaggio un umorismo sottile, da assaporare tra le righe. Che fa di lui un protagonista da apprezzare e consigliare agli amanti della storia di quel periodo. Perché approfondire non è mai abbastanza e l’occasione va colta.