Il gioco della salamandra – Davide Longo

Chi comincia a leggere il romanzo senza prima dare un’occhiata al risvolto di copertina rischia – si fa per dire – di continuare a lungo senza accorgersi che si tratta di un libro per ragazzi, tanto è avvincente, stregante sin dalle prime pagine la figura del protagonista e l’attesa di quale sorprendente intrigo o mistero possa scaturirne. Olivo, 16 anni, genitori morti in un incidente che a lui ha provocato effetti e dato poteri non diciamo paranormali, ma inspiegabili sì. Sballottato tra comunità e affidi,
ama i libri e ne legge uno di 500 pag. in 3’20”, dice 162 parole al giorno non una di più né una di meno (gli uh uh di assenso non fanno parte del conto), impara e ricorda tutto, parla lingue che ha sentito un sola volta, ha una stupefacente capacità di cogliere i nessi e memorizzare e immagazzinare dati e informazioni multipli e complessi come i computer, e non tollera gli assassini di congiuntivi.
“I sintomi che ha citato si riferiscono all’autismo e non mi corrispondono appieno” spiega alla commissaria Sonia Sperlari che gli chiede di aiutarla a cercare quattro ragazzi di Torino tra 15 e 17 anni scomparsi e alla quale risponde: “Preferirei di no”. Perché più di una volta Olivo è sparito nei boschi per mesi per poi ricomparire con bambini e ragazzi scomparsi o rapiti. Alla fine il patto è chiuso: menù di riso in bianco con burro ecc., stanza non condivisa ma con i propri libri, 600 parole al giorno, 35 euro a settimana, nessun obbligo di usare cellulare tv computer ecc., un posto di archivista giovane per merito in biblioteca. E 5 chupa chups al dì. In realtà Olivo ha acconsentito per salvare la pelle da giovani criminali che spacciano in comunità. Frequenterà da infiltrato il liceo dei ragazzi e provvisoriamente alloggerà in casa di Sonia. Siamo solo a pagina 63, come si fa a smettere? Tanto più che una dozzina di pagine dopo ricompare Asa nella sua tuta blu. Che ci fa? Chi è? A scuola viene preso di mira da una banda di nazistoidi che lo sequestrano e lo torturano perché lo giudicano un Untermenschen, un subumano, ma alla polizia che
lo libera rilascia una falsa dichiarazione che li scagiona, con Sonia disperata, ma Olivo sa quel che fa (o forse no). E siamo a metà del libro. Arriva una richiesta di riscatto imponente, che aumenta dopo un primo tentativo di trappola della polizia andato male; arrivano anche quattro mignoli tatuati dei rapiti. Proprio nei colori dei tatuaggi lo strano cervello di Olivo vede un messaggio, un simbolo, forse delle salamandre, e nell’amputazione “un gesto rituale, tipico di molte tribù e culture tribali. Esprime il proprio attaccamento a un ideale, la capacità di sacrificio e la fedeltà a un gruppo”. È già qualcosa, una traccia, una pista. “Come hai fatto” chiede Sonia, “Come faccio tutte le altre cose” – risponde – “Non lo so”.
Di lì, 60 pag. alla fine, il giallo diventa un thriller che si inabissa nelle viscere di Torino in una sorta di archeo-speleologia urbana tra cunicoli gallerie cripte cisterne canali pozzi percorsi ingressi incroci di una mappatura catastale realmente esistente in biblioteca. Infine la storia sembra fluire lenta e calma come le acque del Po verso il finale, quando deflagra il plot twist, il colpo di scena che cambia tutte le certezze e conoscenze del lettore. Una rivelazione. Riappare Asa, forse un simil-daimon della
saga Queste oscure materie di Pullman o quella specie di notte della ragione che chiamiamo inconscio.
Longo conferma anche nella narrativa giovanile la tendenza allo sconfinamento dei generi, dal giallo-thriller al weird, strano, e rispetta i lettori adolescenti offrendogli una storia che editor ed editore forse avrebbero preferito per gli adulti, ma se vogliamo che i giovani crescano bene, come meritano, dobbiamo dargli cose belle, libri seri come La salamandra.
P.S. Le giovani salamandre di Longo fanno tornare in mente classici quali gli adolescenti assassini di Ballard (Un gioco da bambini) o suicidi di Dufosse (L’ultima ora) o seppellitori di McEwan (Il giardino di cemento). Voliamo alto, non so se mi spiego, come direbbe Olivo.

Da 12 anni

Fernando Rotondo

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