Una donna perbene.
Enid Balfame è una donna perbene. Nessun dubbio su questo. Anzi, una donna di specchiata virtù, irreprensibile e inarrivabile modello per la comunità di Elsinore, un villaggio a pochi chilometri da New York che il progresso del primo Novecento sta trasformando in cittadina, e per i membri del Club del Venerdì, che lei stessa ha fondato con l’entusiastica adesione delle sue più fervide ammiratrici, mogli anch’esse, e altrettanto esemplari, di notabili del luogo.
Bella, alta, regale, un profilo di alabastro, Enid da oltre vent’anni è sposata a David Balfame, erede volgare e gran bevitore di un fiorente emporio che pure è riuscito a mandare in malora, riciclato alla politica solo per la brillante intuizione del cognato che ha ravvisato nella sua parlantina chiassosa una dote propizia alla scena pubblica. Enid non ha mai amato il marito, la passione non si addice al suo temperamento composto, né tantomeno all’immagine che vuole dare di sé. Ora però è arrivata a odiarlo, per le figuracce che le infligge quando alza il gomito e le tante scappatelle con donnine procaci e volgari, come lui.
Che fare, dunque? Il divorzio proprio no, Enid perderebbe il suo status, precipitando dal piedistallo su cui le amiche l’hanno innalzata e venendo esclusa dalla “famosa dozzina” delle donne che a Elsinore fanno il bello e il cattivo tempo. Meglio, molto meglio l’omicidio: poche gocce di un potente veleno difficilmente individuabile con un esame tossicologico post mortem, di cui in un pomeriggio di futili chiacchiere le ha parlato il suo medico, l’adorante Anne Steuer. Il rischio è relativo, a maggior ragione nello stato di New York dove nessuna donna, anche se rea confessa, è stata fin là condannata alla pena capitale.
Ecco quindi che l’ennesima sceneggiata del marito, davanti all’intera schiera delle sue amiche, al Circolo Sportivo dove i notabili si riuniscono il sabato, dà la spinta fatale a Enid. Avvelenerà la limonata che David Balfame è solito bere a casa dopo le sue libagioni, con la fialetta che la sua lungimiranza ha già sottratto ad Anne. Qualcuno però la precede nell’intento omicida e, dal buio del boschetto limitrofo alla casa della coppia, fredda con un colpo di pistola David Balfame.
Una calibro 41 lo ha ucciso, ma un secondo colpo si aggiunge da una 38. Enid si disfa in fretta della limonata fatale, ma presto i sospetti si addensano ugualmente su di lei, grazie soprattutto ai giornalisti di New York che, come altrettante iene, hanno intuito la presa del caso sul pubblico, straordinaria proprio per quell’algida compostezza di Enid, da “fredda statua di marmo”.
Un brillante giallo d’epoca, cui nessun ingrediente manca per essere una lettura gustosa, nemmeno il colpo di scena finale, a pochi istanti dalla sentenza definitiva del processo che deciderà la sorte di Enid. Come in ogni buon mistero della whodunit, non deludono gli elementi classici: una comunità ristretta dove ognuno sa dell’altro, occhi pronti a spiare e a giudicare, invidia per la posizione di privilegio di Enid e per la sua bellezza, un giovane avvocato che forse nutre per lei ben più che ammirazione, le giovani del luogo che vorrebbero per sé il sentimento del bel giurista.
Il divorzio non si addice a Enid Balfame offre però molto di più. A partire dal titolo italiano, intelligente richiamo a Il lutto si addice ad Elettra (Mourning becomes Electra), la celebre trilogia del grande drammaturgo statunitense Eugene O’Neal, successiva di qualche anno. Un titolo che non è solo un arguto ammiccamento, giacché, se il divorzio non si confà a Enid Balfame, il lutto è proprio nelle sue corde e un dignitoso stato di vedovanza il massimo delle sue aspirazioni. Il rimando all’opera di O’Neal, che a ben vedere è in tutto e per tutto un omaggio alla tragedia greca, è azzeccato anche per un altro motivo: qui e là, la presenza del coro dei concittadini accompagna e sottolinea gli eventi, registrando la temperatura emotiva prevalente e anticipando la piega degli eventi.
E se una recensione del New York Times dell’epoca, reso disponibile dalla casa editrice, lodava l’opera della Atherton rimproverandole però di non aver voluto, per insufficiente stima del livello intellettuale del suo pubblico, “spingersi un po’ più in là” con i contenuti filosofici, psicologici e sociologici del suo romanzo, io mi permetto di non essere d’accordo. Il romanzo non solo traccia il vivido ritratto di una protagonista modernamente cinica, consapevole dei suoi limiti ma capace di farne un’arma di seduzione di massa e acutamente sensibile all’importanza dell’immagine di sé come strumento di consenso, ma descrive in anticipo di decenni la celebrazione del processo mediatico che condanna anche in assenza di prove certe, che semina sospetti pur di non perdere l’attenzione voyeuristica del pubblico. La Atherton insomma, quasi un secolo prima, mette in scena quell’esecrabile aspetto dei nostri tempi che Mariano Sabatini, brillante romanziere e grande esperto di comunicazione, definisce ”horrorteinement”. Il suo James Broderick infatti, giornalista del New York Morning News, è tale e quale una belva assetata di sangue, “sempre in pista per cercare di rimediare qualche scoop” in merito a quella che si è rivelata una preziosa “calamita per il pubblico di New York”, “avido di articoli sentimentali, violenti e pieni di suspense”, un pubblico per il quale “i sospetti si concretizzano in prove e ogni indizio aumenta l’appetito per un capro espiatorio”.
Il divorzio non si addice a Enid Balfame è anche un procedural ante litteram, attento alle dinamiche processuali, dove ogni particolare è colto con sguardo acuto, attento al colore drammatico, spesso ritratto con vivida e beffarda sintesi nei suoi elementi essenziali: l’aula come una cripta, il giudice come un abate e il procuratore distrettuale come una vespa dal continuo, fastidioso e inutile ronzio.
Il divorzio non si addice a Enid Balfame è infine una prova di arguta e vigile ironia, in cui il sorriso della Atherton non manca di scivolare noncurante e maligno su una umanità forgiata nel perbenismo, prigioniera di schemi convenzionali, che arriva a banalizzare perfino il coevo dramma della Prima Guerra mondiale, facendone l’ago della bilancia per l’orientamento delle sue simpatie verso il destino di Enid Balfame: se la Germania si avvicina a una possibile vittoria, i sospetti puntano verso i membri di origine tedesca della comunità di Elsinore, se invece pare possibile una disfatta teutonica tornano d’incanto su Enid Balfame.
L’ironia di Gertrude Atherton, come il lettore non mancherà di apprezzare, non ha nulla da invidiare agli strali acuminati di quella potente osservatrice del dispotismo familiare e maschile che fu qualche anno dopo Ivy Compton Burnett.
GERTRUDE FRANKLIN HORN ATHERTON nacque nel 1857 e morì nel 1948. Fu una prolifica scrittrice americana dal carattere forte e indipendente, ma anche contradditorio. Di lei oltre ai romanzi ci restano racconti, saggi e articoli riguardanti la politica, la guerra e la condizione femminile. Alcuni dei suoi romanzi sono serviti come trame di film muti, tra questo anche Mrs Balfame, pubblicato nel 1916 e trasposto in versione cinematografica nel 1917, sotto la regia di Frank Powell.
Proprio in questi giorni, e per la prima volta in Italia, il romanzo viene dato alle stampe dalla casa editrice Le Assassine.
Di lei, oltre ai romanzi ci restano racconti, saggi e articoli riguardanti la politica, la guerra e la condizione femminile. Alcune sue opere sono state sceneggiate in film muti. Forse però la sua opera più celebre resta Black oxen, del 1932.
Attenta osservatrice del ruolo delle donne nei primi del Novecento, la Atherton ebbe una querelle con Anna Katharine Green, un’altra grande giallista, proprio sul voto alle donne.