Un’altra bella leggenda storica che si avvale di una trama giallo noir avventurosa per ricostruire quella che era, diventò e fu Roma. Secondo capitolo o romanzo dunque della Saga dei Re di Roma, legato alla mitologica tradizione intorno alla figura di Numa Pompilio, che successe a Romolo. Numa Pompilio la cui origine sabina, ci è stata tramandata grazie soprattutto a Tito Livio, a Dionisio di Alicarnasso e a Plutarco (Vita di Numa.), regnò dal 715 a.C. fino alla sua morte nel 673 a.C. (Morì a ottant’ anni , dopo circa quarantatré anni di regno). Mitologica tradizione da sempre considerata dai critici priva di reale valore storico.
La reale esistenza di Numa Pompilio infatti, come quella di Romolo, è stata sempre discussa. Per alcuni studiosi la sua figura sarebbe principalmente simbolica; un re per metà filosofo e per metà santo, teso a creare le norme e il comportamento religioso di Roma, avverso alla guerra e ai disordini, il perfetto opposto del suo predecessore. L’origine stessa del nome (Numa da Nómos = “legge”; Pompilio da pompé = “abito sacerdotale”) potrebbe simboleggiare l’idealizzazione della sua figura. Ma…
Ma succede che con il passare del tempo una leggenda acquisita diventi plausibile. Tanti particolari che quegli antichi scrittori ci hanno tramandato mostrano logiche fondamenta, basate su tanti piccoli o grandi fatti e avvenimenti reali. Fatti che avvenivano in una terra dura, selvaggia, primordiale, ricca di foreste abitate da bestie feroci o paludoso regno incontrastato delle zanzare, quale era allora quella zona del Lazio, in tempi grami afflitti senza tregua da fame, freddo e carestie? Tempi in cui la stessa sopravvivenza spesso diventava sinonimo di sopraffazione…
Roma esisteva, era stata fondata su un sacrificio. Siamo stati testimoni per la sua creazione di un sacrificio umano: la sfida primordiale fra due gemelli e il suo doloroso esito. La fondazione di Roma, dovuta a una necessità di adattamento e conservazione, era stata una necessaria ferita del passato, c’era stata la guerra, e in seguito si raggiunse l’accordo e l’alleanza con Tito Tazio re dei Sabini. Eventi che con una superba caratterizzazione dei personaggi e un ritmo incalzante, hanno portato per mano il lettore fino alla prima pagina di questa seconda drammatica avventura umana.
E ora a noi: Numa Pompilio, il figlio dei Numi.
Cures, 753 a.C. La tempesta squarcia con fulmini e lampi il cielo annerito dalle nubi dell’antica città sabina di Cures, in quella notte dedicata alla celebrazione del sacro rito dei Parilia.
Ma sarà allora che Mezia, la regina, la moglie del re Tito Tazio svegliata dal sonno dopo il parto dai vagiti di un neonato, anzi un pianto disperato che squarcia la notte sovrastando addirittura il rumore del temporale, attraverserà la spianata sotto la pioggia scrosciante, diretta al centro della radura sacra. I vagiti provengono dal Tempio della dea Feronia e qualcosa la spinge ad andare… Appena entrata, ciò che Mezia vedrà la fa gridare angosciata: di fianco all’altare c’è un uomo riverso in una pozza di sangue, sgozzato come un animale sacrificale. Addosso ha solo una pelle di lupo, come gli hirpi-sorani, i sacerdoti lupo del monte Soratte. Ma dall’altro lato dell’altare sente forte, chiaro, un lamento. Proviene da un vigoroso sacerdote dai capelli scuri con uno spaventoso squarcio sul fianco e la tunica intrisa di sangue. Appoggiato di schiena contro l’ara sacrificale, stringe ancora in mano la lancia insanguinata di Quirino. Alza su di lei il volto, pallido e contratto da una smorfia di dolore e mormora «Mezia… sei tu?» Angosciata lo chiama: «Pompone!» È il sacerdote del tempio. Lo raggiunge, tenta di tamponargli la ferita, ma si rende subito conto che è mortale. Pompone la supplica di prendersi cura del fagotto urlante sull’altare, del neonato che con il suo pianto disperato l’ha fatta correre fino a là. E sempre Pompone, prima di chiudere gli occhi per sempre, dichiarerà che il bambino, – un “figlio dei numi” partorito sulla sedia degli schiavi perché sua madre ha voluto farlo libero – è suo figlio e l’affida alla regina Mezia e a Hirpino un etrusco da lui accolto anni prima. Favola?
Il piccolo Numa Pompilio, narra ancora il romanzo, adottato dalla regina Mezia e da suo marito e istruito dall’etrusco Hirpino – si rivela presto un bambino prodigio, destinato a una sorte gloriosa. Intanto sarà lo sposo della quasi sorella gemella Tazia nata come lui, quella notte tempestosa del 753, lo stesso giorno della fondazione di Roma. Una giovinezza densa di intrighi avventure, gioie dolori, scontri efferati, tradimenti e inumane sofferenze mentre il mistero delle sue origini continua a perseguitarlo. Il suo fato pare misteriosamente legato alle Camene, arcaiche divinità latine delle acque e delle sorgenti. Sarà forse una profezia, la profezia della Sibilla che tanto conta per lui, a suggerirgli il modo per confrontarsi con il passato scegliendo la strada dell’eremitaggio, credere in se stesso e gli altri, sapere accettare il suo destino e affrontare il futuro. Una lunga via che passa anche attraverso la riscoperta di culti tribali dimenticati, spesso feroci, e arricchito dall’amore per una sfuggente, bellissima fanciulla: Egeria, una camena, una creatura fatata che i latini credono una ninfa dei boschi.
L’ascesa al trono di Numa non avvenne subito dopo la scomparsa di Romolo, che addirittura si ipotizza attirato in un tranello e ucciso. Ci fu un interregno che si rivelò abbastanza burrascoso. Per un periodo i Senatori governarono la città a rotazione, alternandosi ogni dieci giorni, in un tentativo di sostituire la monarchia con una oligarchia. Però, incalzati dal sempre maggiore malcontento popolare, dopo un anno furono costretti a eleggere un nuovo re. L’accordo, dopo la pace tra Romolo, romano e re Tito Tazio, sabino, prevedeva un alternanza di etnie al potere. Ma c’erano forti tensioni fra i senatori: fra i Romani che proponevano come sovrano il senatore Proculo e i Sabini che volevano il senatore Velesio. Per trovare un accordo si decise che i senatori romani avrebbero proposto un nome fra i Sabini e i senatori sabini tra i romani. I Romani proposero Numa Pompilio, noto a come uomo di provata rettitudine. oltreché esperto conoscitore di leggi divine, e i Sabini accettarono (speravano di poterlo controllare?). Inizialmente restio ad accettare l’offerta dei senatori, Numa acconsentì solo dopo il favorevole auspicio degli dei e fu eletto per acclamazione da tutto il popolo.
Roma sta per diventare la Città Eterna. Ma per farlo ha bisogno di superare la cruenta eredità di Romolo e di abbracciare un nuovo ordinamento sia religioso che civile. La tradizione attribuisce alla volontà di Numa la maggior parte delle istituzioni religiose di Roma, che in realtà sono fondamentalmente analoghe a quelle di tante altre popolazioni latine e italiche. A Giano fu dedicato il famoso tempio con le “porte della guerra ” , chiuse solo in tempo di pace. Sotto Numa Pompilio le porte di Giano restarono chiuse per tutti i quarantatre anni del suo regno. Dopo di lui invece solo tre volte, nel 235 a.C. durante il consolato di Attilio Bulbo e di Tito Manlio Torquato e mel 10 a.C.durante l’impero di Augusto e di Nerone. La tradizione vuole che Numa abbia istituito anche la Festa di Quirino e quella di Marte. La prima si celebrava a febbraio, mentre la seconda dedicata a Marte si celebrava a marzo, e veniva officiata dai Salii. Avrebbe poi fissato le norme del diritto sacro e il calendario, distinguendo i giorni in fasti e nefasti, e aggiungendo due mesi (gennaio e febbraio) ai dieci istituiti da Romolo. Insomma dopo la bellicosa esperienza del regno di Romolo, Numa Pompilio seppe con la sua saggezza fornire un solido equilibrio alla nascente città. La sua leggenda dice anche che, durante i ritiri spirituali che il re si concedeva per meditare sui gravosi compiti del suo mandato, abbia continuato a frequentare boschi sacri e luoghi di devozione, spesso di notte. In questi boschi pare incontrasse la ninfa Egeria che divenne sua sposa e consigliera, conferendo al suo operato la convalida di una compartecipazione divina.
Ciò nondimeno, benché sia stato un re di pace che ha regnato per un periodo di pace. la storia gli ha regalato lo stesso una esistenza fatta di lotte. Lo costrinse ad affrontare una serie di continue e insidie, altri subdoli e sanguinosi tradimenti. E tuttavia Roma lo aveva chiamato e sarà proprio Numa Pompilio, il re saggio, a governarla, costruendo quel ponte tra gli dei e gli uomini che garantirà all’Urbe il più lungo periodo di pace della sua storia. Ma i nemici sono sempre in agguato, non si può mai cedere abbassare la testa. E i falsi amici affilano spade.
Il senatore sabino Marcio, che aveva sposato la figlia di Numa, Pompilia, dopo la sua morte si candidò alla successione ma fu superato da Tullo Ostilio e si lasciò morire di fame per la delusione. Dal matrimonio fra Pompilia e Marcio era nato Anco Marcio che sarà re dopo Tullo Ostilio.
I sette re di Roma: Numa Pompilio – Franco Forte – Flavia Imperi – Beppe Roncari
Patrizia Debicke