“Che cosa fanno esattamente gli investigatori privati? – chiese./Cercano di corrompere le personalità politiche giuste per evitare che i loro clienti finiscano in galera./Sei un cinico, Sam./Ti sbagli, piccola. In questa città, sono un realista.”
A chi appartiene questo breve dialogo? Beh, facile rispondere – direbbe un lettore appassionato di “noir” -, a Samuel Dashiell Hammett. Sbagliato. Certo, la modalità di costruire le conversazioni si avvicina molto al suo stile, però non è lui. In realtà si tratta di un altro scrittore, Joe Gores, che ha lavorato, guarda caso, proprio a San Francisco in qualità d’investigatore privato. Un’esperienza decisiva per la sua carriera di romanziere, o meglio di “giallista”. Professione iniziata nel 1966, e non solo nel campo narrativo: è stato, infatti, anche uno fra i più importanti sceneggiatori per “serial” televisivi, plasmando personaggi del calibro di Kojak, Magnum P.I., l’illustre tenente Colombo e Mike Hammer.
Gores e Hammett, due esistenze legate allo stesso destino: prima come investigatori privati, successivamente come scrittori d’intricati “noir”. Solo che il romanziere nato a Rochester nel Minnesota (1931) ha potuto, anzi ardentemente voluto, narrare del suo mentore. Semplici connessioni fra due ex “private heye” che hanno fatto, e fanno tuttora, la storia del “giallo”.
L’inventiva al lavoro: ecco come si può giustamente definire Hammett di Joe Gores, appunto, l’appassionante romanzo che narra – fra finzione letteraria e pura realtà biografica – come un ex investigatore non ancora famoso, che campa grazie a un sussidio di disoccupazione, diventa il leggendario scrittore Dashiell Hammett: il malinconico maestro della “hard-boiled school”, con il suo innato “istinto per la caccia”.
Ora s’immagini Hammett a San Francisco, nel 1928 – in attesa della pubblicazione del suo primo capolavoro -, tutto preso a battere sui tasti della macchina da scrivere, tormentandosi per riuscire a inserire una scena, da lui ritenuta fondamentale. Sul pianerottolo della sua abitazione, oltre una porta per lui sempre aperta, c’è la bionda Goodie, da poco in città. Arduo resistere alla tentazione. Nel frattempo a “Frisco” è appena giunto Atkinson, un vecchio amico di Dash, anche lui ex agente della “Pinkerton”, ora detective in proprio. Ha un incarico importante e delicato, ma allo stesso tempo pericoloso: deve ripulire la metropoli dai suoi loschi traffichini e vuole Hammett al proprio fianco, poiché viene ritenuto ancora il segugio migliore.
Una storia – quella accennata – dallo scenario ben assemblato, con dialoghi fluenti e personaggi perfettamente delineati. Il tutto in succinti paragrafi, proprio alla maniera dell’indiscusso fondatore della “scuola dei duri”.
Già, esattamente con la tipica incisività letteraria di S. D. Hammett, l’uomo che ha lavorato con successo per l’agenzia d’investigazione “Pinkerton”. Ora sta tentando di cambiare vita, però non è facile. Ha poco più di trent’anni, ma sembra più vecchio della sua età, e non solo per via dei capelli bianchi e dei baffi brizzolati. Inoltre è in procinto di ultimare il suo primo romanzo Piombo e sangue, e Hammett non è certamente uno scrittore affermato. Gli sono appena stati rinviati due racconti, respinti dalla rivista pulp “Black Mask”, con tanto di nota di rimprovero per averli scritti troppo in fretta, scambiando il periodico per lo sportello di un istituto di credito. Per ora deve accontentarsi del sussidio, con cui non si fa una gran vita, specie se ad uno piace bere, e bere molto.
Intanto che vaga per San Francisco in compagnia della nuova vicina, lo si sorprende mentre prende nota di alcune scene e personaggi, che potrebbero fare parte degli interpreti di qualche sua futura trama. Insomma, si vede la città con l’occhio magico di Dashiell Hammett.
Poi, sulla propria strada appare un uomo che gli sconvolgerà l’esistenza: il vecchio collega Vic, alle prese con un caso di corruzione nei “piani alti” della città, che gli chiede aiuto. Atkinson alla fine riesce a trascinare Hammett nella sua ultima indagine, con tanto di “spari nella notte”. Solo che Dash inizialmente non ne vuole sapere, deve assolutamente terminare il suo scritto e altre mille idee gli balenano in testa, come la stesura di un nuovo romanzo, che ha come protagonista un altro detective: un certo Sam, Sam Spade. Gli è venuta una specie di visione, che rappresenta forse la proiezione di se stesso. Ha in mente una descrizione dettagliata di un incontro di pugilato nella città di Poisoville, la “Città Avvelenata” per Raccolto rosso, poi intitolato dagli editors Piombo e sangue. E nessuno avrebbe potuto descrivere meglio di lui un investigatore stanco, depresso, demotivato, agnostico, cinico e duro come Spade. Già, sembra proprio lui. Purtroppo dovrà aspettare un po’ prima di scrivere, ora come ora ha ben altri problemi: scoprire i mandanti degli assassini di Vic. Alla fine si troverà a dover risolvere più di un mistero.
Finzione e realtà si accavallano, si congiungono, si legano a filo doppio nell’affascinante “noir” d’autore. Inoltre in Hammett c’è un personaggio che deve essere sicuramente rimasto nella mente di molti lettori e, perché no, narratori: Crystal Tam, una cangiante cinesina, vera chiave di volta del romanzo.
Poi rimane solo lui, Dashiell Hammett, le sue incalcolabili bottiglie e troppe, troppe sigarette. Quale miglior scusa per tornare a rileggere Piombo e sangue, Il falcone maltese, L’uomo ombra e il bellissimo La chiave di vetro?
Il regista e produttore Francis Ford Coppola, entusiasta dello scritto di Joe Gores, ne comprò i diritti per farne un film, e lo affidò a un giovane regista europeo: Wim Wenders. Questi ne fece un piccolo capolavoro che intitolò, Hammett – indagine a Chinatown.