Noi che gridammo al vento. Intervista a Loriano Macchiavelli

downloadPoteva essere uno Stato invece è l’Italia.
Primo maggio 1947, Portella della Ginestra. Undici morti, ventisette feriti e tre decessi successivi causati dalle raffiche di mitra sulla popolazione riunita per la manifestazione.
Chi ha sparato e perché lo ha fatto?
Come tutte le altre, anche la prima strage della Repubblica Italiana ha più punti oscuri che punti fermi per individuare mandanti, esecutori e colpevoli. Comunque la risposta ufficiale, quella da studiare sui banchi di scuola e, per come ci siamo ridotti, utile a non far brutta figura in qualche quiz televisivo è: Salvatore Giuliano con la sua banda criminale per fermare la pericolosa avanzata del comunismo.
Tranquilli, se rispondete così, passate il turno e non diventate un bersaglio degli Homo Sapiens sapienti presenti in rete.
Quello in cui viviamo è il presente dei complotti. Gli americani sono andati davvero a piantare la bandiera sulla Luna? Credete davvero che le scie chimiche in cielo siano semplice condensa dei motori degli aeroplani? Lo sapevate che qualche sinistro personaggio ha nascosto gli studi – serissimi e mai scientifici – con cui si dimostra che tutti potremmo vivere sino a centoventi anni, o centocinquanta, dipende dalla conoscenza occulta di chi vi illumina, se solo ci cibassimo esclusivamente di mele?
Mentre la nave affonda, anziché nuotare verso la riva, ce ne restiamo sul ponte a chiederci se l’acqua sia bagnata e, soprattutto, nel caso fosse umida chi ha voluto che lo fosse.
Ustica, Stazione di Bologna, Piazza Fontana vi dicono qualcosa? Mai sentito parlare del terrorismo di stato? No, e pensare che in Italia ne abbiamo parecchie di stragi su cui indagare. Quindi, lasciate perdere le mele, le scie chimiche e il programma aerospaziale americano. Diradate la nebbia fabbricata dai tuttologi, siate rigorosi nel scegliere le fonti e verificatene sempre l’attendibilità, sprecate del tempo a studiare ma non per rispondere a qualche presentatore televisivo ma per formare una coscienza storica e civile.
Cosa può fare la letteratura a riguardo? Poco o nulla se è solo intrattenimento ma se fosse qualcosa in più?
Noi che gridammo al vento di Loriano Macchiavelli è un romanzo che tra storia e finzione cerca di indagare più a fondo la realtà e di tagliare l’oscurità con una lama di luce. L’autore non ha certo bisogno di presentazioni ed è noto per il proprio impegno letterario e con cui ha denunciato le contraddizioni e le tensioni della società di questi ultimi anni.
Il suo ultimo lavoro non appartiene al filone narrativo di Antonio Sarti, ma si aggiunge a quanto iniziato con Funerale dopo Ustica, Strage e Un triangolo a quattro lati, un progetto letterario che racconta il passato dell’Italia, quella sconosciuta o ignorata dai più. Pur arrivando per ultimo cronologicamente, è di fatto l’inizio di questa quadrilogia.
Nei primi anni ’80, Stella lascia Basilea per svolgere un misterioso incarico di lavoro a Piana degli Albanesi mentre, dall’America, George approda a Palermo, accolto e sorvegliato dalla misteriosa Ceschina, per parlare con chi di dovere a proposito di alcuni documenti in grado di mandare gambe all’aria la Repubblica Italiana. Le strade dei due si sfiorano e si accavallano per ridisegnare i contorni di una esperienza personale e aprire una nuova epoca per l’Italia.
Mafia, politica, servizi segreti deviati e non, sono tutti interessati a scoprire, o coprire, i mandanti di Salvatore Giuliano.
Si tratta di un’opera che non fa sconti a nessuno, scritta con abbondanti dosi di realismo e non è il frutto di una eccessiva dose di fantapolitica ma di una seria e accurata ricostruzione storica.
Da leggere non solo per il piacere della lettura, ma per sbirciare oltre alla facciata delle risposte con cui ci hanno narcotizzati.
Milano Nera ha il piacere di ospitare Loriano Macchiavelli per una breve intervista. Prima di tormentarlo con alcune domande lo ringraziamo per la sua disponibilità.

Noi che gridammo al vento non è solo un romanzo noir, oltre al malaffare e la connivenza tra stato e mafia, è riuscito a dare voce alle vittime della strage, ma quanto le è costato in termini di documentazione e di trasporto emotivo la stesura di questo romanzo?
Se dico la verità, non mi crede nessuno. Infatti, si può credere a chi racconta di aver iniziato a scrivere un romanzo a 13 anni? Perché nel 1947 di anni ne avevo 13, quando ho conosciuto Salvatore Giuliano attraverso la Settimana Incom, i giornali, i settimanali… Prima con un misto di ammirazione e sospetto. Già allora sospettavo di chi diceva di rubare ai ricchi per dare ai poveri. Poi, quando le cose si sono mostrate nella loro vera essenza, cioè la strage di Portella, l’ammirazione è diventata odio e il sospetto certezza. Succede a quelli come me, sempre dalla parte di chi ha bisogno e non ha.
Poi sono arrivate la documentazione, le interviste agli ultimi testimoni presenti a Portella quel Primo maggio, le atmosfere della Sicilia, i profumi, il vento… Insomma, sono andato a respirare l’alito della tragedia.
Le emozioni più forti: le lacrime dei ragazzi che nel 1947 erano a Portella a festeggiare. Oggi ragazzi non sono più e per questo le loro lacrime fanno ancor più male.

Si potrebbe essere tentati, non senza una dose di superficialità, nel liquidare la strage di Portella della Ginestra come “cose vecchie”, da lasciarsi alle spalle, ma ciò favorirebbe solo i colpevoli e chi, ancora oggi, utilizza strategie simili. Lei scrive che “con il sangue degli uccisi si è sperimentata la strategia della tensione”, quindi è necessario alimentare la “febbre” di giustizia?
La “febbre” di giustizia (che poi è un diritto sacrosanto) non dovrebbe aver bisogno di essere alimentata. Dovrebbe essere naturale, come respirare. Viviamo tempi oscuri proprio perché ci si dimentica delle ingiustizie.
Quanto alle cose vecchie da lasciarsi alle spalle, io non ce la faccio a rottamare Bertolt Brecht o Aristotele o Shakespeare o Cervantes o Manzoni o Pasolini… Devo continuare?

Quanta finzione e quanta realtà compongono il suo romanzo? È corretto sostenere che gli anni ’80, il tempo in cui sono ambientate le vicende narrate, siano stati un periodo in cui le manovre eversive venivano nascoste dietro a un paravento, spensierato e ottimista, utile a distrarre i mezzi di informazione e i cittadini? La crisi odierna è soltanto un altro paravento con cui coprire nuove manovre o ne è la diretta conseguenza?
Una domanda troppo difficile per me. Vi posso solo dire che la mia convinzione è che le manovre eversive non siano soltanto degli anni ’80. A meno che quelle di oggi non le vogliamo chiamare con un altro nome. Che so: tutela delle minoranze abbienti o segreti di stato…
Quanto ai mezzi d’informazione, ho paura che molti siano dalla parte oscura del paravento.

 Secondo lei, nel panorama attuale quali autori stanno squarciando il Velo di Maya che nasconde tutte le manovre occulte della politica e dell’economia o, se preferisce, chi sta sollevando il tappeto sotto cui hanno nascosto tutta l’immondizia?
Anche questa è una domanda alla quale non so dare risposta. Appena ti sei detto, dopo aver letto un romanzo o semplicemente un libro: “Ecco un autore che ci dà dentro”, l’autore che ci dà dentro viene inglobato nella massa inerte (televisione, giornali, cinema, editoria) e da quel momento, arrivederci.

Negli anni ’70 alcune ideologie sono diventate piombo e hanno abbandonato la dialettica per dare spazio ai cadaveri. Con l’arrivo degli anni ’80 il terrorismo e la criminalità hanno lasciato il campo di battaglia per addentrarsi ancora di più nell’economia e nel sistema politico italiano. Trent’anni dopo lo scenario è desolante. Non esiste alcuna differenza tra gli schieramenti e i programmi a ogni nuova tornata elettorale si assomigliano sempre di più. Riscoprire, non senza orrore, chi siamo e da dove veniamo, può essere utile?
Non solo è utile, ma sarebbe indispensabile. Come sarebbe indispensabile capire, prima di dare un giudizio su un individuo (specie se politico) sapere da dove viene e soprattutto dove vuole andare e in compagnia di chi. Oggi gli esempi non mancano e se volete faccio alcuni nomi…
Forse è meglio di no: il mio processo per diffamazione l’ho già avuto e mi basta. Anche se poi sono stato assolto.

Al netto delle chiacchiere fatte da alcuni personaggi è del tutto evidente che il futuro ha assunto i connotati di una minaccia. Secondo lei è possibile tornare a intendere l’avvenire non come un vicolo cieco ma una nuova strada da percorrere?
Come no? Basterebbe mandare al diavolo (cioè a lavorare) tutti coloro che ti assicurano che il futuro è nostro, che “date retta me e vi troverete bene, che meglio non si può”. O che “aprèz moi le déluge”. Che poi, lo sappiamo tutti, nessuno è indispensabile. Specie se per combinare disastri sociali.
A parte le battute: riusciremo a trovare la strada nuova da percorre, sapendo dove ci porterà, solo con la cultura. E per cultura, ovviamente, non intendo data di nascita e di morte di A. Manzoni. Intendo la possibilità che ognuno dovrebbe avere di pensare senza condizionamenti esterni e soprattutto interessati. Non è poi tanto difficile.

Oltre alla disponibilità di Loriano Macchiavelli, ringraziamo Dario Villasanta che ha reso possibile questa intervista.

Mirko Giacchetti

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