Il passato è il posto più difficile a cui tornare. Jim Mackenzie, pilota di elicotteri per metà indiano, lo impara a sue spese quando si ritrova dopo parecchi anni nell’immobile città ai margini della riserva Navajo in cui ha trascorso l’adolescenza e da cui ha sempre desiderato fuggire con tutte le sue forze. Jim è costretto a districarsi tra conti in sospeso e parole mai dette, fra uomini e donne che credeva di aver dimenticato e presenza che sperava cancellate dal tempo. E soprattutto è costretto a confrontarsi con la persona che più ha sfuggito per tutta la vita: se stesso. Ma il coraggio antico degli avi è ancora vivo ed è un’eredità che non si può ignorare quando si percorre la stessa terra. Nel momento in cui una catena di innaturali omicidi sconvolgerà la sua esistenza e quella della tranquilla cittadella dell’Arizona, Jim si renderà conto che è impossibile negare la propria natura quando un passato scomodo e oscuro torna per esigere il suo tributo di sangue.
“Ma secondo te si è montato la testa?” Questa è stata la prima fase che ho rivolto a un amico che aveva assistito alla presentazione del nuovo libro di Faletti “Fuori da un evidente destino“. La sua risposta è stata che uno che ha venduto milioni di libri, un po’ non può non montarsela… Uhm, però non sono convinta. Faletti è simpatico e su questo non ci piove; che sia anche un bravo scrittore ho i miei serissimi dubbi. La presentazione di ieri sera organizzata da Giallo & Co. da una parte è stata piacevolissima per certi aneddoti dell’autore, dall’altra ha avuto alcuni piccoli accenti stonati. Io di Faletti ho letto solo “Io uccido” e mi è bastato, ho letto troppi gialli per poterlo apprezzare, qualcosa si salvava, ma copiare Deaver e lo stradario di Montecarlo non lo ritengo un merito… Ieri sera ha raccontato la sua passione per gli Indiani d’America e il suo desiderio di utilizzare questa passione nel nuovo libro, il suo viaggio emozionante nella Monumet Valley, il Grand Canyon, il sapere che lì su quella stessa terra ci era passato qualche capo indiano e anche, dopo anni, John Wayne o John Ford… Ha raccontato della sua passione per i film western e anche per i film comici di quel genere come “Mezzogiorno e mezzo di fuoco“. Ha descritto uno dei personaggi principali del libro, il cane Silent Joe, preso pari pari da Leone, un
cane di suoi amici all’Elba, e ne ha raccontato le caratteristiche, la mimica istrionica, il suo passo dinoccolato, la sfacciataggine… Ha spiegato che gli fa molto piacere incontare gente che gli dice che grazie a lui aveva ripreso in mano un libro, dopo anni di non lettura.
Era felice perché grazie a lui la gente metteva piede nelle librerie (o nei supermercati, ho pensato io più cinicamente). Ecco, qui mi è piaciuto molto. Poi però ci sono state anche le note stonate. Si è lamentato perché un critico l’ha accusato di non essere Joyce, e fin lì… Il problema è che lui ha detto che non ci tiene, gli basterebbe essere Dickens. Uhm. Poi ha nominato D’Orrico e il suo sciagurato titolo che lo certificava come “lo scrittore italiano migliore del secolo” (o qualcosa del genere) e l’ha detto con falsa modestia e ironia, sostenendo che essendo anche un uomo e quindi con molti difetti, ama pensare che D’Orrico possa avere ragione. Poi ha sostenuto che in questo nuovo libro si è ispirato a “It” di Stephen King e qui… Ecco, Faletti è simpatico, non penso sia un bravo scrittore, ma spero che grazie a lui la gente entri di più in libreria, e non nei supermercati. (emanuela zini)
Giorgio Faletti – Fuori da un evidente destino – Baldini Castoldi Dalai