Elisabetta, sei tornata nelle librerie con una protagonista tutta nuova, scegliendo così di abbandonare, almeno momentaneamente il personaggio di Katherine Sinclair che ti ha dato il successo.
Perché questa scelta? Cosa pensi della serialità? Può diventare un limite?
Dopo aver scritto i due romanzi della serie K, I guardiani della storia e Nel mare del tempo, in cui l’azione ruota attorno a misteri storici, volevo sfidarmi con una trama che affronta temi di grande attualità come il giornalismo d’assalto, i talk show, gli attacchi degli hacker. Il Regista è il risultato di un approfondito studio dei casi di cronaca di questi anni e racconta le ultime 29 ore di un seria killer che con la sua strategia omicida scriverà una nuova pagina della storia del crimine.
Katherine Sinclaire però tornerà presto. E scriverò anche un romanzo ad altissima tensione in cui Katherine e Veronika si incontreranno.
Preferisco creare personaggi seriali. Mi piace l’idea di fare un lungo tratto di strada insieme a loro.
Perché hai scelto di ambientarlo negli Stati Uniti?
Ho scelto New York perché si presta ad ambientazioni diverse: dai vicoli dove si rifugiano i senzatetto, al set del talk show vincitore dell’Emmy Award; dallo scantinato di un edificio disabitato, all’ultimo piano del 432 Park Avenue, il grattacielo ancora in costruzione che con i suoi novantasei piani supera l’Empire State Building e la Freedom Tower. Lo scopo è mostrare tutti i volti della metropoli, soprattutto quelli meno conosciuti.
Entrambe le protagoniste dei tuoi libri sono donne, pensi che un giorno potresti scegliere come personaggio principale un uomo?
In futuro, non ora. Ho ancora tanto da imparare sul modo di pensare maschile
29, il numero che ricorre nel tuo romanzo, ha diversi significati nella simbologia numerica, tu a quale fai principalmente riferimento?
Ho scelto di fare accadere tutto in 29 ore perché nel simbolismo il 29 è il numero delle avversità e degli ostacoli, ed è rappresentato dalla bara. Inoltre è un numero che torna nelle statistiche di omicidi seriali: ci sono stati serial killer che hanno compiuto il primo omicidio a 29 anni, il numero medio di vittime di alcuni serial killer è 29, negli Stati Uniti il 29% dei serial killer è itinerante, il 29% dei serial killer donna uccide a casa propria, e così via. Quindi Il Regista prevede 29 ore serrate di interrogativi, attentati e minacce. Una corsa contro il tempo nella quale ogni traccia conduce a una nuova pista, senza mai portare a un movente.
Hai un numero fortunato?
Non credo nella fortuna e sono legata a tutti i numeri, perché ognuno di essi mi ricorda o evoca qualcosa.
Nel romanzo l’assassino fa disegnare alle proprie vittime la loro vita. Tu cosa raffigureresti?
Un orologio senza lancette, un paio di pattini da ghiaccio, orme di animali, una frase completa, una frase a metà.
Da mesi sei impegnata come opinionista in TV, quanto questa esperienza ha inciso sul libro?
Ho finito la revisione del Regista all’inizio di marzo dello scorso anno e le mie presenze in tv sono iniziate dopo qualche settimana. Da sempre seguo la cronaca, sono affascinata dalle tecniche investigative e trovo interessante lo studio del profilo psicologico dei killer. L’esperienza televisiva dà un contributo importante a ognuno di questi aspetti e mi consente di studiare i casi da vicino. Sto collaborando con una squadra di professionisti di grande spessore e competenza. I prossimi miei romanzi ne gioveranno di sicuro.
Come nascono le tue storie?
Le mie storie nascono dai personaggi. Sono loro il fulcro di tutto.
Da sempre il mio obiettivo è quello di dare vita a protagoniste che siano donne vere, intense. Lontane dalla perfezione e calate nella realtà che ci circonda.
Veronika è una fotoreporter determinata a portare alla luce le ferite dell’emarginazione nelle metropoli. I suoi scatti ritraggono il lato cupo di New York: senzatetto morti di stenti sui marciapiedi, cani randagi alla ricerca di cibo nei cassonetti, disabili e anziani abbandonati alla solitudine. Quella parte di umanità a cui nessuno vuole guardare, che si consuma nei vicoli, dentro le stazioni della metropolitana, nei luoghi più affollati, così come in quelli più dimenticati. I giornali definiscono Veronika “cecchino della strada” perché ogni sua foto è un colpo al perbenismo e fa parlare la rete attraverso milioni di visualizzazioni al giorno e decine di migliaia di tweet all’ora.
Katherine è una manager dell’editoria, che passa da una riunione strategica all’altra e a causa della sua dedizione al lavoro si trova coinvolta in un intrigo archeologico dove rischia di perdere la vita.
Sono due donne molto diverse nell’aspetto, nel modo di ragionare, nell’approccio alla quotidianità. Tuttavia hanno un punto in comune: entrambe si fanno portavoce di messaggi importanti. Non vogliono essere un riferimento per i canoni estetici ma per i valori in cui credono. Katherine lotta per l’integrità e per la difesa di ogni forma di vita. Veronika denuncia l’indifferenza. Entrambe vivono in una società corrotta e si adoperano per cambiarla.
Elisabetta lettrice, cosa ama?
Leggo di tutto, senza una preferenza di genere. Le mie letture sono dettate dallo stato d’animo e inizio sempre un nuovo libro prima di finire quello in corso. Sono tanti gli scrittori che apprezzo. Alcuni li sento più vicini a me come stile, altri li ammiro per la capacità di tenere alta l’attenzione, altri ancora per la maestria con cui tessono la trama. Da ogni libro ho imparato qualcosa, nel bene e nel male. Come sosteneva Plinio il Vecchio: “Non c’è libro tanto cattivo che in qualche sua parte non possa giovare”.
Ti ricordi la prima cosa che hai scritto e il momento nel quale hai capito che questa era la tua passione?
Scrivo da sempre, da quando ero ragazzina e mi sedevo in mezzo al prato per raccontare i miei sogni al diario e romanzare le mie giornate. All’università ho scritto una serie di articoli di marketing. I romanzi sono stati un passo spontaneo. Una svolta a livello emotivo: ho sentito che era arrivato il momento di lasciare che la scrittura assumesse un ruolo più importante nella mia vita.
Come riesci a conciliare tutti gli impegni?
Cerco di dare le giuste priorità. Amo scrivere, sto imparando molto dai professionisti della televisione e delle inchieste giornalistiche e continuo a dedicarmi al lavoro con passione. Il segreto è trovare l’equilibrio e indirizzare tempo qualitativo alle varie attività, senza lasciare che una prevarichi sull’altra.
Di recente il tuo primo libro è stato pubblicato negli Stati Uniti. Quali sono le tue prime impressioni?
La pubblicazione negli Stati Uniti è un grande traguardo, ma anche una grande sfida. In me prevale l’emozione di sapere che Katherine Sinclaire incontrerà nuovi lettori, comunicherà con loro e li trascinerà dentro gli eventi, portandoli ad amare, soffrire e lottare insieme a lei.
Secondo te, da cosa dipende il crescente successo della letteratura gialla?
Il mondo del crimine affascina. Lo si vede anche dal crescente interesse che suscitano i casi di cronaca. Omicidi, indagini e processi sono ormai parte della nostra quotidianità, ci mostrano il lato più oscuro della medaglia e stimolano emozioni forti: rabbia, paura, sospetto. Ma stimolano anche la voglia di capire, di scoprire. E se un thriller è ben architettato, non esiste più il confine tra fiction e realtà: Hannibal Lecter è finzione, ma il cannibale di Milwaukee no.
Hai qualche anticipazione da regalarci?
Ho iniziato a scrivere il secondo romanzo della serie 29 e a lavorare in modo concreto sulla trasposizione cinematografica dei miei romanzi. È un percorso lungo e in salita. Ma lo vivo come una sfida. Una bella sfida.
L’appuntamento con Elisabetta Cametti è al Nebbiagialla Suzzara Noir Festival dal 29 al 31 Gennaio 2016