Anche per riprendersi dalle fatiche della Fiera del libro di Torino, Donato Carrisi (in 5 mesi ha venduto oltre 150’000 copie del suo romanzo d’esordio “Il suggeritore”) si concede un aperitivo con MilanoNera.
Chi è Donato Carrisi?
Sono pugliese, di Martina Franca, vivo a Roma da circa 10 anni. Mi sono laureato a Bari in giurisprudenza, specializzato in criminologia e scienza del comportamento. Nel 1999 ho abbandonato l’attività forense per trasferirmi a Roma a lavorare come sceneggiatore. Ho sceneggiato, tra gli altri, Era mio fratello per Rai1 e Nassiriya – Prima della fine per Canale 5.
E come sei diventato uno scrittore di successo?
Dopo aver scritto un breve libro noir che non ho mai proposto a nessuno, circa tre anni fa mi ero imbattuto in un articolo di criminologia che trattava della figura dell’istigatore e l’ho resa letteraria. Il più grande “suggeritore” è stato Charles Manson. All’epoca lavoravo per una importante casa di produzione con un contratto di esclusiva, ho mollato tutto per dedicarmi al libro. Ho impiegato un anno intero, tra ricerche e composizione della struttura di cui 3 mesi per scrivere la storia. Rifiutavo tutti i lavori, avevo solo la speranza di trovare un editore e di pubblicarlo. Chi stava intorno a me, il produttore e l’agente mi avevano dato del pazzo, sono rimasto da solo a credere in questo progetto.
Per acquisire la tecnica ho ricopiato pagine intere dei thriller più famosi, dei romanzi di Jeffery Deaver e del “Codice Da Vinci” di Dan Brown. Dan Brown alla fine di ogni capitolo mette sempre un appiglio per legare il capitolo successivo. Ho usato la stessa tecnica ne Il suggeritore.
E’ stato difficile pubblicarlo?
Poco prima di finirlo avevo inviato una e-mail con la sinossi a un agente editoriale, Luigi Bernabò.
Mi aveva risposto subito: “Se il romanzo corrisponde a questa presentazione lavoreremo insieme”. Quindici giorni dopo aveva tra le mani il romanzo, in due giorni lo ha letto. Un mese dopo è partita l’asta tra le case editrici e Longanesi l’ha spuntata in tre giorni.
La scelta di Longanesi è dovuta al fatto che si è creato un rapporto personale forte tra Stefano Mauri e me e con tutta la casa editrice.
Un altro mese dopo i diritti erano stati acquistati anche dalla spagnola Planeta, successivamente sono stati venduti anche in Olanda, Germania Russia, Grecia, Brasile, Portogallo, Gran Bretagna e Francia. Tutto questo prima che il libro venisse pubblicato in Italia.
Attualmente è in corso l’asta negli USA, anche altri paesi sono interessati.
Cosa hai provato quando hai avuto in mano il libro?
Mi sono emozionato molto meno del previsto, anche se una storia è un atto d’amore, scrivere un libro è come mettere al mondo un figlio, io purtroppo non sono ancora padre.
Pensi che ci sia molta differenza tra lo scrivere sceneggiature e libri?
Non molta, la scrittura de “Il suggeritore” è molto visiva e il libro è come se fosse un film. La storia era nata come trattamento cinematografico e poi è diventata un libro.
Nel cinema ci sono gli sponsor che impongono di girare alcune scene in un certo modo, la letteratura fortunatamente è un territorio libero dove non esiste alcuna imposizione.
Cosa leggi?
Sono un lettore ambiguo, non ho un genere preferito. Scrivo thriller perché è il genere a cui sono più affine. Mi piace sprofondare nei libri, sono oggetti di cui mi circondo. Quando viaggio la prima cosa che tolgo dalla valigia è un libro per appoggiarlo sul comodino in albergo. Amo leggere sulla carta, sentire il profumo delle pagine. Mi piace sapere che a casa alla sera mi attendono un bagno caldo e un buon libro, non c’è piacere più costante del libro.
A 12 anni avevo iniziato a leggere i romanzi Harmony di una zia nubile che si consolava così. Un mio personaggio de Il croupier nero con cui ho vinto il premio Solinas nel 2004 era un sicario che leggeva romanzi dozzinali acquistati nei supermercati. Alle superiori leggevo gialli e thriller, mi immergevo nella lettura a settembre con i primi temporali. Ora li leggo per essere aggiornato su cosa scrivono gli altri autori.
Leggo David Sedaris e Stephen King, ne preferisco i racconti. Tra gli italiani leggo Scerbanenco, Gadda e Giorgio Faletti che ha sdoganato il thriller in Italia. Senza di lui non sarei qui.
A proposito di Giorgio Faletti, durante la presentazione in anteprima di “Io sono dio” alla fiera del libro di Torino, ha raccontato che da tempo siete in contatto via mail e vi scambiate pareri sulla scrittura e sui rispettivi romanzi…
Avevo contattato Giorgio Faletti attraverso la casa editrice quando era uscito il mio libro perché volevo che sapesse che gli dovevo molto.
Nella vita ha avuto il grandissimo coraggio di cambiare. Anch’io due volte ho deciso di cambiare vita per fare qualcosa che mi piacesse. Pensavo a lui, per me è stato un esempio da seguire. Siamo in contatto, ci scambiamo telefonate e e-mail molto personali. L’ho conosciuto in fiera a Torino il giorno successivo alla sua presentazione, è esattamente come appare, molto alla mano. La gente lo ama perché percepisce che è autentico.
Con il tuo primo libro sei in finale al Premio Bancarella, cosa ne pensi?
Preferisco non parlarne perché sono scaramantico.
A quando un nuovo libro?
Per ora scrivo ancora sceneggiature, lo scriverò quando avrò tra le mani un’altra storia forte, non solo per approfittare del successo di vendita del primo.