Udine – C’era una volta il mondo cinematografico in lingua cantonese di Hong Kong, a noi noto in larga parte per i film di kung–fu; si trattava di una produzione separata e distinta dal cinema in mandarino della Cina Popolare, dedicato, invece, quasi del tutto, alla propaganda ideologica.
C’era una volta, anche, la supremazia dell’industria cinematografica degli Stati Uniti.
Signore e signori, preparatevi ad un’altra rivoluzione.
CINA POPOLARE
Nella sezione del catalogo del FEFF 12 curata da Maria Barbieri e dedicata alla Cina, viene chiaramente indicato che, sulla base delle statistiche, è possibile prevedere il sorpasso del mercato USA da parte di quello della Cina Popolare, per effetto della crescita economica continua di questo Paese (nonostante la recessione mondiale) che trascina con sé i numeri della produzione e della fruizione del prodotto cinematografico.
Si parla, con riguardo ai dati del 2009, di 456 film prodotti (56 in più rispetto al 2008), di 6 miliardi di Rmb di incassi (il 44% in più rispetto all’anno precedente) di cui il 56% derivante da film prodotti nella stessa Cina, di 90 nuove sale multiplex aperte durante l’anno per un totale di 386 schermi (più di uno schermo al giorno inaugurato durante l’anno): questi dati, se ancora non valgono a superare oggi quelli del mercato maturo degli USA, evidenziano un tasso di sviluppo che a breve porterà a giocare in Estremo Oriente il futuro dell’industria cinematografica mondiale.
Non per nulla, si segnala, la mega-produzione statunitense di 2012 strizza già un occhio al popolo cinese (guarda caso, nel film, proprio i cinesi costruiscono le arche per salvare l’umanità in pericolo e proprio 2012 ha raggiunto il primo posto al box office in Cina con un incasso complessivo pari a 460 milioni di Rmb) mentre, allo stesso tempo, le maggiori produzioni del cinema di Hong Kong si sviluppano ora nella Cina continentale.
Il mercato di Hong Kong, infatti, vale a dire il principale centro di fruizione del cinema in cantonese, ha registrato un declino negli ultimi anni, determinato, in primo luogo, dalla drastica riduzione degli spettatori, che hanno preso a disertare le sale cinematografiche.
Sempre come osservato da Maria Barbieri, persino le autorità monetarie della Cina Popolare hanno compreso le potenzialità dell’industria dei media ed iniziato a favorire l’ingresso di società del settore della cultura e dello spettacolo sui mercati finanziari, incentivando l’approvvigionamento di capitali destinati alla creazione di mega-gruppi che ben rappresentino l’immagine e il potere crescente della Cina in campo internazionale.
D’altra parte, va detto non solo che la produzione di Hong Kong si rivolge ai capitali della Cina continentale per potere continuare ad esistere (con la novità che diversi dei bellissimi film HK che ho potuto vedere al festival sono presentati ora in mandarino e non in cantonese, disponibile nei sottotitoli), ma anche che il cinema di propaganda cinese ha trovato una nuova giovinezza, avvalendosi di linguaggi più popolari e accattivanti per il largo pubblico – compreso, certamente, quello straniero.
Si utilizzano ora i codici dei film di kung–fu (come in Bodyguards and assassins) e si sfruttano le intelligenze di registi prima tenuti a distanza come quelli c.d. della Quinta Generazione, che un tempo subivano pesantemente le reazioni della censura.
Così, la Repubblica Popolare ha potuto festeggiare quest’anno il sessantesimo anniversario della propria fondazione sbancando il botteghino con mega-produzioni e cast stellari tutti cinesi, impegnati a raccontare e a celebrare la propria storia, con film del calibro di The Founding of a Republic (diretto da Huang Jianxin e Han Sanping, in cui si dipinge un amabile Mao Tse Tung che conduce il conflitto tra il Partito Comunista Cinese ed il Kuomingtang tra il 1945 e il 1949 fino alla fondazione della Repubblica Popolare), City of life and death (del regista Lu Chan, che racconta le vicende tristemente note come il Massacro di Nanchino, avvenuto tra il 1937 e il 1938 durante l’occupazione giapponese in Cina), Bodyguards and assassins (del veterano hongkonghese Teddy Chen; il coinvolgentissimo film inizia come thriller politico, attento alla ricostruzione storica e alla rappresentazione psicologica dei personaggi, per trasformarsi, con effetti spettacolari e incandescenti, in un film di azione e di arti marziali ambientato nella Hong Kong del 1905 generosamente ricostruita negli studi in scala 1:1; si racconta qui come venne sventata la congiura per sventare il Padre della Nazione, Sun Yat–sen, il padre politico di Mao Tse Tung), o, ancora, The Message (spy-story assai elegante, dedicata ai partigiani cinesi che resistettero al governo fantoccio fedele al Giappone durante la seconda guerra mondiale. Il lungometraggio, diretto dai taiwanesi Chen Kuofu e Gao Qunshu, è sostenuto, oltre che dalla trama avvincente, anche dall’eccellente recitazione dei protagonisti, supportata, a sua volta, dall’emozionante colonna sonora – della compositrice giapponese Michiru Oshima, nota per le musiche di vari film e anime televisivi, come Fullmetal Alchemist– nonché dalla meticolosa ricostruzione dei costumi e dalla fotografia suggestiva).
Ho apprezzato decisamente gli ultimi due film e vi invito a cercare su internet i vari promo, trailer e teaser di Bodyguards and assassins e di The message: la curiosità di molti verrà senz’altro stuzzicata.
Parlando ancora di Cina Popolare, al di fuori dei film di propaganda, mi sono proprio divertita a guardare, in una proiezione notturna del festival, One night in supermarket del giovanissimo Yang Qing (anno di nascita 1980). E’ sera in un anonimo supermarket aperto 24 ore su 24 di un’altrettanto anonima città cinese: il timido commesso Li Junwei (interpretato da uno degli idoli pop dei ragazzini cinesi, Kimi Qiao) è impegnato nel turno di notte con la sua collega Tang Xiaolang, di cui è segretamente innamorato; la noia, in quel posto, è la norma, ma ben presto tutto prende una piega caotica producendo una commedia esilarante, quando un balordo, accompagnato dal corpulento quanto tonto cugino, fa irruzione nel negozio, sequestra i due commessi e si sostituisce a loro sperando di potersi appropriare degli incassi della nottata. La situazione, miscelata alle caratterizzazioni dei vari e altrettanto bizzarri avventori notturni dà luogo ad una serie di irresistibili gag.
Last but not least, va segnalato anche l’ultimo film interpretato da Jackie Chan, Little Big Soldier, diretto da Ding Sheng. Altra co-produzione cinese/hongkonghese recitata in mandarino, narra, con i tratti di una commedia dolceamara ambientata nell’antica epoca dei c.d. dei Regni Combattenti, di un uomo semplice, Grande Soldato (Jackie Chan) che non desidera altro che pace ed un piccolo campo da coltivare, ma che, nonostante ciò, viene reclutato a forza per difendere il regno di Liang. Sembrerebbe essergli capitato un colpo di fortuna quando riesce a catturare il principe Wei delle schiere avversarie: potrebbe infatti consegnarlo ai sovrani di Liang in cambio della terra a cui tanto anela.
Tuttavia la faccenda è tutt’altro che semplice: il fratello del principe Wei vuole ucciderlo per usurparne il trono, quindi lo cerca dappertutto con i migliori soldati scelti al suo servizio. Il ritorno verso Liang di Grande Soldato e del prigioniero principe Wei si rivelerà un’impresa difficilissima, piena di insidie e di nemici imprevisti lungo il cammino, ma gli varrà la costruzione di un sincero rapporto di stima e di simpatia umana con il suo nemico. Il finale, a sorpresa, porta all’estremo il giudizio dell’autore sull’inutilità e la natura arbitraria della guerra.
HONG KONG
Come si diceva, il cinema di cantonese è in crisi, perché, sostanzialmente, la gente, ad Hong Kong non va più al cinema come una volta.
Tuttavia, mi è stato evidenziato da Sabrina Baracetti, Presidente del FEFF, come segnale positivo, il fatto che, quest’anno, dopo tanto tempo, siano stati presenti alla kermesse ben dieci film di Hong Kong (seppur tenuto conto anche delle co-produzioni con la Cina, come Bodyguards and assassins o Little big soldier).
Tra questi varrebbe sicuramente la pena, anche fuori da Hong Kong, di spendere il prezzo del biglietto per Gallants, La comèdie humaine e Ip Man 2.
Gallants è una rivisitazione della commedia di arti marziali co-diretta dai giovani Derek Kwok e Clement Cheng, che riunisce alcune vecchie glorie dei film di kung fu, tra i quali, i divi degli anni Settanta Chen Kuan-Tai (interprete, fra gli altri, de La Ghigliottina volante, che presto sarà distribuito nelle edicole nell’ambito della rassegna dei migliori film di arti marziali, a cura della Gazzetta dello Sport) e Leung Siu –Liung (che di recente è comparso anche in Kung Fusion). Si narra di Cheung, un giovane impiegato di una società immobiliare, alquanto sfigato, che viene spedito in un villaggio sperduto per venire a capo di una grana relativa a diritti di proprietà.
Due maestri di kung fu hanno nel paese il proprio quartier generale, trasformatosi da palestra in casa da tè, da quando il loro Maestro, Law (Teddy Robin, famoso cantante e artista della scena di HK, qui anche autore della colonna sonora) giace da decenni in coma. L’incontro tra Cheung e gli abitanti della casa da tè sarà fatale, perché di lì a poco il Maestro Law si risveglierà improvvisamente e metterà su, Cheung compreso, una squadra di arti marziali che andrà incontro ad una serie di dispute e scazzottate con i cattivi di turno, citando, fra l’altro, sempre con molta allegria, anche le atmosfere degli spaghetti -western.
Come segnalato da Tim Youngs, consulente del FEFF, nella scheda dedicata al film, i due registi si sono sforzati di far emergere l’identità hongkonghese ed il rispetto delle tradizioni locali.
La produzione potrebbe ora registrare, in casa, un buon successo, data l’attuale ondata di nostalgia dei bei vecchi tempi (identificati con il cinema cantonese degli anni ’70) che pare si stia facendo strada in Hong Kong.
I registi sono davvero giovani e per tutto il tempo della loro permanenza al festival non hanno smesso di fotografare la gente che era andata a vedere il loro film, o i loro idoli, pure ad Udine, Patrick Lung Kong e Teddy Chen.
Pure caratterizzata dall’indentità hongkonghese è La comèdie humaine, un’altra divertentissima commedia che ci parla di un killer di professione, il quale si lascia invischiare in vicende melense di amore e di amicizia, scoprendosi un buono. Come si evince dal titolo, le due registe, Chan Hing – kai e Janet Chun Siu-chun, hanno voluto ispirarsi alla saga di Honorè de Balzac, raccontando varie vicende umane che si intrecciano in una Hong Kong piegata dalla crisi economica. Piena di citazioni parodistiche di tanti film (con un omaggio plateale a John Woo), la pellicola strappa molte risate, soprattutto grazie all’attore protagonista Chapman To, presente a Udine, il quale come dichiarato alla presentazione del film, crede nella commedia e nella forza della risata, considerato che life is too short.
Tutti quelli che adorano i film di arti marziali, poi, non potranno assolutamente perdersi (doppiaggio in italiano disponibile o no) il meraviglioso Ip Man 2, proiettato ad Udine in anteprima mondiale. Il film, diretto da Wilson Yip e interpretato dal divo Donnie Yen, è il sequel di Ip Man e continua a narrare la storia del grande maestro dello stile wing chun a partire dal suo trasferimento ad Hong Kong nel 1950.
L’insediamento porterà con sé enormi difficoltà da cui nasceranno combattimenti e che permetteranno di mostrare con che grazia e dignità siano sopportate le avversità da parte di un grandissimo artista marziale. Il racconto si conclude con un ragazzino molto sicuro di sé che “irrompe” in casa del Maestro perché vuole assolutamente prendere lezioni di wing chun: il ragazzino si chiama Bruce Lee.
Oltre ai film in competizione, iL FEFF 12 ha dedicato un’importante rassegna al cinema di Patrick Lung Kong (The reformer: Patrick Lung Kong and his cinema), autore fondamentale per il cinema di Hong Kong.
Lung Kong negli anni ’60, insofferente per la scarsa considerazione in cui erano tenute le pellicole cantonesi, realizzò una serie di film che, senza perdere appeal commerciale (pena l’impossibilità per il regista di ottenere nuovi finanziamenti per i suoi film) potessero anche introdurre contenuti socialmente impegnati e far crescere il cinema locale. Ebbero così origine, tra il 1966 e il 1977, 12 lungometraggi che scossero pubblico e di critica, tra i quali The window e Story of a discharged prisoner che vennero, più tardi, ripresi da John Woo rispettivamente con The killer e A better Tomorrow (…e ho detto tutto).
Il grande regista è stato presente ad Udine con il suo sorriso e la sua vibrante umanità e, mentre tutti i registi giovani di Hong Kong continuavano ad omaggiarlo e a farsi fotografare insieme a lui, Lung Kong, dal canto suo, non ha mai smesso, insieme alla moglie, di ringraziare noi del pubblico per essere andati a vedere i suoi film e per ascoltare ciò che lui aveva da dire.
TAIWAN
Così come il cinema di Hong Kong, anche quello di Taiwan dovrà nel futuro prossimo fare i conti con l’industria cinematografica cinese e la propria indipendenza e pare che i rapporti, al momento, non siano proprio ottimi.
Secondo quanto riportato da Stephen Cremin nella presentazione al cinema taiwanese contenuta nel catalogo del FEFF 12, nel corso di quest’anno, probabilmente verso maggio/giugno, Taiwan e Repubblica Popolare Cinese dovrebbero sottoscrivere un accordo di cooperazione economica che potrebbe avere un’importante ricaduta sull’economia taiwanese e, conseguentemente, anche sull’industria del cinema locale. L’accordo parrebbe essere potenzialmente simile a quello di partenariato economico di vicinanza che stipularono Cina ed Hong Kong nel 2003, sulla base del quale venne trasformata l’industria cinematografica hongkonghese/cinese. Stiamo a vedere.
Al FEFF 12 è stato presentato, tra gli altri, il toccante Monga, di Doze Niu, una storia del genere di Quei bravi ragazzi, in cui si racconta tutta la parabola, ascendente e discendente, di una gang di giovani studenti di liceo, che si affermano, per un periodo degli anni ‘80 a Monga, il quartiere a luci rosse di Taipei, reso in maniera davvero suggestiva. Emergono temi come l’amicizia, l’identità e le antiche tradizioni da rispettare, il rapporto fra padre e figlio, ma, anche la relazione tra Taiwan e Cina continentale, che con i suoi “affari commerciali” incombe sempre di più sui destini dell’isola.