Amo le sfide – Intevista a Franck Thilliez


Lo avevamo lasciato appena uscito dal Labirinto. Nel quale, per un incastro peculiare dei suoi a scatole cinesi, aveva ripreso a scrivere una nuova pagina del suo “manoscritto incompiuto”.
Lo ritroviamo ora al centro della terra, ispirato da uno dei suoi più grandi Maestri, ma non per compiere un viaggio da esploratore alla Verne, o per lo meno, non solo in quel senso. L’immersione tridimensionale nel ventre oscuro della montagna diventa in Vertigine un gioco di Verità all’ultimo sangue, e soprattutto il pretesto per scalare l’abisso dei limiti umani. 
Centomila possibili derive bestiali di quello che può essere un uomo (proprio nel senso a cui si riferiva Primo Levi) posto davanti alla sfida estrema della natura ostile. Sopravvivenza, ma a quale costo? Oppure, forza esplosiva del paradosso che illumina l’incubo, mostrando la funzione limite delle tenebre: solidarietà umana, uguale liberazione. Tanti, i temi trattati nel multiverso paradigmatico del thriller di Thilliez. 
Cosa sia il male, dove risieda il bene, come possa reagire l’uomo al cospetto delle sue paure più estreme, quale sfide ci rafforzino spingendoci al confine del senso del vivere. 
Gliele chiediamo mettendole in fila, inanellando una conversazione che con la sua unica simpatia ci concede in occasione del Bookcity di Milano, con quello sguardo vivace di chi ama scavare nell’animo umano, e quel guizzo vivo di chi riesce sempre a stupirsi della grande bellezza del vivere, nascosta nelle piccole cose.

All’inizio del suo thriller il protagonista sembra essere  vittima di un male illogico e ingiustificato, qualcosa senza volto e gratuito che sfida gli uomini a regredire allo stato bestiale. Mi ha ricordato da un lato il genio maligno di Cartesio, e dall’altro il male estremo di cui parlava Hannah Arendt. Pensa che il male possa cambiare volto e forma nella storia, o resti sempre uguale a se stesso?
Ogni volta che mi accingo a scrivere un libro mi domando cosa sia il male, da dove venga e quale ne sia la funzione. Una domanda alla quale non ho ancora trovato la risposta, sebbene il problema sia molto presente nei mie libri. Credo ci siano diversi modi di considerarlo, in ogni caso. Ci può essere il male puro,  come contrapposizione e al bene, oppure il male della società, quello legato alla nostra parte rettiliana, il cervello primitivo che lotta per la sopravvivenza e che emerge una volta che si è di fronte alla forza cruda della natura, come avviene in Vertigine. 
In questo mio ultimo romanzo ho voluto immergere i miei personaggi in un’ambientazione estrema, che riuscisse a mettere da parte per un attimo la società attuale con le sue regole (diciamo evolute) del vivere civile, per immaginare cosa possa succedere se di colpo ci ritrovassimo a vivere in un ambiente primitivo. È in questa situazione che ho voluto far intravedere la luce della solidarietà umana che emerge per paradosso di fronte alla sfida estrema della lotta per la sopravvivenza. Fame, freddo, collera paura e sospetto sono gli ostacoli che i protagonisti devono superare per sopravvivere. Come si comporteranno? Io voglio credere che l’umanità sia sempre superiore agli orrori vissuti, e che in fondo al tunnel ci sia sempre la solidarietà degli uomini  a fare da luce. 

In questa lotta alla sopravvivenza, si percepisce molto forte l’amore per la montagna, che nel romanzo è rappresentata come una vera maestra di vita. Jonathan, il protagonista di Vertigine, riesce a far fronte alla difficoltà estrema di un ambiente ostile grazie alla sua esperienza di alpinista. Quale ruolo ha giocato in ciò la tua passione per gli sport estremi? Li hai mai praticati? 
Sono sempre stato affascinato dagli sport estremi soprattutto per la loro forte componente di sfida. Per scrivere Vertigine mi sono molto ben documentato sull’alpinismo, in ogni dettaglio: quello che mi affascina della scalata è la tentazione sempre viva di desistere per la fatica, prima di raggiungere la vetta, e dunque l’equilibrio tra la realizzazione delle proprie ambizioni e il rischio di sacrificare loro la nostra stessa vita. Trovo che questo abbia molto in comune con noi scrittori. Per me ogni romanzo che scrivo è come scalare una montagna. Anche quando si tratta della stessa vetta, non è mai la stessa esperienza. Nel caso del protagonista di Vertigine, Jonathan, ho voluto giocare col contrasto: vedere cosa potesse provare un uomo abituato alla libertà estrema dell’aria aperta e delle cime più alte una volta precipitato nel cuore della terra, imprigionato in un ambiente semichiuso.

Labirinti, soluzioni impossibili da sciogliere, enigmi posti al lettore, come se il suo thriller fosse una “settimana enigmistica” tridimensionale, per calare il lettore nel dramma vissuto dai protagonisti. Un bel progresso per un genere che è partito dal romanzo gotico e dal fenomeno sovrannaturale per evolvere nei drammi psicologici di cui è stato capostipite Edgar Allan Poe. Pensa che oggi questa sfida lanciata al lettore sia un ingrediente imprescindibile del nuovo modo di creare suspence?
Inizierei facendo un passo indietro. In generale, ci sono due tipi di romanzi che amo scrivere, sebbene in Italia sia più conosciuto per i thriller. Amo molto scrivere i gialli, con loro la tipica struttura tripartita (crimine, indagine, soluzione) nel solco della tradizione: trovo che siano terapeutici in quanto rassicuranti. 
Poi c’è il genere thriller, che ho molto personalizzato, laddove l’accento non è posto sui personaggi ma sulla struttura, e soprattutto sulla sfida che lancio ai miei lettori, come una specie di gioco dove mi diverto e che trovo stimolante. È ciò che avviene, come hai giustamente notato, in Labirinti, nella Foresta Nera, ne Il manoscritto e in Vertigine. Il fatto di essere ingegnere fa sì che io adori costruire il romanzo nella sua struttura, come un castello che nasconda dei tranelli e delle stanze segrete.
In questo caso non faccio leva solo sulla paura del mio lettore, ma anche sul desiderio di giocare, facendogli riscoprire il gusto e il piacere del divertimento e la sensazione dell’infanzia. Col desiderio di trasformare il libro in un gioco vero e proprio, dove  il lettore ha un ruolo attivo. 


LABIRINTI è stato l’ultimo tuo libro che ha concluso una trilogia (Il manoscritto – e C’era Due Volte).In questo thriller hai avuto la geniale intuizione di utilizzare il labirinto alla stregua di un archetipo. Nei tuoi libri in generale è LA MEMORIA a fungere da filo di Arianna per evadere dal sonno della ragione simboleggiato dal Minotauro, e dunque a fare da BUSSOLA, dove serpeggia la paura di una possibile manipolazione. Hai l’impressione che un progresso ipertrofico della tecnologia, separato dall’etica, possa portarci al rischio di massa di una possibile perdita di memoria ai fini MANIPOLATORI in un futuro possibile? 
In effetti, quello della memoria è un tema che ritorna spesso nei miei romanzi. Sia che si tratti di memoria collettiva, e dunque della storia di un paese e/o di un popolo, che di memoria soggettiva legata ai miei protagonisti. È qualcosa di molto importante, perché oggi viviamo in un mondo saturo di informazioni che  rischiano di confondere, le persone laddove non c’è il tempo di distinguere cosa sia vero e cosa  sia falso, appositamente manipolato per confondere le masse. Credo che sia proprio il problema del tempo e della tecnologia che abbia fatto cambiare l’approccio alla memoria: oggi una cosa non si studia in sé come un tempo si studiavano a scuola gli eventi storici. Le persone si limitano ad apprendere come ricercare un’informazione su internet, creando un gioco di scatole vuote, senza verificare che dentro il contenuto trovato corrisponda al vero. È dunque come se la memoria fosse esterna a noi, e tutto ciò che non ci appartiene può essere manipolato e sovrascritto. Per fortuna esistono i libri e i romanzi storici. 

Facciamo un gioco. Scacchi, labirinto, o scatole cinesi? Dovessero costringerti a scrivere « il romanzo della tua vita » utilizzando un solo di questi strumenti /simboli QUALE sceglieresti come PIÙ EFFICACE per la dinamica del thriller?
È veramente difficile scegliere! Sicura che non posso usarli tutti ? Se proprio devo, scelgo il labirinto perché rappresenta un tipo di architettura in cui muoversi nello spazio. Ha un cuore che ne marca il centro, e dà una sensazione di libertà una volta che si riesce a uscirne, trovando la strada giusta. Inoltre ha molte strade a fondo cieco, che rappresentano delle trappole, ma è come se fossero gli ostacoli che ci troviamo ad affrontare nella vita.

Nel tuo romanzo “Foresta nera”, il protagonista – David Miller- riceve un’offerta da un facoltoso committente: un sacco di soldi per rimanere chiuso in una villa nella Foresta Nera, insieme allo stesso committente, per scrivere un libro su un serial killer . Se ti avessero fatto la stessa proposta quando ancora non ero uno scrittore famoso, avresti accettato?
Bella domanda! Ho scritto Foresta Nera per un senso di sfida, proprio perché in genere ho paura delle foreste. Diciamo che in una realtà parallela, in generale, non accetterei mai di scrivere un libro rinchiuso nel cuore di una foresta, e se dovessi farlo la leva che mi dovrebbe spingere non sarebbe sicuramente il denaro o la fama. Amo le sfide, dunque forse accetterei solo se qualcuno riuscisse convincermi con altri obiettivi che ho a cuore.

Jules Vernes “viaggio al centro della terra” e Jack London “zanna bianca”, due autori da te citati molto, e dunque amati. Se a tua volta ti trovassi in una gabbia come quella di VERITÀ  ritratta in VERTIGINE, e potessi portare con te solo un libro, quale dei due sceglieresti? 
Sicuramente Jack London. Ho amato le lunghe distese di ghiaccio descritte nei suoi romanzi, la cooperazione tra i cani, quel tipo di ambientazione estrema nel freddo siderale popolato solo da slitte. 

Hai mai avuto un momento di sconforto durante la tua carriera che ti ha portato a pensare di abbandonare la scrittura?
Sì, soprattutto agli inizi quando i primi manoscritti mi venivano rifiutati. Ma come ho detto, per me scrivere è una sfida, come scalare una montagna, perciò non mi sono mai arreso. Viva l’alpinismo! 

MilanoNera ringrazia Franck Thilliez e Fazi Editore per la disponibilità

Silvia Alonso

Potrebbero interessarti anche...