Lei stessa aveva detto al suo carnefice: “Spara qui” e a Capodanno il mondo dell’editoria piange per la scomparsa della traduttrice Giuditta Ayala. Una donna talmente affascinante da tessere attorno a se una rete di rapporti potenzialmente in grado di ucciderla, tre amanti per nascondere la solitudine generata da un unico ed inspiegabile legame, per colmare l’assenza di lui, Israel Abenmoder, uomo di cultura israeliano.
Gli interrogatori raccontano una vita da romanzo costantemente appesa al filo di una relazione anomala e pagata a caro prezzo. Le emozioni si declinano irriverenti fino a creare un puzzle dal quale solo il vero assassino riuscirà a sottrarsi magistralmente.
L’ispettore Anna Tropea e il commissario Baldassarre Barone portano avanti la complicata indagine, sembra di stare lì con loro mentre ascoltano Skin e Prince e le loro stesse esistenze s’intersecano inevitabilmente con quelle delle persone sospettate del peggiore dei reati. Spietati Cronisti assetati di soluzioni facili scrivono le loro verità mentre il registro degli indagati sfila con le proprie storie tra le strade di Roma, Napoli e Gerusalemme: tutti piangono “Utta”, tutti aggiungono particolari più o meno rilevanti, ma nessuno sembra averle sparato.
Di chi era la mano che ha premuto il grilletto? Che movente poteva aver avuto quella persona alta, che la vittima aveva fatto entrare senza opporre resistenza nella sua abitazione di via Linneo a Roma?
Il colpo di scena finale ci rivela la tanto sospirata verità, agghiacciante, apparentemente inquietante ma che non manca di evidenziare il triste desiderio di Anna Tropea e di Baldassarre Barone di smettere di intrecciare le loro vite con una fluente e costante scia di morte.
Per usare le parole dell’autrice: “La colpa poteva dispiegarsi in mille forme, o non avere nome. E nemmeno punizione. O non essere colpa.” L’assassino e le sue ragioni rimangono nascosti per sempre in un dolore profondo, infantile, coltivato e mai risolto: una valida motivazione per uccidere senza alcun pentimento.