Jun’ichiro Tanizaki (1886 – 1965), candidato al Nobel per la letteratura nel 1964, è stato uno dei maggiori scrittori giapponesi del Novecento, noto soprattutto per i suoi romanzi e racconti incentrati sul tema della bellezza femminile colta in chiave erotica.
In questo volume Marsilio ne pubblica sei, tutti di genere poliziesco.
In ognuno di essi l’autore applica il metodo investigativo deduttivo, conduce cioè il lettore al disvelarsi della verità a piccoli passi, tramite la disamina di singoli indizi che vengono messi sulla strada del protagonista, e quindi indirettamente di chi legge, per condurlo alla soluzione del mistero.
I ruoli principali sono sempre maschili: scrittori affermati, avvocati, studenti, uomini d’affari, investigatori privati. La donna è solo un elemento di colore, si limita a essere una comparsa.
L’ambientazione è nel Giappone della prima metà del secolo scorso, sia in città che nella più arretrata campagna.
L’attrazione per l’universo femminile è declinata in chiave occidentale: la figura della geisha, nume tutelare della tradizione, perde di intensità rispetto alla donna europea, disinibita, sfacciata e impertinente agli occhi di un giapponese, per questo motivo più desiderabile.
Il primo racconto (Storia di Tomoda e Matsunaga) è emblematico del dualismo vissuto da chi ha attraversato quel particolare momento storico in cui si è assistito all’apertura del Giappone alla civiltà occidentale.
Protagonista è uno scrittore famoso che viene, suo malgrado, incaricato di indagare sulla vera identità di un conoscente, benestante, viaggiatore, seduttore impenitente, imprenditore in settori poco trasparenti e – soprattutto – uomo dalla doppia vita. Questo dottor Jekill/mister Hyde alterna ad anni in cui si immerge nella cultura giapponese, altri in cui se ne allontana anche fisicamente per abbracciare stili di vita, atteggiamenti, linguaggi, perfino un nome francese. Tanizaki Jun’ichiro fa dire al protagonista:
“Ogni volta che mi guardavo allo specchio sentivo l’infelicità di essere nato in un paese giallo”.
Non c’è un assassinio, ma c’è un mistero da dipanare con le armi dell’intelletto.
Altro elemento ricorrente nei racconti – particolarmente ne Il caso ai Bagni Yanagi” – è il “sogno”, cioè la prospettiva onirica, l’incapacità di calarsi nel quotidiano e la conseguente difficoltà a realizzare la differenza fra “ciò che è” e “ciò che sembra essere”, fra la vita e la narrazione fantasiosa che ne fa colui che dalla propria realtà voglia fuggire. Qui si percepisce la seduzione delle teorie psicanalitiche, del paranormale e l’influenza della letteratura gotica di Poe o di H. P. Lovecraft, precursori del fantasy e del giallo psicologico.
Sicuramente una lettura originale e per niente ostica, che apprezzerà anche chi, da neofita, vuole avvicinarsi alla letteratura del paese del sol levante.
Il libro in una frase
“Fu in quel periodo che cominciai a maledire gli atteggiamenti orientali: tutti opprimenti come lo erano nella casa del villaggio di Yagyu.
… Anche quando si tratta di apprezzare un piacere, gli orientali non ne approfittano del tutto ma si limitano a goderlo al cinquanta-sessanta per cento. Ci si giustifica dicendo che in questo modo si esprime il fascino della moderazione e del mistero. Ma in verità non c’è niente di suggestivo o del genere; il fatto è che la natura non ha dotato gli orientali della forza necessaria a soddisfare tutti gli stimoli come vorrebbero”