Il mistero dei tre quarti – Un nuovo caso per Hercule Poirot
Durante una mite giornata di Febbraio, Poirot al ritorno da un ottimo pranzo si imbatte in una signora dall’atteggiamento simile a quello di una tromba d’aria, Sylvia Rule, che lo accusa di averle mandato una farsa di lettera e di incolparla dell’omicidio di Barnabas Pandy, lei che è la persona meno incline alla violenza che abbia mai incontrato.
Neanche il tempo di riprendersi con uno sirop de menthe, suggerito dall’accorto maggiordomo George, che un altro visitatore lo attende, Mr John McCrodden, un uomo dai lineamenti così delicati che sembra essere venuto fuori da unìopera d’arte, forse un parente di Rowland Mc Crodden, detto Rowland Forca, per aver condannato al patibolo diversi criminali. Anche costui aveva ricevuto una lettera scritta da Poirot con la stessa accusa.
E non finisce qui, il giorno seguente arriva Miss Annabel Treadway, una donna esile di media statura con capelli chiari e occhi e abiti scuri, alla quale Poirot si sentì in dovere di porgere le condoglianze; anche lei era stata accusata di essere un assassino da una lettera firmata da Poirot, ma si era sentita in dovere di precisare che non aveva mai causato sofferenze a nessuno, eventualmente aveva salvato vite. Annabel Treadway, però, a differenza degli altri due, conosceva Barnabas Pandy, morto due mesi fa, era suo nonno e vivevano insieme con la sorella Lenore.
Il giorno dopo, mentre Poirot si accomodava al caffè Pleasant di Fee Spring a gustare il suo ottimo caffè e una fetta della sua famosa torta a vetrata di chiesa, viene avvicinato da Hugo Dockerill che gli annuncia con voce briosa di aver ricevuto una sua lettera due giorni fa, in cui lo si accusava dell’assassinio di Barnabas Pandy.
Due donne e due uomini hanno ricevuto una fantomatica lettera firmata da Poirot in cui li si accusava dell’omicidio del vecchio Barnabas Pandy, quattro persone, esattamente come le vetrate di una chiesa, due gialle e due rosse, uguali ad una fetta della famigerata torta di Fee Spring.
All’inizio la storia aveva il lento e noioso incedere dei gialli psicologici, tutti basati sull’affastellarsi delle prove, in un tragico teatro dell’assurdo nel quale il susseguirsi di eventi a sorpresa rendono arduo orientarsi per il lettore, in modo che il colpevole rimanga sempre meno evidente.
Verso la metà del romanzo, invece, l’ispettore Poirot, pur restando fedele ai suoi panni, perde un po’ della sua pedanteria e sfoggia quell’arguzia sottile, da profondo conoscitore della natura umana, cui noi siamo abituati e che gli è più consona.
Così procede, a tutta dritta, nell’eliminare l’effetto confondente di alcuni indizi e ci conduce al traguardo, seguendo il colpevole col suo infallibile fiuto e la sua proverbiale pervicacia.
Sophie Hannah ci restituisce un Poirot sempreverde, in perfetta forma, in grado di lasciarci col fiato sospeso, capace di una sagacia sottile come un ago che penetra profondamente nell’animo umano.
L’effetto suspense in alcuni tratti è un po’ troppo perpetrato e per i tempi odierni, in cui il mondo corre veloce, non so se sia altrettanto tollerabile come ai tempi di Agatha Christie. Ma Sophie Hannah è così tanto londinese, che non potrebbe tradire neanche questo aspetto e lo fa in modo del tutto naturale.
Il mistero dei tre quarti è un giallo tipicamente inglese, ambientato nella Londra degli anni trenta, perfettamente aderente alla tradizione britannica del giallo psicologico, con un protagonista d’eccezione, Poirot, che usa il classico espediente di riunire tredici persone in una stanza e metterle a confronto e lì dà il meglio di se stesso, dimostrando che non ha perso lo smalto, nonostante il trascorrere del tempo.
Have a tea and God Save Poirot!
Il mistero dei tre quarti
Valeria Arancio