Irma Cantoni, dopo il successo de Il bosco di Mila ( qui il link alla nostra recensione) è nelle librerie con Il segreto di Palazzo Moresco (Libro/Mania).
Come si è avvicinata alla scrittura e al genere thriller?
Sono arrivata alla scrittura dieci anni fa, prima ho privilegiato altro: combattere le storie della vita, per esempio, o forse mi stavo solo preparando per scrivere. Chi lo sa. Scrivere è qualcosa di misterioso e invisibile, come la lettura. Leggere mi ha fatto capire che potevo ritrarre persone e paesaggi, poi è arrivato il desiderio di cercare nelle parole, trovarne la musica. Le parole rivelano molto, sono elettriche, fanno scattare sinapsi. Ho cominciato così a tessere storie in una sorta di visionarietà, ma con la griglia del thriller, quella che tiene ancorati, che grida: chi è il colpevole?
Qual è per lei la chiave per scrivere un buon giallo?
Per me significa sperimentare nuove zone di scrittura. Non vuol dire ‘contaminare’, un termine che mi porta l’idea di un’infestazione. Penso sia importante avere sempre un sottofondo di compassione, aprire scenari che aprano il cuore. Pertanto scrivo thriller carichi di realtà e allo stesso tempo immersi in un sogno. Mentre racconto storie che camminano nella Storia del nostro paese, propongo visioni altre sul post mortem.
Dopo un periodo a Roma, ora è tornata a vivere a Brescia, giusto? Quanto la città lombarda le è stata di ispirazione per la stesura de Il segreto di Palazzo Moresco? Nel descrivere la residenza della famiglia Moro ha pensato a qualcosa in particolare?
Brescia è città d’arte, non per niente siamo in Italia, e l’arte dilaga in questo libro: nel 1800 – e questo non è frutto di una mia invenzione letteraria – vennero alla luce nel pieno centro storico della città i resti di un antico Foro Romano. Intrigante. Ciò che è coperto dal tempo è sempre fonte misteriosa. Questo mi ha ispirata: anche nel palazzo immaginario della famiglia Moro, qualcuno aveva scavato, ma per nascondere. Che cosa? Come in una catarsi, bisogna scendere nei sotterranei per trovare risposte. Il commissario Vittoria Troisi è stata trasferita dalla capitale, lei dice catapultata, in una città e territorio ignoti, Brescia. Ha affittato un appartamento proprio vicino a palazzo Moresco, nella zona delle vestigia dell’antico Impero, con intorno case su case. Non è affatto contenta del suo spostamento forzato, ma le indagini su un omicidio la scavalcano, lei corre sul filo del rasoio, è sempre in corsa e in pericolo. Il personaggio di Vittoria mi è arrivato in testa mentre vivevo, io bresciana, nella capitale. Nella mia scrittura si rincorrono sempre queste due città: una Brescia che si svela e una Roma che durante una manifestazione violenta, dura, diventa quasi un’entità con corpo e sentimenti.
C’è un tema che ripropone più volte nel giallo: il rapporto genitori/figli. Frida viene abbandonata dal padre dopo la morte della mamma, che però si rivela non essere la vera madre; Diego odia il padre, il quale lo estromette dal testamento e lo disconosce come figlio. Come mai queste relazioni così tormentate e difficili?
La vita è anche una boscaglia di emozioni negative, avidità, orgoglio e rabbie furibonde. Basta attingere ai segreti che le coprono: relazioni intricate, ex mogli e mariti, amori nascosti e figli ancora più occultati. Si fa di tutto per allontanare la morte o sconfiggerla, ma gli ingranaggi incombono sempre sui vivi, agitano drammatiche conversazioni, ricordi rancorosi, esplodono in personaggi allarmanti, con capitoli dai titoli inquieti, per esempio “La pesatura delle anime” oppure “Caino disse ad Abele: andiamo in campagna”. È un terreno inesauribile, quello delle emozioni disturbate, si intrecciano all’arte dell’inganno, e intanto la ruota del vivere e morire incalza. Sempre.
Nel romanzo si nota una certa attenzione alla psiche dei personaggi, i cui pensieri e stati d’animo sono analizzati nei minimi dettagli. Personalmente mi sono molto affezionata a Vittoria e Frida: quanto di lei c’è in loro?
Anche io sono contagiata da Vittoria, ora anche da Frida. Le storie ci attraversano, la vita scorre, ma non c’è un mio ritratto personale in ciò che scrivo. Di me stessa c’è solo il fatto che scrivo di persone, eventi, relazioni in una verità che si carica di tensione ed è sempre spiazzante. Una Frida, per esempio, io non l’ho mai incontrata di per sé, eppure chissà quante volte l’ho ascoltata, vista, capita. Lei è una ragazza di diciassette anni che viene cacciata di casa, con un padre disoccupato, perso tra i fumi dell’alcool, che vorrebbe tornare nell’acciaieria a farsi bruciare i polmoni pur di riavere un lavoro. Frida è un personaggio con un montaggio psicologico importante, un agnello che troverà sulla sua strada un lupo, di nome e di fatto, dal linguaggio astruso, magnetico, volutamente d’altri tempi. Con Frida, e il suo predatore, ho potuto esplorare una sottomissione individuale e una successiva ricerca della libertà.
Come mai la scelta di un commissario donna? Possiamo dire inoltre che le donne sono le vere protagoniste del romanzo…
Oggi ci sono molte donne in polizia, hanno cariche importanti, si sono guadagnate ogni passaggio con la fatica. Ideare Vittoria Troisi è un tributo per tutte loro. Non scrivo di una donna perché lo sono (in questa vita). No, io scrivo di uomini e donne, bambini e anziani e così via, e ognuno è disegnato da protagonista quale è, che sia in primo piano o in un angolo di pagina della storia.
Domanda di rito: progetti futuri? Avremo il piacere di indagare di nuovo al fianco di Vittoria Troisi?
Una domanda che porta in sé buoni auspici nello spazio, grazie! I viaggi nelle indagini di Vittoria Troisi continuano nell’evoluzione del personaggio. Sono viaggi mentali che spaziano tra paludi di inganni, trappole e imbrogli, e vanno oltre. Un oltre da scoprire insieme.
Grazie a Irma Cantoni per la disponiblità.
Qui la nostra recensione a Il segreto di Palazzo Moresco
La foto di Irma Cantoni è del fotografo Marino Colato.