Il Commissario Soneri e la legge del Corano è il nuovo libro di Valerio Varesi in uscita il 7 febbraio e presentato in anteprima al NebbiaGialla Suzzara Noir Festival.
Con l’intervista il primo dei quattro video realizzati dall’autore.
Appuntamento per il secondo video all’8 febbraio.
Nell’ultimo Soneri parlavi della situazione politica di Parma, che andava a rotoli. Ci sono stati dei cambiamento in città? Come giudichi l’attualità parmense? E quali sono oggi i rapporti di Soneri con la sua Parma?
Era stato promesso un grande cambiamento con l’avvento del primo sindaco grillino di un comune capoluogo, ma la montagna ha partorito il topolino. Pizzarotti non poteva certo risolvere in poco tempo i guai profondi in cui Parma era finita, ma non si può nemmeno dire che questa Amministrazione, presentatasi con la promessa di sfracelli, abbia fatto qualcosa al di là dell’ordinaria gestione. Abbassare il debito lasciando fallire le controllate del Comune sono capaci tutti. Ma una città che fu all’avanguardia in molti settori, ora vivacchia nella mediocrità. Di conseguenza, Soneri è deluso e critico. Deluso soprattutto per la perdita di una peculiarità che distingueva Parma dalle altre città per esempio nel campo della cultura dove ha brillato nei decenni scorsi.
Uscendo da Parma, ma restando in Italia, Soneri e Valerio Varesi vedono una via d’uscira al cul-de-sac in cui siamo? Cosa ci vorrebbe per rimettere in sesto il paese?
Il Paese non può mettersi in salvo da solo e questo è il portato della globalizzazione. Può farlo solo con una maggiore integrazione europea. Detto questo non usciremo da questa situazione se si continuerà a seguire la ricetta economica del libero mercato senza regole dove pochissimi si arricchiscono, quelli del ‘partito di Davos’, del Bilderberg o della Trilateral, e un’enorme quantità di persone si proletarizzano. Il nostro Paese rischia ancora di più perché più ignorante e arretrato di altri in Europa. Da noi la proletarizzazione del ceto medio si aggiunge agli impoveriti dalla crisi e si scontra coi nuovi proletari che arrivano dai Paesi in miseria del sud del mondo. Una miscela esplosiva che potrà essere disinnescata solo con un drastico cambio di rotta e la redistribuzione delle ricchezze. Purtroppo non vedo tale svolta e penso al peggio. Al montare dell’autoritarismo (analogie con la crisi del ’29, con la Germania di Weimar e l’Italia della crisi giolittiana del ’20-’21 che portò al fascismo) e a una società sempre più turbolenta con arroccamenti, muri, scontri che provocheranno un brusco ritrarsi della democrazia.
Quanto è profondo il rapporto di Soneri con la sua terra, della quale pare essere un’espressione?
Molto profondo in quanto luogo dell’anima a cui sono legati i momenti della vita e la nervatura etica che lo caratterizza. Ma sempre più Soneri ha l’impressione di riflettere un’immagine di qualcosa che non c’è più. Come quella di un astro lontano di cui noi riceviamo un fotogramma già vecchio di anni luce. Malgrado questo continua a battersi per riaffermare ciò che in parte si è perso. Lo fa da questurino di provincia, coi mezzi di un questurino di provincia, che talvolta gli paiono infinitesimi rispetto al soverchiante male del mondo.
Soneri e la buona tavola, connubio inscindibile?
Nella città nominata capitale mondiale della gastronomia dall’Unesco, quella dove esistono le più grandi filiere italiane nel campo dell’alimentazione, Soneri non poteva che essere un amante della tavola. Ma in questo senso, il cibo è un elemento culturale, non di solo palato. La storia di Parma e dell’Emilia si può leggere anche a partire dal cibo, come ci ha insegnato Piero Camporesi.
E per completare il quadro. Quanto e come si è evoluto in questi anni il tuo commissario? Sul piano lavorativo? Morale? Affettivo? Soneri è in bilico da anni tra il desiderio di concretizzare la sua storia d’amore, cosa lo frena? Ha paura di soffrire ancora o la sua natura di cane sciolto è troppo forte?
Soneri è un personaggio in evoluzione e non è mai uguale a se stesso. Si racconta episodio dopo episodio svelandosi lentamente al lettore. Sul piano lavorativo non fa progressi perché negli apparati dello Stato la carriera si fa con le entrature e la politica. Sul piano morale, come dicevo, è sempre più avvilito e arrabbiato nel vedere una città in preda a un’involuzione tale da farle dimenticare le sue fondamenta, quelle costruite a partire dall’inizio del ‘900 con Corridoni e il sindacalismo rivoluzionario, passando per le Barricate contro i fascisti del ‘22 fino alla Resistenza e alle lotte operaie degli anni ’60-’70. Dal punto di vista degli affetti, Angela è complementare. Di fronte al cambiamento del contesto sociale parmense, lei rimane fra le poche a restituirgli un frammento di quel tempo. Ma la loro unione è fra due gatti randagi che si amano ma non rinunciano alla loro libertà, compresa quella di stare soli all’occorrenza”.
Buona parte di chi legge i seriali si affeziona in egual modo sia all’investigatore che all’uomo. Cosa ti scrivono i lettori? Ti suggeriscono svolte nel personaggio? Cosa desiderano per Soneri?
I lettori sono molto abitudinari e desiderano ritrovare caratteri e ambiti narrativi che hanno amato. Quando scrivo un romanzo non noir, molti mi chiedono quando tornerà Soneri. Per lui desiderano molte cose. Quella più curiosa è rappresentata da una parte delle lettrici che lo invitano a lasciare Angela. Riguardo quest’ultima, ho constatato che il pubblico femminile o la ama incondizionatamente o la odia per una sorta di gelosia nei confronti del commissario. Non ci sono mezze misure.
Hai seguito diverse altre strade con altri personaggi. Che io ricordi ora, sia con Il paese di Saimir, romanzo denuncia dell’imprenditoria emiliana senza scrupoli, poi sei tornato alla mitica epoca partigiana con Oscar il tuo Il rivoluzionario, quindi con Lo stato di ebbrezza, disincantata e moderna metafora italiana, hai affrontato discutibili tesi che parevano inalienabili. Hai quasi cavallerescamente indossato i panni di Donchisciotte per sfatare, denunciare e sondare tanti temi ostici senza darli per scontati. Quanto ti appaga uscire dagli schemi di un indagine poliziesca pura o quasi?
Desidero non restare schiavo di un personaggio e di una gabbia narrativa per quanto io tenti ogni volta di scardinarla. I miei libri hanno un connotato di impegno sociale da cui non posso prescindere e pertanto declino i registri del racconto a seconda delle storie che mi capita di narrare. Il noir è molto adatto a raccontare l’oggi e le sue contraddizioni, ma ci sono storie che non si prestano al noir. L’indagine sul passato della nostra Repubblica per esempio, a cui ho dedicato tre libri, da “La sentenza” a “Il rivoluzionario” fino a “Lo stato di ebbrezza”. Ma non c’è una completa separazione tra il noir e il resto della mia narrativa perché la trilogia che ho citato non è altro che il prodromo di ciò che oggi è il nostro mondo. Quello in cui capitano delitti che cadono sotto l’occhio del commissario”.