Vergine in nero
di
Andrea Silvestri
Sono in San Gottardo, vicinissimo a Porta Ticinese e alla darsena, così sapientemente ristrutturata per l’EXPO dell’anno scorso. Sto uscendo dall’Auditorium dove ho appena ascoltato l’orchestra LaVerdi suonare un concerto dedicato a John Williams, compositore di grande fama nel panorama delle colonne sonore di Hollywood. Di fianco a me c’è Sara. È ovvio che sia qui soltanto per lei, chi se ne frega di John Williams e dei Predatori dell’Arca Perduta, però Sara è archeologa e appassionata di Indiana Jones e quindi ce l’ho portata. Stereotipi ne abbiamo?
Lei mi stringe dolcemente la mano mentre ci avviamo verso il Giallone che è pronto a portarci sui navigli per l’aperitivo, quando, funesto, il cellulare prende a squillare.
«Radeschi, metti il culo su quella tua ferraglia gialla che ti ritrovi e portalo in redazione. I teppisti hanno colpito ancora e questa volta l’hanno fatta grossa» mi dice Calzolari senza aspettare neanche il mio “pronto”.
«Capo, questo non è il momento. E poi, quante volte te lo devo dire che io mi occupo di nera?»
«E quante volte ti ho detto che se non fai quello che dico sei licenziato? Ti aspetto tra dieci minuti» e mette giù.
Sara mi guarda con gli occhi di chi ha già capito tutto ed è scocciato.
«Giuro, è l’ultimissima volta!» la supplico.
«Lo erano anche le scorse quindici. Addio Enrico» mi dice dandomi un bacio sulla guancia e poi andandosene verso porta Ticinese. Rimango imbambolato e la guardo andar via, ma non ho tempo e quindi volo sulla mia Vespa del ‘74 diretto in zona Garibaldi, nella sede del Corriere. Nemmeno il tempo di mettere piede in ufficio che Calzolari mi sbatte in faccia una foto che non capisco. In mezzo a quelle che sembrano guglie gotiche si staglia una statua completamente nera, come ricoperta di catrame. La guardo più intensamente e rabbrividisco.
«Hanno imbrattato la Madonnina?»
«Esatto, ed è per questo che è coperta da sta mattina. Inoltre, indovina chi segue le indagini?»
«Ok, vado subito.»
Sfreccio in via Manzoni sul Giallone come un cavaliere corre a cavallo verso la sua dama in pericolo. Questa volta però la dama non è Sara, che mi ha scaricato solo un’ora fa, ma è una signora laccata d’oro che adesso è ricoperta di una strana sostanza nera come se fosse in lutto per qualcuno.
L’enorme cattedrale gotica, con le sue guglie e le sue centinaia di statue, mi guarda mentre smonto dal mio destriero e vado verso il cordone della polizia. Sono fortunato perché in questo preciso istante vedo Sebastiani uscire da un portone sul fianco della chiesa. Quando il suo sguardo mi incontra mi sento un po’ meno fortunato.
«Che diamine ci fai qui, Radeschi?» dice mentre il toscanello che, come sempre, ha in bocca ruota all’impazzata.
«Volevo far visita a una signora di mia conoscenza. Abita all’ultimo piano.»
«Scordatelo. Su non ci puoi andare.»
«Loris, amico mio, perché devo sempre sfoggiare la miriade di favori non troppo legali che ti faccio per poter ragionare con te?» gli chiedo senza riuscire a trattenere un ghigno.
Lui diventa rosso di rabbia e stringe il toscanello talmente forte tra i denti che a momenti lo taglia in due. Dopo un profondo respiro, prende il nastro con una mano e lo alza per farmi passare.
«Sapevo che avremmo raggiunto un accordo.»
Dopo mezz’ora siamo su. Nonostante il primo pezzo l’abbiamo fatto in ascensore, la distanza rimanente è stata una sessione di free climbing senza fine e ora siamo entrambi senza fiato, però siamo arrivati in cima, all’interno delle impalcature che ricoprono Lei. Alzo la testa e guardo con orrore e meraviglia lo spettacolo: la statua è completamente nera, come nella foto. È così nera che dà fastidio guardarla, un po’ come se fosse fatta di… nulla. Mi viene in mente La Storia Infinita di Ende dove il Nulla si stava impossessando del regno di Fantàsia. Purtroppo questa è la realtà ed è stato qualcuno a compiere lo scempio davanti ai miei occhi.
La statua nera si staglia davanti al cielo, un cielo che prima era azzurro mentre ora è grigio e sta venendo invaso da neri nuvoloni. Sento anche il vento fischiare sotto di me e muovere i miei vestiti. Un tuono rimbomba non troppo lontano. Mi giro per interrogare Sebastiani sul da farsi, ma non lo vedo più. Quando alzo di nuovo lo sguardo verso la Vergine in nero un fulmine attraversa le nuvole dietro di lei e io d’istinto mi riparo gli occhi e mi rannicchio. Riapro gli occhi dopo poco e l’impalcatura non c’è più, dandomi la possibilità di vedere, sotto di me, tutto il centro di Milano: Piazza Duomo, la Galleria Vittorio Emanuele, Via Dante, il teatro Alla Scala, il Castello Sforzesco e l’Arco della Pace. Tutte queste strutture le vedo chiaramente e vedo enormi crepe formarsi sulle loro pareti. Crepe che si ingrandiscono fino a spaccare completamente le loro strutture che collassano poi al suolo distruggendo le strade e sprofondando nell’abisso che si è appena formato. Da quest’abisso vedo sorgere qualcosa: un’enorme creatura verde con dei tentacoli che le spuntano dal viso e delle ali di drago attaccate al dorso. La visione mi terrorizza, ma nello stesso tempo mi rallegra. Inizio a ridere. Rido di gusto perché finalmente il giorno è giutno e loro stanno tornando e…
«Svegliati Radeschi, per Dio!»
Sento la voce di Sebastiani e apro gli occhi. La guancia mi pulsa come se mi avessero schiaffeggiato. Guardando l’espressione soddisfatta del vice questore capisco che effettivamente è ciò che è accaduto.
«Cosa mi è successo?» chiedo con la bocca impastata.
«Sei svenuto, e non sei il primo a cui è successo. Anche un paio di agenti hanno avuto la tua stessa reazione. Forse siete un po’ troppo devoti.»
«Non sai che incubo osceno ho avuto! Non credo centri con la devozione.»
«Hai avuto un incubo?» chiede Sebastiani sorpreso, e il sigarillo compie lenti cerchi tra le sue labbra. «È la stessa cosa che mi hanno detto gli altri agenti.»
Gli racconto cosa ho visto e mi conferma che è la stessa scena vista dagli altri. Non me ne capacito quindi focalizzo la mia attenzione su altro. Mi alzo e faccio un giro della guglia per cercare qualche indizio. Mi blocco quando ai miei piedi noto due cose strane.
«Questi la tua scientifica li ha visti?» chiedo a Loris.
«Si, sembra siano cera di candela e cenere di un qualche incenso. Il laboratorio saprà dirci di più.»
Mentre Sebastiani parla passo una mano sulla parete della guglia e sento un rilievo strano. Prendo un foglio del mio taccuino e una matita e faccio un calco come quelli che ti insegnano a fare in Val Camonica alle elementari. Finito il calco osservo il risultato: è una stella a cinque punte. Le righe che collegano ogni punta sono curve e al centro del tutto c’è un segno: una specie di fiammella racchiusa in un cerchio.
«C’era un simbolo scritto in rilievo con la cera: mi ricorda qualcosa, ma non capisco cosa.» dico a Loris mentre gli passo il foglio.
«Non dovremo chiamare ancora quel professore di Semiotica vero?»
Sono le undici e non ho cenato. Sono ancora negli uffici del Corriere, in piedi davanti a una scrivania ricoperta di ritagli di giornale e sento solo il lieve ronzio della ventola del computer e i forti schiamazzi dei colleghi che nella sala riunioni stanno facendo il loro raduno ludico della settimana. Io guardo i miei ritagli, invece: sono tutti articoli riguardanti i vandalismi fatti di recente a opere d’arte.
Il modus operandi è lo stesso: nella notte vengono imbrattate di quella strana pittura nera e poi vengono lasciate così. Non si riescono a ripulire e non si capisce quale sia l’agente chimico usato. Le opere deturpate, ad ora, sono dieci: il Costantino Imperatore alle Colonne di San Lorenzo, il Cavour davanti al parco Indro Montanelli, la Venere nel giardino della Vigna di Leonardo, il Garibaldi in piazza Cairoli, il Leonardo da Vinci in piazza Alla Scala, il Tritone davanti all’Acquario Civico, il Dito Medio di piazza Affari, una copia del Cristoforo Colombo di Barcellona in un’abitazione privata in Brera, la Scrofa Lanuta in piazza Mercanti e infine la Madonnina.
È da quando sono rientrato dopo la visita in Duomo che cerco un collegamento tra tutti, ma non capisco perché possano essere state scelte proprio loro. Inoltre, per imbrattare il Cristoforo Colombo in Brera si sono dovuti dare un bel da fare, in quanto hanno dovuto irrompere nel chiostro dell’abitazione di qualcuno. Escludo che ci siano riferimenti storici: non credo che il tritone possa aver avuto a che fare con Cavour o Leonardo da Vinci. Magari con Colombo e Venere, con uno dei due che gli ha fatto il dito medio, ma non è abbastanza per seguire questa strada. Anche le date associate a tutte le opere non mi dicono nulla, e nemmeno Google riesce ad aiutarmi a fare il collegamento.
Per distrarmi mi alzo e raggiungo i colleghi che giocano in sala riunioni. Entro e li vedo super agitati.
«Silenzio Enrico, siamo nella merda e dobbiamo concentrarci o Yog-Sothot ci fa a fettine.»
«Giocate ad Arkham vedo.» Guardo il tavolo: il tabellone di gioco rappresenta una strana città in stile horror e la scatola di gioco recita “Arkham Horror” e la copertina è terrificante, piena di strani simboli e…
«La stella con la fiamma in centro!» grido afferrando la scatola.
«Ehi! Vai tranqui, cosa c’è?»
«Questo simbolo. Cosa rappresenta?»
«Ma niente, è un disegno inventato dagli autori del gioco per identificare i cultisti di Cthulhu.»
«I cultisti di… Grazie mille!» e di corsa sono già alla scrivania a googlare “Cthulhu”. Vengo invaso dai risultati, il 90% dei quali riguardano lo scrittore H.P. Lovecraft e i mille giochi, film e libri scritti da lui e dai suoi fan. Ecco dove avevo già visto il simbolo! Ho letto un po’ di Lovecraft alla facoltà di Lettere. Penso di essere davanti a un caso di fanatismo andato a male e riesco a ricollegare quel simbolo proprio ad H.P. Lovecraft e ai suoi lavori.
Non riesco ancora a trovare un collegamento tra le opere nere quando mi torna in mente la città sul tabellone del gioco. Riapro il browser, entro nella sezione “Miei Luoghi” di Google Maps e mi posiziono su Milano. Inserisco una puntina per ogni statua che è stata vandalizzata e poi le collego tutte con delle linee.
Come pensavo: il disegno forma una stella a cinque punte! Quello che capisco adesso mi fa rabbrividire: manca il disegno della fiamma nel cerchio e sono sicuro che una di queste notti lo faranno apparire rovinando un’altra importante opera della città che ho imparato ad amare in questi anni.
Comunico quanto scoperto a Sebastiani e lui fa sorvegliare le principali opere d’arte nell’area circoscritta all’interno della stella a cinque punte. Dopo qualche notte di pattuglia una squadra segnala dei sospetti nella piazzetta del Caffè Letterario. Sono un gruppo di trentenni armati di secchi, pennelli e un sacco nero a grandezza uomo. Non ci sono statue da imbrattare qui e si preparano a disegnare per terra qualcosa. Non hanno tempo di fare nulla però perché la squadra li prende alla sprovvista e li accerchia. Sono tutti in arresto.
Una volta in questura Sebastiani scopre di avere a che fare con dei fanatici delle opere di H.P. Lovecraft che credono veramente nella venuta di Cthuhlu e tutte quelle scemate della Progenie Stellare. Sono anche tutti laureati in chimica e il colore sulle statue è un nuovo prodotto inventato da loro. Vengono ovviamente condannati a pulire tutto.
Gli strani incubi che io e gli agenti abbiamo condiviso sono stati causati da un allucinogeno bruciato come incenso sotto la Madonnina. La spiegazione del sogno uguale? Beh avevamo tutti letto qualche opera di Lovecraft nella nostra vita e i luoghi dei vandalismi erano pieni di riferimenti che solo il nostro subconscio aveva captato.
Inoltre, il sacco nero che i ragazzi avevano con loro la sera della cattura conteneva il corpo di una bella ragazza di diciassette anni data per scomparsa da qualche giorno. Fortunatamente era solo svenuta e non presentava altre ferite, ma, visti i pugnali trovati nelle borse degli accusati, sembra che il suo destino sarebbe dovuto essere ben diverso.
Il mio articolo su questo caso è ovviamente finito in prima pagina e, dato che la fama quando vuole ha i suoi lati positivi, Sara mi ha appena citofonato ed è ansiosa di sapere la storia nel dettaglio. Stasera l’aperitivo non salta, e nemmeno le attività che seguiranno.