Detective Randolph

Randolph è un lettore appassionato di Dante, soprattutto della”eccelsa traduzione dell’inferno”, ama la buona cucina ed è leggermente in sovrappeso. Due volte al giorno fa lunghe passeggiate nei viali e nei parchi di New York, e possiede una innata intuizione mista ad un sorprendente “fiuto” per i misteri. Tutte queste doti e caratteristiche ne fanno un buon investigatore anche se in incognito perché Randolph è un cane-detective, ed “uno dei più familiari: un labrador, completamente nero se si accentua un ciuffo di peli prematuramente bianchi sul mento” che gli conferisce “un’aria da saggio”. Protagonista del primo accattivante romanzo( “Elementare Randolph”- Garzanti editore) della serie creata dallo scrittore americano J.F. Englert e dedicata al detective a quattro zampe, Randolph narra in prima persona la sua vita col problematico Harry e le sue avventure da investigatore improvvisato e impavido. E’ il cane di Harry, un giovane talento dell’arte, fortemente provato dalla scomparsa improvvisa della fidanzata Imogen, con la quale tenta di instaurare un rapporto durante le sedute spiritiche
Randolph vive con Harry in un umile appartamento nell’Upper West Side di Manhattan, è un cane speciale che possiede tutte le peculiarità della sua specie, va matto per il “patè di marciapiede”, un insieme di resti maleodoranti che eccitano il suo olfatto, appartiene al folto gruppo di sostenitori dei “cerca fogliame” dove lasciare i propri bisogni, colloquia con altri animali, tra i qualòi l’aico bradipo Harry, eppure è unico tra i suoi simili.”Come mai sia diverso è un mistero. Mutazione genetica, qualcosa nell’acqua bevuta da mia madre durante la gravidanza, il modo in cui sono stato allevato, chi può dirlo?”, Randolph è un cane colto, intuitivo ed estremamente sensibile. Sente subito “puzza di guai” e come lui stesso spiega “la corruzione è spesso maleodorante, di solito emana un tanfo simile a quello delle ostriche guaste. Ma gli psicopatici assassini hanno l’odore più terrificante di tutti: l’odore dell’assenza”. Ed è alla ricerca di questo odore non odore che Randolph si dedica per stanare l’assassino di tre persone.  L’improvvisa e misteriosa dello scrittore Overton, avvenuta dopo una seduta spiritica nella toilette della casa che ospitava anche Harry, fa partire le indagini di Randolph. Il labrador detective osserva e annusa ogni possibile sospettato e trae le conclusioni. Il suo compito è quello di indirizzare Harry sulla pista giusta e lo fa provandole tutte al costo di rischiare la vita e di farsi “smascherare” dal suo padrone.  Il suo fiuto gli permette di capire gli stati d’animo degli esseri umani e lo aiuta a ridurre il gruppo dei sospettati affidandosi al celebre motto di Shelock Holmes”quando si è eliminato l’impossibile, qualsiasi cosa rimanga, per quanto improbabile, deve essere la verità”. Il disegno criminale di una mente malata prevede altre due morti violente tra coloro che avevano preso parte alla seduta spiritica. Tutte le vittime nascondono un segreto e Randolph e l’ignaro Harry cominciano ad indagare fino a scoprire una verità che non solo smaschera l’assassino ma rivela un segreto che li riguarda da vicino. L’autore, col suo protagonista si cala nei panni di un cane con i suoi istinti, i suoi bisogni, ed il suo punto di vista. Oltre alla ricostruzione puntigliosa dello svolgimento dei fatti, alla scelta degli indizi da seguire, e al modo di dare suggerimenti a Harry, il personaggio di  Randolph si fa portavoce della sua specie. Il cane detective si lascia spesso andare a riflessioni  sul ruolo del cane, sulla mancanza di diritti civili,sui suoi limiti e sul suo essere una proprietà , sul rapporto complesso tra padrone e cane “amore e affetto sinceri non possono essere separati da una sorta di sindrome di Stoccolma, l’affetto del prigioniero nei confronti del carceriere. Nelle ossa canine è radicato il ricordo di intere generazioni di cani che strisciarono fino al fuoco nell’accampamento dell’uomo per poi restare a sua disposizione…le antiche ferite possono anche essersi rimarginate e sembrare dimenticate, ma sopravvivono nei nostri riflessi e nelle nostre reazioni”.

Cristina Marra

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