Contest Morozzi: i vincitori

Ecco i 5 vincitori del Contest e le loro soluzioni. I 5 abili e rapidi solutori saranno contattati direttamente da Guanda per l’invio della speciale copia autografata de  “Lo specchio nero” di Gianluca Morozzi.

Alessandro Ridox

Alisa Sarra

Giorgia Pauletich

Davide Giordano

E Laura Caminiti che, pur non avendo indovinato, l’autore premia per la soluzione creativa.


Le vostre soluzioni:

1)Alessandro Ridox

LA STANZA BUIA. <<Dentro è buio>>. E’ improbabile che Marcus Novaresi svolgesse il suo rito al buio. Come Èavrebbe potuto osservare le reazioni del gatto al buio? Supponendo anche che il gatto reagisse emettendo miagolii, gli stessi non sarebbero stati coperti dal suono proveniente dallo stereo? La stanza non aveva finestre quindi anche se era giorno, la luce non poteva illuminarla. E’ improbabile, quindi, che Marcus abbia spento la luce o prima o subito dopo essersi trafitto con il plettro. Per di più non c’era motivo di spegnere la luce anche se si fosse trattato di un incidente. Di certo non avrebbe senso sprecare le ultime forze per spegnere la luce. Queste considerazioni mi spingono a supporre che vi sia stato almeno un’altra persona insieme a Marcus. Il gatto non avrebbe potuto spegnere la luce e ritornare a mezz’aria.
LE PILLOLE. Non c’è un valido motivo per credere che l’omicida avrebbe costretto Marcus ad ingerire le pillole per farlo sembrare un suicidio visto che dopo l’ha trafitto con il plettro. Non c’è motivo per cui Marcus avrebbe dovuto prendere i sonniferi due ore prima del concerto. O Marcus, quindi,  voleva togliersi la vita, ma la dose non era sufficiente, o aveva preso i sonniferi molto tempo prima per riposarsi ed essere in forma per il concerto.
IL MOVENTE. Sia i fratelli Prendiparte che la coppia (bassista/batterista) avrebbero potuto uccidere Marcus per vendetta. L’unico movente di Aurelio sarebbe quello che un artista morto vende di più e quindi essendo il manager ne avrebbe tratto benefici. Il gestore del locale non sembra aver alcun motivo per uccidere Marcus.
OPPORTUNITA’. I fratelli, come il gestore del locale, non avevano modo di compiere l’omicidio e uscire da una camera chiusa (della quale non sono forniti ulteriori dettagli).  Aurelio avrebbe potuto uccidere Marcus mentre era sopra di lui (come nel “Grande mistero di Bow” di Zangwill Israel), approfittando del fatto che i fratelli erano intenti a liberare il gatto e il gestore del locale preoccupato dei danni. Ma ciò non è possibile perché è chiaramente descritto che <<Aurelio era curvo sul corpo coperto di sangue di Marcus Novaresi>>. Il bassista e il batterista, invece, sarebbero potuti entrare nel camerino, legare il gatto e accendere lo stereo. Marcus si graffia tentando di liberarlo. Uno dei due alza il volume per coprire eventuali rumori, l’altro tiene Marcus, lo trafiggono con il plettro. Marcus cade a terra, e insieme, dalla tasca, il flacone di sonniferi. Il buio, il gatto a mezz’aria, il volume alto, il corpo esanime di Marcus, sono tutti elementi che catturano l’attenzione dei quattro che entrano nella camera. Ciò permette ai due musicisti di svignarsela dalla porta sfondata. E’ chiaro che la porta inizialmente non era chiusa dall’interno, ma solo dopo l’entrata dei due musicisti fu chiusa. Non cambia la dinamica del delitto il fatto che Marcus si sia svegliato dal sonno e quindi già era nella camera o sia entrato in camerino dopo aver preso in altro luogo i sonniferi.

<<Il lettore deve avere le stesse possibilità del poliziotto di risolvere il mistero. Tutti gli indizi e le tracce debbono essere chiaramente elencati e descritti>>. Questa è la prima delle 20 regole per scrivere romanzi polizieschi di S.S.Van Dine. Nel caso in cui non sia riuscito a scorgere tutti gli “indizi e le tracce”, spero mi sia offerta la spiegazione. Grazie e complimenti per l’idea.

2)  Alisa Sarra   

Lo strano e solito rituale pre concerto si svolgeva nel seguente modo:

Novaresi legava il gatto ad un rudimentale saliscendi collegato al pomello del volume dello stereo ed in base ai movimenti del felino se si modificava l’intensità del volume ne valutava la positività o meno di inserire il brano in ascolto nella scaletta del concerto.
Anche all’Orchidea Selvaggia le cose, come da tradizione, sono andate più o meno nello stesso modo anche se con un finale inaspettato e drammatico.
Il Novaresi, infatti, chiusa a chiave la porta del suo camerino, da inizio al rituale di scelta dei brani ma nota che il gatto non reagisce positivamente a nessuna canzone, poiché il volume non si alza mai ed anzi lo graffia in malo modo. Anche il gatto gli è contro. Novaresi, non più lucido e perseguitato sia dall’idea che il declino della sua carriera dipende dai componenti della sua band che lo boicottano suonando male che, dalla mancanza di guadagni, decide di farla finita. Nessuno e niente potrà più aiutarlo, neanche i suoi talismani e Jenny sa. Ancora steso sul divano, assume una dose eccessiva di sonniferi. Si sente male, cade a terra. Il peso del suo corpo però si frappone nel meccanismo del saliscendi facendo da violento contrappeso e tanto da far innalzare il volume dello stereo al massimo e da far schizzare a mezza aria il povero gatto. Il frastuono improvviso richiama i componenti della band, il manager ed il proprietario del locale. Questi sfondano la porta ed entrano. Doni, capendo immediatamente la situazione, si lancia sul corpo di Novaresi ed approfittando della distrazione degli altri infilza con forza il plettro di ferro nella carotide del cantante, ancora vivo ed agonizzante. Questo è l’ultimo favore che Doni può fare al suo idolo! Deve preservarlo da altri ed imminenti danni, soprattutto economici, ma deve anche preservare se stesso, come manager, dal pagamento di penali aggiuntive imposte da Marra nel caso di un annullamento del concerto dovuto a cause dipendenti da una indisposizione causata esclusivamente dal cantante. I soldi sono pochi e i delitti si fanno o per fame o per amore o per tutte e due le cose!!!

3) Giorgia Pauletich

Marcus Novaresi insieme ad Aurelio Doni avevano ideato un finto omicidio per attirare il pubblico. Aurelio Doni doveva entrare e chiamare l’ambulanza che avrebbe salvato Marcus. In realtà però quando entra e lo trova sotto effetto dei sonniferi lo uccide con il ciondolo. 

4)Davide Giordano

È stato il manager nel momento in cui si è chinato gli ha fatto ingoiare il plettro.
L’artista usa sonnifero per richiamare l’attenzione e appende il gatto per non farsi leccare o per fargli ingoiare il sonnifero per terra.
Alza il volume, spegne la luce e si sdraia.
Entrano tuutti, il manager si fionda su di lui e vedendolo in quello stato gli prende il plettro e glielo ficca in gola.
Perchè?
Può essere perche non ce la faceva a vederlo ridotto in quello stato di carriera pietoso e preferisce farlo morire per fargli avere un ultimo momento di popolarità nella sua fine.

5)Laura Caminiti

“Marcus Novaresi, seduto sul divano al buio in procinto di iniziare il suo rituale per definire la scaletta del concerto, si guardava intorno: il fatiscente camerino di un infimo locale dalla dubbia reputazione, lui – solo – schiavo dei suoi rituali con una carriera che da anni cercava invano di rilanciare ma che, diciamocelo, era finita da un pezzo.
Il dottore aveva detto che si trattava di disturbo ossessivo-compulsivo. Diceva che quell’assurdo rituale col gatto gli serviva per sedare l’ansia prima di un’esibizione. Gli aveva prescritto dei farmaci che, secondo lui, sarebbero serviti a calmarsi e a sentirsi più padrone di sé e meno schiavo dei rituali e delle sue ossessioni.
Stavolta, mentre osservava disperato quel posto claustrofobico, si sentiva vicino a un vero attacco di panico. Decise di prendere qualcuna di quelle dannate pillole. Non voleva diventare schiavo dei farmaci ma doveva fare qualcosa per riprendersi la sua vita. Ne trangugiò qualcuna, senza badare troppo alle dosi prescritte da medico, annaffiandole con quel che restava della bottiglia di scotch. Attese l’effetto per qualche minuto.
I suoi pensieri viaggiavano alla velocità della luce. Sentiva avvicinarsi quella sensazione di peso sul petto e stretta alla gola che ben conosceva. Il respiro e il battito si facevano più frettolosi. Dov’era quel dannato gatto? Doveva iniziare il suo rituale. DOVEVA farlo o tutto sarebbe andato storto. Mentre, confuso, si guardava intorno in cerca del felino strinse fra le dita il suo portafortuna. Quel gesto scaramantico gli diede la forza di alzarsi per cercare il gatto e dare inizio al rito che avrebbe finalmente fatto sparire quell’orribile sensazione di soffocare e morire fra atroci sofferenze.
Le pillole non servivano a niente! Acqua fresca per lui che da anni si portava dentro quel peso che agli occhi degli altri faceva passare come l’abitudine stravagante di un artista. Forse aveva sbagliato la dose, forse per la gravità della sua malattia ne servivano di più. Cos’aveva detto il medico riguardo le dosi? Non lo ricordava. Ma dopotutto che importanza aveva? Lui sapeva come si sentiva. Aveva bisogno di qualcosa di più potente. Ne mandò giù un’altra manciata senza pensarci troppo. Lanciò il flacone semi-vuoto contro il muro che lo restituì al pavimento. L’impatto con le mattonelle logore e sporche fece saltare il tappo, che rotolò sotto lo specchio. Marcus seguì quel movimento come ipnotizzato.
Quando si riscosse aveva una sola certezza: bisognava trovare Gatto!
Lo vide in un angolo, intento a trastullarsi con un insetto. Che schifo! Quel posto faceva davvero schifo! Andò per prenderlo ma il gatto non voleva saperne di abbandonare il suo trofeo. Marcus non aveva tempo. Doveva, doveva assolutamente calmarsi e aveva bisogno di iniziare il suo rituale. Si avventò sulla bestiola che, con l’insetto fra i denti, fece uno scatto in avanti. Gli passò veloce in mezzo le gambe, saltò sullo stereo urtando la manopola del volume e sgattaiolò sotto il divano. Marcus lo seguì fino al suo nascondiglio, si chinò e allungò una mano per afferrarlo. Quando le unghie di Gatto gli entrarono nella carne sentì la pelle lacerarsi. Faceva male ma era anche stranamente piacevole. Un dolore dolce e intenso. Lo assaporò per un momento mentre la musica ad alto volume gli martellava in testa. Infilò sotto il divano anche l’altro braccio e cercò a tentoni il soffice corpo del suo amico a quattro zampe. Lo afferrò non facendo caso ai graffi. Si sentiva come anestetizzato e allo stesso tempo leggero, come sospeso in una bolla.
Trovò il guinzaglio e legò il gatto, ben stretto perché non fuggisse di nuovo. Ma quello voleva tornare al suo passatempo e strattonava il guinzaglio in direzione del divano. Il rito non poteva compiersi così. Marcus aveva bisogno di osservare Gatto per “leggere” i suoi comportamenti. Chiuse gli occhi. Gli mancava l’aria e in quel posto infame non c’era neanche una finestra. Inspirò profondamente ed ebbe la sensazione di risucchiare tutta l’aria a disposizione. Quando riaprì gli occhi erano rivolti verso il soffitto. Fu allora che notò un gancio, forse prima c’era un lampadario ma ora pendeva dal soffitto inerme e inutile, come la sua vita – pensò. Ebbe un’idea: avrebbe costretto Gatto a collaborare. Salì in piedi sul divano per fissare il guinzaglio al gancio. Il gatto iniziò ad annaspare nel vuoto, le unghie tese fuori dai cuscinetti colpivano Marcus che, ormai completamente stordito dalla dose massiccia di calmanti, perse l’equilibrio. Barcollò per un instante che gli sembrò infinito. Le note di Jenny sa entravano nel suo cervello come al rallentatore. I suoi occhi incrociarono quelli del gatto e in quel preciso momento decise che quello sarebbe stato il pezzo di chiusura della sua esibizione, quella sera. Prima che riuscisse a formulare fino in fondo quel pensiero i suoi piedi si trovarono fuori dalla superficie di appoggio offerta dal divano e Marcus rovinò al suolo. Fu al momento dell’impatto con il pavimento che sentì la fitta al collo. Un dolore bruciante. Ricordò quando da bambino una vespa era entrata dalla finestra aperta nella sua camera mentre era intento a strimpellare con la sua prima chitarra. La vespa lo aveva punto e lui aveva urlato ed era scoppiato in lacrime. I suoi genitori erano accorsi. Li sentiva bussare, cercavano di entrare – preoccupati. Urlavano il suo nome. Ma la porta era chiusa a chiave. Non voleva essere disturbato: per lui la musica era sempre stata una faccenda seria. Sentì la voce del padre, allarmata, l’ennesima spallata aveva fatto saltare il cardine della porta, che si era spalancata rivelando la tragica scena. Passi svelti nella stanza, voci confuse, il miagolìo affannato del gatto e la musica, la SUA musica, che si affievoliva fino a diventare un sussurro. Il suo respiro, sempre più debole e quella sensazione di bagnato sul collo e fino alla spalla. Poi, fu silenzio.”

 

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