La genesi di V2, l’ultimo romanzo di Robert Harris in questi giorni in libreria, nasce da un necrologio sul “Times” del 5 settembre 2016 per la novantacinquenne Eileen Younghusband, in cui si descriveva la sua attività come ufficiale della WAAF a Mechelen, in Belgio.
“In seguito –racconta l’autore- ho letto le sue due biografie, Not an Ordinary Life e One Woman’s War. Non vi è alcuna somiglianza tra la signora Younghusband e la mia ufficiale della WAAF, né come personalità, né come carriera. Lo stesso vale per gli altri membri dell’unità, inventata di sana pianta. Nelle sue biografie, che forniscono un’immagine vivida della vita in tempo di guerra, la signora Younghusband afferma che durante il suo primo periodo di servizio a Mechelen furono distrutti due siti di lancio. Suppongo fosse questo che era stato detto a lei e alle sue colleghe. Purtroppo, non fu così. Ma io non avrei mai scritto V2 se lei non avesse rivelato l’esistenza dell’operazione a Mechelen, e le sarò per sempre grato per l’ispirazione.”
Il titolo prende nome dai micidiali missili di produzione tedesca che nella follia di Hitler e dei gerarchi del Terzo Reich, avrebbero dovuto ribaltare le sorti della guerra ormai compromessa sui due fronti. Ma a nulla varranno nell’autunno del 1944 i reiterati lanci di rappresaglia dei V2 dalla costa olandese contro Londra, la cui forsennata produzione nel cuore di una montagna, per scampare ai raid degli aerei degli alleati, costò la vita a ventimila lavoratori schiavi.
“Il missile –racconta ancora Harris- ha ucciso approssimativamente duemilasettecento persone a Londra e ne ha ferito seimilacinquecento. Ad Anversa ha fatto millesettecento morti e quattromilacinquecento feriti. Nell’area della Greater London furono distrutte circa ventimila case e cinquecentottantamila rimasero danneggiate. Per dirla con le parole dello studioso di storia sociale Norman Longmate, il V2 “ha fortemente contribuito alla carenza di abitazioni che sarebbe diventata il principale problema sociale negli anni dell’immediato dopoguerra”.
Un cenno sulla trama. Il giovane ufficiale Kay Caton-Walsh, ausiliaria dell’aeronautica militare britannica, si trova a Londra col suo amante, un alto ufficiale dell’aviazione. Un V2 colpisce il loro palazzo e i due scampano per poco a una fine atroce. Durante un vertice militare, nel corso del quale Kay fa la conoscenza della moglie del suo amante, decide di dare un taglio a quella storia e dare al contempo un significativo contributo alla guerra, facendosi trasferire in Belgio, dove armata di un regolo calcolatore e delle tavole dei logaritmi, parteciperà con altre donne a una missione segreta per localizzare e distruggere le basi di lancio dei V2, calcolandone la velocità e la traiettoria.
Dall’altra parte, sulla costa olandese occupata dai nazisti, l’ingegnere tedesco Rudi Graf sovrintende al lancio dei missili V2 su Londra. Il suo sogno ingegneristico di inviare un razzo sulla luna è naufragato sotto il segno della svastica. Il suo amico e mentore Wernher von Braun, facente parte delle famigerate SS, lo coinvolge nel progettare quest’arma sofisticatissima, di viaggiare a tre volte la velocità del suono e colpire degli obiettivi a centinaia di chilometri di distanza. Hitler, folgorato dalla nuova invenzione bellica, ordina la fabbricazione di diecimila V2 e nessuno può fermare il suo tentativo di evitare la sconfitta. In quell’escalation di follia Graf si ritrova imprigionato, ma cercherà a suo modo di non perdere la propria umanità, salvando una giovanissima collaborazionista dalle grinfie delle SS e quante altre più vite potrà.
Entrando nel cuore del romanzo, significativa è l’accoglienza che il colonnello Knowsley fa nella base belga di Mechelen, alle ausiliare volontarie che dovranno intercettare i missili lanciati dai tedeschi grazie alle loro basi di lancio mobili che montano e smontano in poche ore per non farsi intercettare dall’aviazione inglese.
“Questo è un nuovo tipo di guerra – la guerra del futuro, oserei dire – e noi stiamo sperimentando un modo nuovo di combatterla. Il primo missile impiegherà cinque minuti a colpire Londra. Voi avrete sei minuti per fermare il secondo. Voglio che ci mettiate l’anima, in questo lavoro. La vita di molte persone dipende da noi. Intesi?”
Ed ancora un altro passo: “Quindi l’ufficiale di volo Sitwell tirò fuori un cronometro e annunciò che sarebbero passate alle simulazioni. Scrisse alla lavagna una serie di valori inventati di quota e velocità forniti da una postazione radar, attese cinque minuti e diede loro le coordinate del punto di caduta del missile. «Via!» Fece partire il cronometro. La sequenza dei calcoli richiedeva per prima cosa di riportare su un grafico i valori di quota e distanza per ricavare il vertice della curva, poi di calcolare la posizione di lancio convertendo la distanza in miglia, e quindi di determinare l’origine della curva sulla mappa e fornire le coordinate da utilizzare sulla griglia di riferimento. Tutto questo esigeva un livello di concentrazione tale che a Kay girava la testa. Cominciò a scivolarle il regolo tra le dita sudate. «Sei minuti!» sbraitò l’ufficiale di volo. «Dovreste aver finito!» E poi: «Dieci minuti! Avanti, signore! Quei maledetti tedeschi se ne saranno venuti via dal bosco e staranno bevendo birra alla mensa se non vi date una mossa!».
Un romanzo vivido i cui punti di forza sono la scrittura fluida e la puntuale ricostruzione tecnica, frutto di accurate ricerche circa il funzionamento del V2 che pesava 4 tonnellate vuote e dodici e mezzo a pieno carico di combustibile. Infatti, per farlo decollare veniva caricato con 6.000 litri di alcol metilico, quindi con 6750 chili di ossigeno liquido, e infine con perossido di idrogeno e permanganato di sodio che reagiva col perossido per produrre il vapore che avrebbe alimentato la turbina. E su questi e altri dettagli tecnici, anche di calcoli balistici, l’autore si sofferma molto, ma senza annoiare, rendendo ancora più coinvolgente la sua ricostruzione.