Giorgio Scerbanenco (1911-1969) può essere considerato il padre fondatore del noir italiano. Certo, la nascita del romanzo poliziesco italiano è precedente all’apparizione di Scerbanenco, basti pensare alle opere di De Angeli e del commissario De Vincenzi. Il merito di Scerbanenco, con il ciclo di opere che vede come protagonista Duca Lamberti, è stato quello di saper immortalare uno spaccato dell’Italia dell’epoca e di inserirlo all’interno delle trame, rendendolo protagonista delle vicende.
Se il noir, come definizione pura e cruda, è la vittoria dell’ambientazione sulla vicenda in sé stessa, allora le opere di Scerbanenco possono essere considerate come rappresentazioni del lato oscuro dell’Italia del boom economico. Un’Italia, rappresentata dalla Milano che va rapidamente cambiando, trasformandosi da città di provincia a metropoli multietnica, che appare arruffona, cattiva e priva di scrupoli.
Nei romanzi di Scerbanenco la tensione, la suspence, l’intrigo sono componenti marginali. Ciò che salta all’occhio e colpisce il lettore è la caratterizzazione dei personaggi, emblemi perfetti di un’epoca di grandi trasformazioni. Giorgio Vladimir Scerbanenko nasce nel 1911 a Kiev, allora facente parte dell’impero zarista russo, da padre russo e madre italiana. Il padre muore durante la rivoluzione d’Ottobre e il piccolo Giorgio ripara a Roma, città natale della madre. Scerbanenco passerà la sua esistenza a legittimare la sua “italianità”, in un contesto sociale che lo tratterà come straniero. Tutta la vita e la produzione artistica dell’autore infatti è contraddistinta dalla sofferenza del “diverso” e molti dei suoi personaggi sono infatti caratterizzati da questa connotazione malinconica.
Per motivi di lavoro Scerbanenco non terminerà mai le elementari e si troverà a svolgere i lavori più disparati, fino a diventare correttore di bozze presso una casa editrice. Si trasferisce a Milano dopo aver espletato il servizio militare e nella città meneghina diviene direttore di riviste rosa antecedenti lo scoppio della seconda guerra mondiale. I primi gialli risalgono a quest’epoca. Siamo sotto il regime fascista e i romanzi gialli sono considerati autentici corruttori delle virtù italiche. Per questo le ambientazioni devono essere straniere e i protagonisti non possono essere italiani, pena la censura o peggio. Questo poiché, secondo il regime e la propaganda, in Italia non avvenivano omicidi. Scerbanenco inventa la figura di Arthur Jelling, archivista della polizia di Boston. L’autore pubblica un ciclo di cinque romanzi (Sei giorni di preavviso, La bambola cieca, Nessuno è colpevole, L’antro dei filosofi, Il cane che parla, Lo scandalo dell’osservatorio astronomico). Nel 1944 è costretto a riparare in Svizzera per sfuggire alle violenze nazifasciste. Qui scriverà “Lupa in convento” racconto breve ma intenso su un gruppo di partigiani che occupa un convento di suore.
Caratteristica di Scerbanenco è l’enorme capacità produttiva. E’ uno stacanovista della carta stampata, passa otto dieci ore al giorno sulla macchina da scrivere Olivetti. Oreste del Buono (consulente editoriale tra i più importanti) lo definirà “macchina per scrivere racconti. La produzione letteraria di Scerbancenco infatti si compone di numerosi romanzi (alcuni scritti sotto pseudonimo), innumerevoli raccolte di racconti, lettere, articoli per riviste e scritti di vario genere. Scerbancenco si rivela uno dei più prolifici scrittori italiani, una sorta di “malato di scrittura”. La moglie, in un aneddoto, racconta che arrivava a portare la macchina da scrivere in spiaggia, sedendosi sotto l’ombrellone per creare racconti nel mezzo dell’inferno estivo romagnolo. Da questa “fibrillazione creativa” nascerà la figura di Duca Lamberti, uno dei più importanti personaggi noir della letteratura poliziesca italiana di sempre. Duca Lamberti è un medico di origini romagnole. E’ figlio di un poliziotto che ha servito in Sicilia e successivamente presso la questura del Fatebenefratelli a Milano. Lamberti è stato radiato dall’ordine e ha scontato una pena in carcere per aver praticato eutanasia su un’anziana paziente. Una volta uscito di galera viene aiutato da Carrua, amico del padre e finisce per venir assunto in polizia. Scerbanenco fa esordire la figura di Lamberti nel romanzo “Venere privata”, a detta di molti il primo vero noir italiano. Il cadavere di una ragazza viene ritrovato in un fosso. La polizia brancola nel buio e presto archivia il caso. Lamberti intanto, uscito di prigione, viene assunto come medico personale di un giovane rampollo della borghesia industriale brianzola. Il giovane soffre di una forma devastante di depressione ed è diventato alcolizzato. Lamberti scoprirà che il giovane è caduto in questa condizione poiché è convinto di aver causato la morte di una ragazza. Questa, probabilmente una prostituta, dopo aver offerto il proprio corpo, supplica il giovane di aiutarla, altrimenti “l’avrebbero ammazzata”. Il giovane non le crede e torna a casa e poco dopo il cadavere della ragazza viene ritrovato. Lamberti aiuta Carrua a collegare le due cose. Il corpo rinvenuto nel fosso a inizio racconto e quello di cui parla il giovane sono gli stessi. Lamberti inizia dunque un’indagine non autorizzata, scovando una rete di profittatori e di ragazze che si prostituiscono privatamente, per il piacere di danarosi industriali che possono permetterselo.
Il romanzo Venere Privata è una sorta di lampo nel panorama poliziesco italiano. Il personaggio di Duca Lamberti è spigoloso, a volte cattivo ed è differente dal classico investigatore che sa sempre come comportarsi, Anzi, l’avventatezza di Lamberti condurrà allo sfregio del volto di Livia Ussaro, ragazza usata come cavia per sgominare la banda di papponi. Protagonista assoluta del romanzo è la Milano del boom economico, con i suoi contrasti, gli industriali che stanno facendo “una barca de danee” e le ragazze obbligate a prostituirsi lungo la strada. Questa è la caratteristica che distingue Scerbanenco dall’intera produzione poliziesca antecedente. Non più luoghi esteri, personaggi esotici, trame lontane bensì zone vicine e visitabili (con tanto di vie), personaggi immediati e fruibili, intrecci quotidiani, veri e italianissimi. La svolta che Scerbanenco da al noir italiano è la seguente: basta esterofilia ma una sana indagine sul territorio. Uno scrittore deve parlare e raccontare ciò che conosce e vive quotidianamente. Una lezione che verrà presa in consegna dai giallisti italiani dopo di lui.
Scerbanenco è famoso anche per le sue frasi a effetto. Una in particolare mi è rimasta impressa. Duca Lamberti sta osservando un cadavere martoriato e pensa che una mannaia, di solito utilizzata per sezionare i quarti di bue, può diventare un’arma. E qui Duca pensa: “Anche con un bocciol di rosa si può uccidere una persona, se glielo si spinge in fondo alla gola.”
A Venere privata seguiranno altri quattro romanzi del ciclo di Duca Lamberti: Traditori di tutti (che ha vinto il prestigioso gran prix de literature policier), I milanesi ammazzano il sabato e I ragazzi del massacro. In tutti i romanzi Milano è una città cattiva e brutale, anticipo della città nerissima raccontata nei racconti di “Milano Calibro 9”.
Milano Calibro 9 è un’antologia di ventidue racconti nerissimi sulla metropoli lombarda degli anni ’60. uno spaccato di una città in trasformazione, in balia di assassini, prostitute e arruffoni della nuova ora. Sono gli anni in cui la “ligera”, la vecchia mala milanese, sta perdendo il controllo del territorio, per venir soppiantata dalla nuova criminalità organizzata.
Il primo racconto, “Milano Calibro 9” appunto, racconta di due killer americani che giungono a Milano per uccidere un esponente della mala. I due sequestrano due ragazze, obbligandole a collaborare. La vicenda è cruda e dura, descritta nei minimi particolari dal punto di vista di una ragazza romagnola che fa da guida ai due killer e finisce per divenirne la complice. La descrizione della morte del malavitoso, al quale vengono scaricate in faccia due pistole calibro 9, è raccapricciante e colorita.
Gli altri racconti narrano storie di disperazione, fame, malavita, vendetta e morte. Una delle caratteristiche che rende unica la scrittura di Scerbanenco è il fatto che scriva in un’epoca in cui non esisteva il politically-correct. Nei testi dell’autore i neri sono “negri”, gli omosessuali sono “anormali e invertiti”, i disabili sono “handicappati e mongoloidi”, i giovani non sono sbandati bensì “farabutti e disgraziati”. Questa vivacità di linguaggio, così dura, cattiva e scorretta rende gli scritti di Scerbanenco unici e irripetibili.
Il regista Fernando di Leo prese spunto dal primo racconto per scrivere la sceneggiatura di uno dei più importanti film poliziotteschi italiani: Milano Calibro 9, del 1972.
Il registra attinse a piene mani dall’antologia di Scerbanenco. Infatti la scena iniziale, quella dello scambio dei pacchi che parte da piazza Duomo fino alla Stazione Centrale, è ispirata al racconto “Stazione centrale ammazzare subito”, sempre racchiuso nell’antologia. Nel racconto si narra di uno scambio di valige colme di diamanti, che avviene alla luce del sole, in un bar della stazione centrale di Milano, nei minuti successivi l’arrivo di un treno da Ginevra. L’organizzazione provvederà a eliminare i due corrieri, il milanese e il ginevrino, con delle valigie imbottite di tritolo.
La figura del protagonista del film, Ugo Piazza, è ispirata ai racconti “Vietato essere felici” e “La vendetta è il miglior perdono”. La pellicola si avvale di un cast folto e di qualità: Gaston Moschin, Mario Adorf, Barbara Bouchet e Philippe Leroy. La colonna sonora, scritta e suonata da un gruppo progressive, gli “Osanna”, è ancora carica di fascino e della giusta dose di cattiveria.
Dall’uscita del film in poi la frase “Milano Calibro 9” è utilizzata per indicare l’epoca nera della metropoli, gli anni ’60 che videro l’avvento delle bande criminali come quella di Turatello e Vallanzasca, delle rapine eclatanti come quella di Via Osoppo, degli omicidi in strada e delle mani della criminalità organizzata che sia allungano sui traffici illeciti della città.
L’immensa produzione letteraria di Scerbanenco è stata racchiusa in varie antologie da Oreste del Buono ne “I cinquecento delitti” e “Millestorie”, editi da Frassinelli. Queste pubblicazioni sono uno specchio della febbrile attività dell’autore, della sua fantasia e della capacità di rendere fruibili le situazioni della vita quotidiana milanese.
La media di Scerbanenco era di uno-due racconti al giorno, che andavano a sommarsi ai romanzi, gli articoli per i giornali, le lettere e le bozze corrette. Un uomo completamente dedito alla scrittura, del quale era quasi malato.
L’autore muore nel 1969, nel momento di maggior successo, lasciando incompiuti due romanzi del ciclo di Duca Lamberti, dal titolo “So morire anche da me” e “Safari per un mostro”. Nel 2007 Garzanti pubblicherà un’antologia di 16 racconti scritti dai più grandi giallisti italiani, che vedono come protagonista Lamberti. Il titolo è “Il ritorno del Duca”.
Il contributo dato da Scerbanenco al noir italiano è inestimabile, tanto che il più prestigioso premio per romanzi e autori noir italiani porta il suo nome.
Leggere i suoi romanzi è un obbligo per tutti gli autori che intendano avvicinarsi alla scrittura nera e per i lettori che vogliano un assaggio di come possa coesistere il binomio noir d’eccellenza-ambientazione italiana.