Apparso in libreria la prima volta nel 1983 e mai piú ripubblicato, Sarti Antonio e l’amico americano, è il ritorno di un romanzo, ormai introvabile, ristampato in questa nuova e rivisitata versione. Macchiavelli, con il suo consueto acume e mestiere, ha poi arricchito la nuova edizione con la sua prefazione. Una versione in grado di regalarci la dimensione e il senso del tempo in quegli anni, di come (chi li ricorda di persona) eravamo allorae dei nostri desideri e sogni forse per il futuro. Un futuro che poi, ma la storia è malandrina, si è rivelato e continua a rivelarsi diverso, più oscuro e, sicuramente ,ohimè, ancora più indecifrabile del previsto.
E dunque a voi Sarti Antonio, sergente nel 1982 . Un questurino fino al midollo a conti fatti abbastanza anomalo. Non uno scattante supereroe superdotato, ambito da tutte le femmine, coltissimo, patito di musica (raffinata, che sia moderna o classica). Quello a cui basta un nonnulla per risolvere ogni caso. E invece, un povero cristo, afflitto da spiacevole colite spastica nervosa, che spesso arranca come un dannato e non cava un ragno dal buco e, non avendo un donna fissa, ama come può e chi può. Insomma un normalissimo sergente di polizia che spesso si serve dell’intuito del geniale e stravagante amico Rosas, detto il talpone (senz’occhiali non ci vede) per risolvere ogni caso.
1982, insomma, scenario Bologna quarant’anni fa. Nel consueto e insostituibile scenario bolognese, l’allarme dato dalla contessa, proprietaria di un lussuoso immobile, fa accorrere sul posto la polizia al comando dell’ispettore capo Raimondi Cesare e tutto l’ambaradan della scientifica. E quando Sarti Antonio, sergente, arriva anche lui sulla 128 guidata dalla agente Felice Cantoni, si troverà davanti al cadavere nudo come un verme di un giovane precipitato, dal terzo piano al centro di un aiuola, a pochi metri da Agostino Fagioli, irsuto factotum giardiniere al lavoro.
Il morto è uno studente americano, Robert Stent, ricco, o almeno pare, che viveva comodamente in un bell’appartamento in affitto nel nobiliare palazzo Rusponi Ranelli Biancofiori, con parco interno, e cambiava macchina spesso, quasi come gli altri fanno con i calzini. Nell’appartamento del defunto tutto pare in ordine: c’è ancora il televisore acceso, non ci sono tracce di biglietti di addio e a detta del suo professore, arrivato a spron battuto dopo una telefonata, il giovane americano era a Bologna da quattro anni e frequentava regolarmente l’università. E secondo lui non doveva avere alcun vero motivo, o almeno pare, per ammazzarsi. Ma tant’è.
Fa caldo, molto, troppo! Siamo d’estate e l’ispettore capo, Raimondi Cesare, non cerca dubbi o indugi. Ha fretta di venirne fuori, ha deciso di chiudere il caso come un suicidio e a Sarti Antonio, sergente, solo dopo qualche tentennamento, non resta che stendere uno primo scalcagnato verbale.
Ma Ugo Poli, l’archivista zoppo della Questura, quando legge quel suo rapporto, lo prende in giro e anche l’amico Rosas, quando gli racconta tutta la storia, non è convinto.
Ragion per cui anche Sarti Antonio, sergente in preda ai dubbi e ai rimorsi di avere trattato la faccenda con superficialità, si accollerà un supplemento di indagine, prendendosi la briga di tornare con Rosas a sentire la contessa Rusponi, dove si incontrerà scontrandosi anche piacevolmente con la sua deliziosa e intrigante nipote. E con la valigetta ventiquattrore del morto piena zeppa di dollari, come quelle che nei film americani si vedono usate per pagare i riscatti.
Insomma la faccenda si fa un po’ strana. Va bene che il ragazzo, amante dell’erba e conosciuto come Fiammiferino, pareva solido economicamente, ma tutti quei soldi in una valigetta? Sono tanti, tanti. A cosa servivano? Spacciava oltre a consumare o peggio? Cosa c’è dietro? Dunque la storia si complica da subito e non poco. Eccome!
Sarti Antonio, sergente, infatti non potrà evitare di riprendere le indagini, per di più pressato e messo sotto tiro dai superiori. Indagini che, scaraventandolo in lungo e in largo oltre ogni previsione, finiranno con andare a rivangare un intricato giro di truffe internazionali, che compromette personaggi di livello. Troppo? Quasi da avere le vertigini e far paura. Eh, può darsi. Oppure?
Ma Sarti Antonio, sergente (trovo divertente pensare che il bolognesissimo autore abbia scelto per il protagonista un grado anglosassone e che non esiste nella polizia italiana) va per la sua strada, scarta piste, ipotesi, si affida al suo naso e sì, fa centro.
Piacevolezza inventiva e ironia sono ancora una volta le stesse caratteristiche che dominano con prepotenza la scena della decima avventura vissuta dal mitico protagonista di Macchiavelli.
Lui, Sarti Antonio, sergente, come protagonista di romanzo poliziesco, nato nel 1974, con i suoi 48 anni di vita sulla carta , come longevità letteraria ha battuto persino il grande e famosissimo Maigret. Ma per forza anche perché tutti noi sappiamo che Sarti Antonio, sergente, è un personaggio giallo abbastanza diverso da tutti gli altri. Un personaggio letterario ma contemporaneamente un eroico simbolo. Un uomo che continua caparbiamente a fare il poliziotto, pur contestando alcune scelte della polizia e soprattutto sopportando incarichi e prevaricazioni che, come subalterno, è costretto a tollerare perché li sono stati appioppati da Raimondi Cesare, ispettore capo. Qualcuno proprio non all’altezza e che purtroppo è costretto a sopportare perché è l’altro ad avere in mano il bastone del comando. Comando che poi si traduce in potere, quel potere che Sarti Antonio, sergente, deve a ogni costo e comunque difendere. Ma un potere, che secondo lui non rappresenta la giustizia, la verità, l’umanità. No! É solo il potere e basta. E allora il povero Sarti Antonio, sergente, dai e dai a sopportare gli ordini di Raimondi Cesare, ispettore capo, a forza di battersi come un leone per fare passare di soppiatto almeno un tantino di vera giustizia, qualche verità, un minimo di umanità e nonostante le responsabilità delle polizia , è diventato un drogato di caffè…. costretto anche a curarsi la colite.