Ombre di vetro – Bologna non muore mai
A quasi due anni dall’uscita di L’altra metà della notte – Bologna non uccide(Damster Edizioni, maggio 2016, pag. 290), Fabio Mundadori torna in libreria con Ombre di vetro – Bologna non muore mai che, ben oltre l’assonanza del sottotitolo, con il precedente romanzo intrattiene più di una relazione.
A partire dal fondale, quella Bologna in cui l’autore non vive più ma che gli è rimasta nel cuore, e dallo sviluppo della trama su un doppio binario temporale, il 1986 e oggi. Un’epoca, quella di avvio del nuovo romanzo, in cui era ancora fresca la dolorosa memoria della strage alla Stazione centrale nell’agosto 1980, da cui muoveva appunto L’altra metà della notte. Anche il protagonista è il medesimo, Cesare Naldi, dal fascino brizzolato e dall’infallibile fiuto investigativo, ispettore prima e in seguito commissario della Polizia di Stato, declassato oggi a investigatore privato, proprio a causa dei metodi poco ortodossi praticati nell’indagine precedente pur di arrivare alla soluzione del caso.
In Ombre di vetro Naldi è alle prese con un assassino seriale di particolare efferatezza: uccide, con una pugnalata al cuore, donne in attesa di un figlio e le priva del feto, lasciando nei pressi del cadavere un agghiacciante messaggio di tre righe, battuto sui tasti di una Olivetti Lettera 22. La città cade preda della psicosi collettiva e la stampa si scatena nelle più svariate ipotesi, soprannominando il killer Mammana. E’ il 1986 e Naldi, segugio d’oro della questura di Bologna, alla settima vittima riesce a compiere un arresto eccellente. A distanza di trent’anni il killer però sembra tornato – uguali la tipologia di vittime, il modus operandi e i messaggi lasciati sui cadaveri – ma a condurre le indagini è oggi Tommaso Malerba, un raccomandato, superficiale e di scarso acume, perché Cesare Naldi è stato allontanato dai ranghi ufficiali e si dedica ora alla professione privata. Dovrà però tornare in campo, non solo perché a chiedere la sua consulenza sarà il vicequestore Silvia Severi, del tutto insoddisfatta dei risultati di Malerba, ma soprattutto perché l’assassino finirà per avvicinarsi troppo alla sua sfera personale.
Fabio Mundadori conferma in Ombre di vetro la sua abilità a costruire trame complesse, in cui una folla variegata di personaggi popola passato e presente, mossa dai più disparati impulsi: avidità, vendetta, delirio, superstizione.
Tutti vividi, non importa se protagonisti o comparse, si affacciano da una Bologna di ieri, ritratta con affettuoso ricordo, o dalla metropoli di oggi, animata da convulsa vitalità.
Su entrambe brilla la luna, “nel viola del cielo appena dopo il tramonto” o sotto una volta celeste non ancora completamente buia, eterno simbolo femminile, di fertilità e di ciclici ritorni. D’altronde, per usare le parole di Naldi, “Alla fine forse il tempo è davvero circolare, ogni cosa prima o dopo torna, come per darci altre possibilità di cogliere nuova bellezza in ciò che abbiamo amato e continuiamo ad amare, di riuscire in qualcosa in cui abbiamo fallito o di tormentarci con incubi dei quali non sapremo mai liberarci”.
Fabio Mundadori, che ama fondere i generi, qui amalgama foschi colori thriller noir horror, senza mai trascurare lo scioglimento convincente di un mistero alla base del quale si annida l’intento più crudele che un assassino possa perseguire: distruggere la speranza nel modo più abbietto, uccidendo la vittima e suo figlio, ovvero negandole qualunque futuro.
Bologna però non ci sta ad arrendersi e, come è riuscita a risorgere dalle ceneri della sua stazione, così fermerà quella mano criminale, riappropriandosi della sua occasione di futuro.