Non fa niente, un romanzo storico, una storia al femminile di grande umanità: un indiscindibile patto segreto, non un giallo come sarebbe di prassi su queste pagine, ma pieno di tensione psicologicamente emotiva e, inevitabile data l’ambientazione storica, di inquietudine. Quindi, a te qualche domanda anche per i nostri lettori.
Non fa niente ha la caratura di un romanzo storico. Quanto ti è piaciuto fare questo salto indietro di novant’anni?
Avevo voglia di cimentarmi con un periodo storico terribile e insieme interessante, proprio perché la Germania e l’Europa si trovavano sull’orlo dell’abisso e poi nell’abisso stesso. Gli anni ’20 e i primi del decennio successivo potevano sfociare in catastrofe (come poi è avvenuto) o riassettarsi su una normalità risicata ma piena di fermenti vitali.
Quali sono state le difficoltà? Quanto tempo hai dovuto dedicare alla ricostruzione storico ambientale?
Mi sono documentata su testi dell’epoca (film, libri, arte, moda, sport), ma avevo già letto (proprio per l’interesse indicato prima) parecchi romanzi racconti e raccolte poetiche di quel momento storico o più tarde ma riferentesi a esso. Tempo? Un po’ più di un anno.
Quali tra questi lontani ricordi ti ha maggiormente coinvolta?
La sparizione delle persone, inghiottite dallo sterminio di massa.
Non fa niente ha dietro di sé un plot immaginario o qualcosa che ti ha suggerito la storia? Insomma come nasce?
Nella mia adolescenza ero venuta casualmente a sapere di un figlio “di due madri” e, a differenza di quello che accade nel romanzo, il fatto era conosciuto da un intero paese, e accettato senza scandalo. Gli anni ’50 del secolo scorso avevano una mentalità più aperta di quella odierna? Sembrerebbe di no, eppure… Forse la povertà diffusa e non ancora superata ispirava una certa tolleranza.
Quale impulso ha spinto Rosanna ad accettare il patto e fare una figlio per Esther?
L’amicizia, la riconoscenza, una certa dose di spavalderia coraggiosa, l’ammirazione per la donna più grande e colta di lei.
Pensi che Andrea si sia mai posto qualche domanda sulla presenza di Nananna nella sua vita?Nananna era la balia, la tata, oggi si direbbe forse baby sitter. In quegli anni le famiglie ricche avevano tutte una tata per i figli.
Avevi una qualche figura di riferimento per costruire lo splendido personaggio di Riccardo?
Sì, ma credo che Riccardo assommi in sé le caratteristiche di più persone.
Esther e Rosanna, due donne che crescono un bambino e camminano insieme affiancate per anni, una si fa maestra dell’altra, poi si dividono. Esther lavora, diventa indipendente. Perché hai deciso così?
Perché mi sembrava consono alla psicologia di Rosanna il desiderio di una vita autonoma, pur restando legata a quella che considera “la sua vera famiglia”.
Dalla domanda precedente esce anche Nicola, un indovinato compromesso che regala anche a Rosanna una reale vita affettiva. Cosa ti ha fatto scegliere un suonatore di Jazz?
Personalmente amo molto il jazz e inoltre volevo raccontare un uomo diverso da Riccardo e tutto preso dalla sua passione e mestiere, che non lasciano spazio a un routine domestica.
Quando il dolore della perdita di Riccardo impietrisce Esther, Rosanna da anni indipendente tornerà a vivere con lei. Sarà questa mossa che cementerà il rapporto quasi di sorellanza tra le due donne?
Sì, l’amicizia, l’ammirazione e il rispetto si consolidano ulteriormente. E per entrambe c’è l’impegno a crescere Andrea.
Quale o quali delle figure secondarie nelle storia ti hanno maggiormente intrigato?
Le tre madri: quella di Rosanna, dolente rassegnata e fedele nel bene e nel male al marito; quella di Esther, che si lascia travolgere dalla passione extraconiugale e che forse rimpiange il prezzo della scelta; quella di Riccardo, anaffettiva egoista e non amata da nessuno.
Grazie Margherita, auguri di grande e meritato successo e a presto