Martin Cruz Smith ha ricevuto il premio Giallo Internazionale 2008 al Piemonte Grinzane Noir di Orta. Autore del famosissimo Gorky Park, ha continuato la serie dei libri con protagonista Arkady Renko, l’ultimo dei quali “Il fantasma di Stalin” (Mondadori) è uscito in Italia da poco.
Nel 1981, dopo aver pubblicato trenta libri, ha scritto Gorky Park che è diventato un best seller internazionale. Perché lo aveva ambientato in Russia?
Nel 1973, l’anno della stagnazione, avevo intenzione di scrivere un libro in cui un detective americano “superman” andava a risolvere un caso a Mosca e insegnava ai Russi le tecniche investigative. Una volta arrivato sul posto ho apprezzato il calore della gente e il valore dell’amicizia che a volte poteva essere rischioso. Di colpo ho pensato che fosse meglio avere un detective russo che mi avrebbe permesso di scrivere un libro più interessante e complesso.
E’ stato facile documentarsi a Mosca all’epoca circa l’ambientazione del romanzo?
Nel 1973 ero andato in Russia con un visto turistico. All’epoca avevo i capelli lunghi, mi avevano accettato ugualmente. Facevo parte di un gruppo di cui solo quattro persone erano state accettate e diciassette respinte. Per 24 ore avevo potuto girare liberamente per Mosca senza la guida Inturist, camminando per le strade, seguendo le persone e salendo sugli autobus (nota: all’epoca non era permesso ai turisti circolare liberamente in Russia, anche per pochi minuti. Si doveva sempre essere accompagnati – e controllati – da una guida Inturist). Tutto quanto era materiale per il mio libro, non avevo la macchina fotografica e così non destavo sospetti nella polizia che non capiva che ero un turista. Disegnavo degli schizzi su un quadernetto.
Che reazioni ci furono in Russia a Gorky Park?
Per qualche ragione il libro aveva infiammato Mosca, era stato molto criticato e il Cremlino mi aveva definito un maniaco grafico. Tempo dopo la Literaturnaia Gazeta disse era un buon libro anche se qualcosa del genere non sarebbe mai accaduto a Gorky Park. Io scelsi proprio quel posto perché era un’espressione di innocenza. Tutto ciò mi ha fatto pubblicità.
Perché fare ritrovare i cadaveri proprio a Gorky Park?
Ambientare il ritrovamento in Gorky Park a dicembre quando viene buio presto era quasi una favola speciale. E’ il posto più bello di Mosca, vedevo il delitto come una violazione del santuario dei moscoviti. E’ un posto che i moscoviti amano molto, con la luce brillante che dà il riverbero della neve.
Nel 2008 ha scritto “Il fantasma di Stalin” (Mondadori), un altro libro ambientato in Russia. Ha trovato molti cambiamenti dai tempi di Gorky Park?
La Russia è cambiata enormemente, in maniera inaspettata che nessuno avrebbe potuto immaginare all’epoca di Gorky Park. Ha virato verso la democrazia e ora è una nazione con molti soldi. Chissà come diventerà la Russia quando questi soldi saranno spariti.
Qualcosa su Arkady Renko?
Quando immagino il mio personaggio penso a una persona molto intelligente, che capisce al volo e si rende conto delle situazioni.
All’inizio della sua carriera aveva scritto sotto pseudonimo, perché questa scelta?
Ho avuto molti pseudonimi, come Simon Quinn avevo scritto una serie dell’Inquisitore dove si uccideva per conto del papa, con un altro una serie dove il detective era uno zingaro, con un altro ancora su un universo alternativo. La scelta di scrivere sotto pseudonimo era motivata dagli argomenti trattati. Ho scritto anche come Nick Carter, Martin Quinn, Martin Smith infine ho scelto Martin Cruz Smith, Cruz è il cognome di mia nonna messicana, metà india e metà spagnola che aveva avuto 19 figli, 4 mariti e era vissuta fino a 103 anni, autosufficiente fino a 98. Da piccolo mi faceva fare alcuni lavoretti, tra cui dare da mangiare alle galline. Un giorno mi avevano attaccato, così avevo imparato ad avere più rispetto di loro.
Dove vive ora?
Vivo in California, a nord di San Francisco. Avevo vissuto 15 anni a New York, l’unico posto dove potevo portare i bambini era Central Park.
Che cosa legge?
Non leggo romanzi contemporanei per evitare la possibilità di copiare involontariamente qualcosa. Cerco di non leggere come se fossi un aspirapolvere. Se mi capita di leggere un libro che parla della Russia negli anni 40 lo leggo perché mi potrebbe essere utile. Nei miei libri cerco di creare un mosaico dove ogni tassello ha il suo valore. Quando ho ambientato un libro in Giappone ho letto ogni cosa possibile sul Giappone, perfino un libro che parlava del guardaroba della sposa giapponese che in apparenza era un’assoluta perdita di tempo ma mi aveva fornito informazioni di base che mi erano state utili. Non leggo così tanto come vorrei perché se leggo troppo alcune cose mi sfuggono perché devo riordinare il “cubicolo” che c’è nel mio cervello.