Chi è Joan Lovinescu? Un immigrato rumeno sovrappeso e malandato che si arrabatta in un campo improvvisato di Sesto San Giovanni, vicino a Milano, o un equivoco personaggio coinvolto in traffici poco limpidi tanto da meritare di essere pedinato?
E chi è Aurelio Panebianco? Un ex poliziotto caduto in rovina per oscure macchinazioni di questura e costretto a riciclarsi come investigatore privato in un’agenzia di dubbia reputazione, o un ex agente con una lista di peccati da far accapponare la pelle?
Queste sono le domande che animano la narrazione dalla prima riga fino all’ultima. Le vicende di Joan e Aurelio si sviluppano dapprima parallelamente, fino a toccarsi in una sorta di infinito precoce e sovrapponendosi in cerca della soluzione.
Indagine all’interno dell’animo umano, il Manuale, guida gli occhi del lettore attraverso il mondo sommerso di chi vive ai margini della grande metropoli e cerca di farlo con dignità. Col aprico, con l’intento di spulciare tra le vite dei milanesi (intesi come abitanti di Milano, senza distinzioni manichee) mappa in modo preciso e fedele tutti i luoghi e gli espedienti che un immigrato clandestino deve per forza conoscere per restare a galla in una grande città come Milano.
Non si perde in buonismi bigotti o in toni elegiaci, ma lascia sulla pagina una cronaca sicura e agile del difficile rapporto tra diverse culture e diverse lingue, analizzando quella sorta di sotto-società che gli irregolari creano più o meno consapevolmente per avere un punto di partenza alla ricerca dell’Eldorado. Rappresentato il più delle volte da un lavoro mal pagato e da una stufetta elettrica per scaldarsi la notte.
La storia nera, si sviluppa attorno alla figura di Aurelio, il quale intromettendosi come occhio esterno nella quotidianità mesta di Joan ha il tempo di analizzare la propria vita e di essere giudice, più o meno parziale, di sé stesso. I diversi episodi che hanno Joan come protagonista rappresentano il contr’altare fra le necessità minime degli ultimi e la voglia di emergere di chi ultimo non è, ma è animato dalla stessa brama di farcela a tutti i costi. Sopravvivenza per Joan e avanzamento di carriera per Aurelio. Cambiano i presupposti, ma l’obbiettivo è il medesimo.
In questo romanzo tutti cercano qualche cosa, Lovinescu un fantomatico tesoro abbandonato da un capo Rom nel campo ormai sgomberato. Panebianco un senso alla propria vita e a quelle di chi lo circonda moglie, figli e amante. Tutti aspettano l’occasione d’oro per il salto di qualità, alla fine la distruzione dell’uno rappresenterà il riscatto dell’altro.
L’intreccio è sapiente e il metro narrativo adeguato, perché contribuisce a fondere in un’unica voce i sentimenti dei personaggi che spesso si scambiano idealmente di posto al centro della scena.
Il romanzo, che non lesina colpi di scena, presenta diverse chiavi di lettura: una più legata alla città dura e austera, ma allo stesso tempo capace di slanci di vera e propria solidarietà umana, l’altra decisamente più spinta verso l’analisi dell’intimo dell’animo umano; percorso tortuoso e a volte insondabile.
La terza via è quella vincente. Mescolare in un’unica soluzione le due opzioni precedenti e descriverne il risultato con la capacità di un fedele cronista e ottimo scrittore.