Capitolo 6
Cristallini. Azzurro magnifico. Chiaro e perfetto. Inusuale per una donna di quel tipo. Ma di certo non sono stupide lenti. Il colore dei suoi occhi è celeste naturale. Originale e non più riproducibile. Quei due piccoli brillanti nascosti tra i capelli sembrano acqua di fiume che riflette, limpida, la docile luce della luna. Che splendore! Ma perchè?
Perchè tanta bellezza? A cosa serve questa perfezione?
A niente! Se si è degli assassini.
Michele torna in sé. Era stato completamente assorbito in quella visione. Ma ora il cervello torna a scorrere nel verso giusto. E torna a pensare.
Condannato a morte! Sono già cinque secondi che è tornato a convivere con questo pensiero – dopo la parentesi occhi -, agghiacciante e pesante. Non è un’ ipotesi. È rassegnato a quest’idea. Sa che non c’è possibilità di scampo. La giustizia “di strada” non dà spazio ai ricorsi. Né c’è nessun ministro pronto a esercitare qualche forma di indulto. Né nessun re pronto a graziarti. Né moratorie mondiali contro la pena di morte. Né manifestazioni pubbliche. Né scioperi della fame di vecchi ribelli che si battono per i diritti umani. La sentenza è una. Decisione indiscutibile.
“Michele.. è un piacere averti qui davanti” Françoise si avvicina al condannato.
“François..” farfuglia Michele, racimolando le ultime forze. E speranze. Ma viene interrotto.
“Françoise! Non sai il francese?!… è femminile. E si pronuncia la s finale!”
Michele ammutolisce davanti all’interruzione della donna. Ora non si ricorda più cosa voleva dire. La mente, per un attimo, va in crash, perdendo tutte le informazioni e si riavvia in automatico.
Come i vecchi PC. Michele, il vecchio e mal funzionante computer che sta per essere rottamato. Eliminato per sempre da qualsiasi scrivania.
“Io lo so cosa ti sconvolge Michele…” parte il monologo “Tu non accetti il fatto che io sia io. Nel film della tua vita, nella tua scenografia, che speravi fosse priva di imperfezioni, avevi pensato a me come il Godot da aspettare e inseguire.”
“Il sentimentalismo infantile e questa tua indole a sentirti giusto e in pace con il cuore ti hanno fatto credere che anche nella vita reale, come nei fumetti e nei film, ci siano i supereroi e i supercattivi. E che i figli dei supereroi diventino anche essi supereroi, che proteggono il pianeta! Invece no! Il bianco non genera sempre bianco. Ci sono imperfezioni. Piccole fratture. Crepe. Come nelle statue che da lontano sembrano perfette. Ti avvicini e ti accorgi che in fin dei conti l’opera d’arte è destinata alla decomposizione. Alla lenta distruzione.”
“Il mondo non è a schemi. A blocchi presettati. Siamo tutti piccole pedine libere. Senza scacchiera. Con decisamente più di una sola mossa consentita. Il mondo non è una partita a scacchi. Sarebbe sciocco pensarla così.”
Michele, disinteressandosi alle tesi e argomentazioni della protofilosofa Françoise, torna a preoccuparsi per la sua sorte. Avrebbe potuto non trovarsi in quella situazione? Impossibile. La mattina l’aveva già predetto. Al risveglio, alla prima inalazione autonoma d’ossigeno, aveva già capito. Afferrato il concetto. Era destinato a diventare la preda. La preda del giorno. Vinto. Vinto. Ma alla fine.. chi non lo è? -Françoise a parte!-
Non c’era nessuna soluzione. Nessuna via di fuga. Come aveva detto Igor, Michele era un topo in trappola.
O forse no?
Sono quasi le venti e le ballerine stanno entrando nel bel localino di Françoise. La vie c’est magnifique. Carino come nome. Anche loro dal retro. Ma non trattate come è stato trattato Michele. Niente spinte né insulti. Solo gentili parole da parte dello staff del locale. Questa sera, come la sera prima, il gruppo delle giovani danzatrici di una strana compagnia di artisti itineranti si dovrà esibire portando in “sala” una sorta di musical. Arte contemporanea. Piacevole. Scenografia spaziale. In effetti il musical parla di vita di strada. E c’era la necessità, visto la non disponibilità di spazi esterni, di ricreare un avvincente scenario urbano.
Di essere veramente in strada.
“Michele. Lo so. Tuo nonno, da quello che ho capito, è sempre stato dalla parte mia e di mia madre, è stato gentile e presumo ci abbia salvato la vita. O almeno.. L’ha salvata a me. Ha combattuto contro i nazisti con la speranza di rendere noi ebrei liberi un giorno. Che atti nobili. Che animo pio e pieno di ideali. Ma io non sono così. Sono cresciuta in una società che mi ha educato al guadagno. Al non-rispetto reciproco. Certo, è merito – colpa? mia se ora sono un’ intrigante delinquente. Avrò sicuramente qualcosa di sbagliato nel DNA. Ma anche questo strano mondo ha contribuito a farmi diventare..me!”
Il punto è, Michele, che tu, come il tuo caro amico Filippo, ora sai troppo. E non ho proprio intenzione di essere caritatevole; quindi, dovrei ordinare di farti tacere, come ho fatto con Filippo. Oh Michele, odio questi giri di parole, e so che tu puoi capire. Devo ucciderti. Punto. È ovvio. Scontato. È semplice. Banale.”
“Però Michele.. Dai. Ora provo a essere buona. Se vuoi ti concedo qualche minuto per le ultime parole famose …Ti va piccolo Michele?”
Il suo tono è così sarcastico e maledettamente onnipotente che Michele perde tutte la voglia di fumarsi l’ultima sigaretta.
Modi di dire da condannato a morte. Ormai si è perfettamente immedesimato nel personaggio. Ma meglio non correre rischi, si dice. Magari nel tanto nominato aldilà esistono anche i rimorsi. Quindi afferra il pacchetto lanciato in aria dalla sua giustiziera e ne estrae di fretta la famosa sigaretta.
La accende. “Che errore ha fatto il nonno. Per tutta la sua vita a correrti dietro, e prima a cercare di salvarti…”
“Mi dispiace Michele, devo interrompere il tuo discorso strappalacrime.”
La sigaretta gli cade di bocca, anzi gli viene strappata via. Con rapidità.
Uno dei tanti fedeli seguaci al servizio di Françoise aspetta sulla porta. Entra e si avvicina solo, al cenno del capo.
“Mi scusi..” Michele è troppo lontano per capire.
“…”
“…” risponde lei.
“…” lui.
“Ma! Cazzo!-” È una donna molto irritabile “-Non è possibile. Non sapete fare niente!” la voce si affievolisce gradualmente e la potenza del segnale diminuisce fino a non raggiungere più Michele.
“Mi dispiace, Michele” fa lei mentre lo scagnozzo se ne va “ma ho dei problemi con il locale… Ci tocca rimandare il nostro bel party d’addio. Se vuoi intanto puoi andare di là e goderti lo spettacolo. Ovviamente TU” – lei sottolinea con fare eccessivamente teatrale – “starai buonino e fermo, anche perché sarai ben controllato”
Michele non sa che dire. Non si hanno argomenti, quando sai che la tua condanna a morte è appena stata rimandata. Riesce però lo stesso a intravedere uno spiraglio di luce. Magari sarebbe riuscito a fuggire da una porta di servizio o avvisare qualche cliente della sua strana situazione. O chi lo sa.
“Dai, vieni di là” si mostra gentile ora Françoise.
Michele si ritrova, dopo aver percorso un breve labirinto di corridoi e porte, nella sala centrale. Un posto poco originale, pensa lui. Tutto già visto. Già visto. Françoise che l’aveva guidato fino lì, ora si divide dalla sua preda e svicola via assieme a due uomini in giacca e cravatta.
«Che fare ora?» Si chiede Michele.
Si guarda attorno. La porta di ingresso, oltre che superaffollata, è piena di forze dell’ordine interne. Per ora non nota altre porte. Vede però, ruotando su se stesso, qualche ragazzotto dai muscoli ultrasviluppati. Lo fissavano.
“Attento” dicevano i loro piccoli occhi nascosti. Rassegnato, Michele si siede. Ordina un Gin Tonic. Senza limone. Il cameriere ritorna. Con un gin tonic. Con limone. Che giornata, povero Michele. Non si lamenta ovviamente. Il cameriere non capirebbe. Per un limone. Che sarà mai. Si direbbe.
C’era una sorta di palco, non troppo grande, davanti a lui. Il tipico tendone rosso era stato sostituito da un velo molto carino. Calato.
Michele sorseggia il drink. Il velo si leva, si alza. Ballerine danzano su quella che sembra a una prima occhiata una strada.
Flash.
Un fulmine squarcia la mente buia di Michele.
La memoria, ancora interrogata dalla mente, sembra ricordarsi d’un tratto tutto.
Lui e Filippo la sera prima erano stati lì, e c’era quello spettacolo di danza. Non era una strada quella del sogno, ma una scenografia!
E a questo punto non è più solo un sogno, ma ricordi di vita vera. Un sogno non è mai solo un sogno. Inizia a ricordare i dettagli. Lui continuava a lamentarsi con Filippo e a interrogarlo sul perché erano finiti in un posto del genere. Filippo temporeggiava e rispondeva in malo modo, velatamente. Michele un po’ seccato dall’amico che si comportava così stranamente aveva deciso di dedicarsi ad un altro amico, l’alcool. Filippo si era incavolato, e Michele ora forse ha capito. L’interrogatorio alla memoria continua. Uh, ecco. Angela. Angela era lì in mezzo. Anche lei in quel locale. Lei appena lo aveva visto aveva iniziato a scappare. La donna del sogno che stava rincorrendo. Michele correva correva senza capire perché lei scappasse. Ora forse ha capito anche questo.
Ecco a cosa stava lavorando. La ragazza non aveva mai detto niente a Michele. Probabilmente anche lei stava cercando informazioni su Françoise. Probabilmente Filippo l’aveva capito quella sera. E l’aveva chiamata successivamente. Forse aveva dato a lei la busta che poi è giunta a Michele.
Ma era riuscita a fuggire. Lui si sentiva sempre più sbronzo e era stato bloccato da Filippo.
L’amico l’aveva accompagnato in bagno cercando di tranquillizzarlo.
“Guarda che strana finestra, Michele!” aveva sottolineato lui, all’entrata della toilette.
A Michele non sembrava tanto strana. Era particolarmente sbronzo e arrabbiato, e aveva pensato che Filippo fosse semplicemente impazzito.
«La finestra. Geniale, Filippo.»
«Filippo, sei riuscito a fare più cose utili da morto che da vivo.»
Si alza di scatto, Michele. Ma si ricorda delle guardie. Era sempre nel braccio della morte, quindi meglio non fare scemenze. Grande idea. Si abbassa, fingendo di scacciare via una bestia dalla gamba. Un ragno. O qualcosa del genere. Sa che non può permettersi mosse azzardate e rapide davanti a tutti gli scagnozzi di Fraçoise. Torna quindi a sedersi. E pensa. Dovrebbe andare in bagno, ma sarebbe sicuramente seguito dalle guardie. E controllato.
Alla fine si decide. Si alza con noncuranza. Nota uno buttafuori stargli alle costole. Trova a fatica la porta del bagno: è dentro. E vede immediatamente la finestra. Potrebbe provare a fare tutto in fretta. Rapidità. No, meglio di no. Canticchia, per imbarazzare un po’ i presenti e farli sloggiare in fretta. Meno testimoni della fuga, meno problemi.
Entra lo scagnozzo. Michele parlocchia e farfuglia. Fa capire al ragazzotto muscoloso di essere un po’ sbronzo. Ecco. Si sforza. Qualcosa comincia a salire. Via. Uno schizzo di vomito raggiunge i pantaloni ben stirati dell’energumeno. Questi impreca ferocemente. E si incazza. Scagliandosi contro Michele. Gli molla un dritto in pancia, e Michele, nonostante il colpo sia già forte di suo, mima la definitiva resa e si getta a terra, apparentemente svenuto.
Ancora qualche imprecazione e il suo guardiano esce per chiamare rinforzi.
Ottima idea.
Michele si congratula con se stesso e si rialza con rapidità. Per il dolore ora non c’è tempo. Neanche un secondo in più per soffrire. Riesce a sgattaiolare fuori dalla finestrella, procurandosi altro dolore, che probabilmente si presenterà tutto assieme, quando tutto sarà finito.
È fuori.
Dalla finestra passano imprecazioni, che riescono ad arrivare all’orecchio di Michele. Deve fare in fretta.
Ora, fuga.
Dal retro esce di corsa lo scagnozzo. Corre un po’ a caso, fino a intravedere la sagoma del goffo Michele. Non vale la pena sparare. Fra un attimo l’avrà raggiunto.
E in effetti così succede. Michele è di nuovo fermo. Senza spari o trappole. Lui e il suo persecutore. In mezzo allo spento nulla della città immersa nella notte.
Arriva sgambettando Françoise. Michele si meraviglia.
E’ sola, niente rinforzi al seguito. Niente omoni cattivi.
È una preda facile, evidentemente.
“Che cosa mi combini Michele? Pensi di essere più furbo?”
Michele è furente. E, ora come ora, non vuole morire. È stretto tra le braccia dello scagnozzo. Ma non si sente fregato. Vuole scacciare via questa maledetta morte, che lo rincorre da tutto il giorno. L’adrenalina e la paura e la rabbia e la voglia di vendetta spingono la sua mano verso i genitali dell’uomo che lo avvinghia. Presi. Stringi, Michele. Stringi forte. Un urlo. Rumore interrotto subito dal suo piede, che affonda nel muso del malcapitato.
Françoise rimane a guardare. Sembra tranquilla. Ha un’arma, ma Michele non lo ricorda.
“Vaffanculo Françoise” le ultime parole famose.
Scappa Michele. Michele corre. Ma non trova vicoli dove infilarsi. Corre veloce e dritto.
Françoise dietro, ferma, urla: “MICHELEEE!”
Si gira. Vede la pistola in lontananza che punta verso di lui. Si sente onnipotente e invulnerabile. Un Dio. A livello di Françoise. E continua a correre. Guardando avanti.
Françoise spara.
Michele aspetta il colpo. Aspetta di cadere a terra in una pozza di sangue.
Niente.
Si rigira.
Françoise ha il braccio destro con la pistola, rivolto verso l’alto.
Perché?
Michele è salvo. E svolta nel vicolo, immergendosi nella luce divina della salvezza.