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Capitolo 3
Dà un’occhiata veloce in giro per controllare di non essere osservato. Nella penombra del locale, rischiarata solo dalla luce del bancone, ci sono tre ragazze, che ridacchiano davanti a un frappè, una coppia, che litiga sottovoce e una compagnia, che schiamazza allegramente, evidentemente già a buon punto nel giro dei locali, nonostante sia ancora piuttosto presto per essere sbronzi. Michele si domanda se la sera prima era negli stati di quei ragazzetti.
Temendo di essere visto da qualcuno, decide di non aprire la busta. «Non ancora. Non è il caso. Sei già un sospettato, Michele. Non dare nell’occhio anche quando non serve». Si dice tra sé, frenando la sua morbosa curiosità. Appoggia la busta sull’altra sedia vicina al tavolo, sotto ad un quotidiano ormai stropicciato.
Giusto in tempo. Gianni è appena apparso al suo fianco.
“Ecco a te, biondo”. gli dice sorridendo quel simpatico uomo attempato, un po’ fuori forma, dal viso paonazzo, con una voce calda che ti fa sentire subito il benvenuto. E non importa che tu sia rosso, bruno o moro o… calvo. Gianni ti chiamerà sempre biondo, e il modo in cui lo dice fa morire dal ridere, secondo Michele.
“Grazie” risponde Michele contraccambiando il sorriso.
Prende la bustina di zucchero ed inizia ad agitarla più del solito. Poi la rompe e la versa. Inizia a mescolare molto lentamente. I suoi occhi si spostano su Gianni. Lo vede al bancone, con l’immancabile bicchiere di bianco in mano, mentre intrattiene, come al solito, alcuni clienti. Inizia a sorseggiare il suo caffè.
La grappa della correzione gli arrossa le guance e gli brucia la gola.
«Adesso mi ricordo perché non lo prendo mai corretto!».
Gianni ormai è abituato ai suoi standard. Il suo sguardo torna a posarsi sul gestore del locale: Deve essere sulla sessantina, pensa tra sé e sé, facendo qualche ipotesi in base ai suoi aneddoti. Sessant’anni circa… Proprio come la bambina di quella foto del gennaio 1945.
E ritorna con la mente ai fatti del passato, che aveva cominciato a rievocare.
Ricorda chiaramente che, trascorsi alcuni giorni da quella scoperta, era ancora profondamente scosso.
Perdonami. Tenterò di farmi perdonare. Se non ci riuscirò io, sarà Michele a farlo per me.
Che cosa aveva da farsi perdonare suo nonno e perché? Cosa di cui chiedeva perdono non era riuscito a fare? Forse aveva scritto quelle parole mentre sentiva avvicinarsi la morte, e lasciava a lui, proprio a lui, un compito da portare a termine.
“No, questo è fuori discussione”, aveva risposto quasi automaticamente a Filippo, grato per averlo sollevato dai suoi cupi pensieri, quando l’amico aveva azzardato la possibilità di confidare tutto alla madre …”No, lo sai anche tu. Comincerebbe a sentirsi male, uno di quei malori curabili solo col suo usuale bicchierino di cognac, domandandosi perché il nonno le faccia questo, persino ora che è morto da mesi. Chiederebbe di versarle altro cognac e, quel che è peggio, potrebbe cominciare a fantasticare storie inverosimili guardando la foto”:… “Oh mio Dio, Michele caro, questa era certamente l’amante di mio padre … E quella bambina quindi?… Mia sorella?! Oddio svengo, dov’è, dov’è il mio cognac?”.
“E non lo credi possibile?”, aveva ammiccato Filippo.
“Per nulla. Avresti dovuto conoscerlo meglio, mio nonno”, aveva detto serio e convinto Michele, ripensando all’uomo che lo aveva allevato durante l’infanzia, mentre suo padre era troppo occupato da lontani affari di lavoro e la madre lo seguiva partecipando agli eventi mondani di rito.
“Quindi a tua madre non dirai nulla?” aveva chiesto Filippo.
“Nulla. Credo volesse così anche mio nonno”, aveva continuato Michele, prendendo nuovamente la foto tra le mani.” Questa è la sua calligrafia e leggi anche tu …
Sarà Michele a farlo per me.
Quindi la storia che c’è dietro riguarda solo me, adesso.”
“E Anja e…” lo aveva corretto Filippo, “la bambina che tiene in braccio. O forse Anja è proprio il nome della bambina? Potrebbe anche essere una foto ricordo con la dedica per ricordare la piccola” …”
“Del lontano gennaio del 1945. Ma a te cosa fa venire in mente questa data?”
“Vediamo, secondo vaghi ricordi scolastici … La guerra? La fine della II guerra mondiale?”
“Esatto. In quell’ anno gli Alleati avanzavano ovunque. La fine della guerra era questione di mesi, giorni … Certo, anche solo poche ore o pochi minuti potevano avere un significato immenso per le vittime di quella catastrofe. E dopo il disastro della guerra la vita da riprendere, dove niente era più come prima. Insomma, imparare nuovamente a vivere.”
“E tuo nonno la guerra l’aveva vissuta. E’ per questo che siamo qui, no?” aveva domandato Filippo, mentre l’amico parcheggiava la sua auto davanti ad una modesta villetta di periferia.
“Ho pensato ad un uomo di cui mio nonno mi parlava spesso. Un vero amico nei tempi difficili, lo ricordava così e, dato che si erano mantenuti in contatto, ho ritenuto che fosse un buon punto di partenza per le nostre ricerche.”
I due erano stati accolti con calore. Dietro una tazza fumante di tè l’uomo che Michele sperava potesse essergli d’aiuto aveva disposto tutti i suoi ricordi ordinati in un album.
“Ne ho di ogni genere, i più dolorosi, ma anche i più veri.” aveva spiegato l’anziano signore.
“Guarda, guarda questa foto, l’aveva scattata proprio tuo nonno. Per regalarci qualche momento di spensieratezza e farci un poco di forza in quella guerra che sembrava non avere mai fine. Ci si era trovati tutti assieme, con poco, a sperare in meglio. Guarda, riuscivamo a sorridere anche in quell’inferno: è la speranza che ci ha salvati”, aveva concluso l’uomo commosso. Michele aveva spalancato gli occhi:
“Ma questa … questa giovane donna tra gli altri nella foto …chi era, scusi?”
“Quella?” Dopo aver pensato per qualche minuto “Oh, se non ricordo male, tuo nonno l’aveva presentata come una sua lontana cugina, scappata dalla sua città a causa della guerra, come molti altri, del resto. Una ragazza semplice, laboriosa. Le si diceva di stare tranquilla, ma lei no, cercava sempre di darsi da fare, come a sdebitarsi della sua presenza, di quel poco che mangiava. E dire che era anche incinta. Aveva perso il marito … Brutti tempi davvero quelli, per mettere al mondo una creatura.”
Michele e Filippo si erano guardati. Avevano trovato Anja.