Mei ha avuto la ventura di attraversare nella sua lunga vita più mondi: lo splendore di Shangai, la città murata di Hong Kong, i grattacieli avveniristici di Seattle. Ma tutto questo le è costato un tributo troppo doloroso di sofferenza, di odio e di perdite. Nell’incipit del romanzo troviamo Mei ultraottantenne che decide di accompagnare la figlia Susanna, reduce da un lutto non ancora superato, a Hong Kong, per svelare il mistero di Maidenhair House, una dimora in cui nel 1953 ci fu una strage, ma non si ritrovarono i cadaveri.
Mei, la Terza Figlia, come era chiamata in famiglia, ha ereditato dalla madre il talento nel ritaglio delle figure di carta, ma anche la Visione, la capacità di vedere i morti. Che, spesso, hanno ancora tante cose da dire ai vivi, come ben sa la vecchia Mei, ormai consapevole delle conseguenze dei suoi talenti.
Comincia così La vedova di Hong Kong, un libro denso, con una scrittura di estrema raffinatezza, al confine tra thriller, romanzo di formazione e romanzo storico intriso di realismo magico, opera dotata di rara fascinazione. La storia di Mei attraversa l’occupazione giapponese durante la seconda guerra mondiale, descrivendo l’orrore dei contadini poveri e dei cinesi benestanti, arrivando poi all’interno della città murata di Hong Kong, luogo torbido e vitale di anime smarrite, come la sua. L’incontro con Max, di pochi anni più grande di lei, sarà l’occasione per svelare a se stessa i suoi strani talenti, la capacità di vedere la realtà più nascosta nonostante la cecità della parola. Il linguaggio della Loesch contiene richiami ancestrali a leggende, a miti, allo spirito di un popolo che vive in mezzo alla divinità. Accanto a questo folklore, risalta vivida e intensa la psicologia dei personaggi, i loro rapporti così improbabili eppure così comuni, e, fondamentale, il legame tra realtà e apparenza. A un certo punto della storia, il lettore ha l’impressione di non saper più distinguere ciò che è veramente successo da ciò che i personaggi hanno solo immaginato, invece il racconto giungerà saldamente alla fine rivelando quanto tragica e ingiusta possa essere la realtà.
L’autrice afferma che in fondo ha raccontato le difficoltà e la bellezza del rapporto tra madre e figlia, l’ambiguità non dell’amore materno ma della propria identità, e le figure di Ma e di Mei incarnano alla perfezione questo obiettivo. Ma la Loesch ha saputo anche delineare un potente affresco storico, evitando ogni passaggio didascalico: la miseria e la carestia provocate dall’esercito giapponese non vengono descritte, bensì emergono dai dialoghi dei personaggi e per questo abbandonano la neutralità dei libri di storia per diventare fame, morte e sangue. Al lettore pare di vedere, insieme a Mei, il Bund di Shangai, la passeggiata sul lungofiume HuangPu, un tempo opulenta e sfarzosa, o di addentrarsi tra i luridi negozietti di Kowloon a Hong Kong, per giungere alla Bottega delle Rarità di Madame Volkova. Affiora nelle pagine del romanzo la malinconia degli esuli, che siano britannici, tedeschi, russi, e nel contempo il cosmopolitismo disperato che per sopravvivere ti fa sentire cittadino di ogni luogo, proprio come capita a Mei.
Un libro che davvero merita di essere letto e meditato sino all’ultima pagina.


