Frank Schätzing, l’insuperato autore de Il Quinto giorno, romanzo che per primo ha sconvolto i confini tra i generi della Fiction, è arrivato sugli scaffali delle librerie con un nuovo lavoro – La tirannia della farfalla, edizioni Nord – ancora con l’evidente intenzione di portare scompiglio nell’animo dei propri lettori.
La narrazione si apre con il racconto della missione che un gruppo di miliziani compie nel cuore di una regione africana, di notte sotto una pioggia che definire torrenziale è un eufemismo. Tutto sembra procedere secondo quanto c’è da aspettarsi e da temere in una simile situazione fino a quando qualcosa di inatteso e sconvolgente arriva a terrorizzare gli uomini del commando; strane creature fameliche…
Salto spazio-temporale. Il lettore è trasportato negli USA, e precisamente nella Sierra County in California. Qui viene presentato uno dei principali protagonisti del romanzo, il vice-sceriffo Luther Opoku che, insieme alla sua collega Ruth Underwood, si trova alle prese con un caso che da subito si rivela essere un omicidio, anche se le circostanze potevano far credere il contrario: il corpo di una donna è “appeso” ai rami di un albero affacciato su un torrente. Dalle prime indagini la vittima presenta tracce di un’aggressione violenta precedente la caduta e, a un’attenta perquisizione della sua auto, viene trovata una pendrive. Grazie all’aiuto di sua figlia Tamy il vice-sceriffo e i suoi collaboratori vedono che su di essa sono stati salvati dei video che mostrano strane manovre di trasferimento di grandi casse contenenti qualcosa che si muove in modo inquietante.
Scoprono che la vittima lavorava presso la succursale della Sierra County di una società – la Nordvisk, impegnata con programmi legati all’intelligenza artificiale e apprendimento automatico. Pilar Guzmán: questo il suo nome.
Per primo Luther Opoku conosce l’amministratore delegato della Nordvisk, certo Hugo Van Dyke, ma il vero cervello è Elmar Nordvisk. È stato difatti proprio quest’ultimo a dar vita ad A.R.E.S. (Artificial Research and Exploring System) un sofisticato sistema di Intelligenza Artificiale. Avete presente il cervellone Hall di 2001 Odissea nello spazio di Stanley Kubrick? ecco, Ares è il pronipote evoluto, ma davvero molto evoluto di quell’acerbo tentativo di “cervellone”. Lo scopo del suo creatore, traumatizzato dalla morte precoce della madre, è appunto quello di liberare la Terra e i suoi abitanti dal dolore e dalla morte, e per farlo pensa di utilizzare le immense potenzialità della sua I.A.
Lentamente, a Luther Opoku ma anche ai lettori di Schätzing, viene mostrato uno spazio conoscitivo inimmaginabile fino a qualche anno fa. Mai sentito parlare di “fisica quantistica”? Una teoria che, seppure in modo paradossale, arriva a giustificare la possibilità di diversi spazi temporali, oltre al nostro, dove sarebbero persino ipotizzabili molteplici cloni della nostra realtà. Ares è tanto potente e super-dotato proprio perché fonda la propria tecnologia sulla quantistica.
È a questo punto che nell’affascinante libro dello scrittore tedesco alla trama gialla se ne aggiunge una fantascientifica – o distopica, se preferite.
Non vi rivelerò altro delle vicende che, con il susseguirsi delle pagine, rendono questa lettura irrinunciabile tanto quanto avvincente, ma mi soffermerò su alcuni aspetti che mi hanno affascinata. Com’era già successo con il splendido romanzo d’esordio, anche qui Franz Schätzing utilizza una narrazione con caratteristiche giallo-avventurose per darci la sua visione delle incognite e delle minacce insite in certe scelte umane. Ma – ed è qui il carattere prezioso della sua opera – egli non si limita a “denunciare” i possibili rischi che il futuro potrebbe riservare. Con capacità degne del grande Ray Bradbury, egli ci porta a essere empaticamente nelle situazioni che sono teatro dei suoi romanzi. I suoi personaggi non sono mai dotati super eroi, ma esseri umani come noi, e come noi vivono paure, incertezze, senso di inadeguatezza e angosce morali.
Nelle pagine di questo libro – che consiglio vivamente a tutti coloro che oltre a “sciacquarsi il cervello” chiedono alle loro letture anche uno stimolo a riflettere, ad allargare il proprio punto di vista – difatti l’autore, per mezzo degli uomini e delle donne che usa, arriva a porre al centro delle sue pagine le domande fondamentali che ogni essere umano, dotato di intelligenza, prima o poi arriva a farsi: chi siamo, abbiamo un’anima, una coscienza individuale, la morte può essere sconfitta, quali sono i limiti della tecnologia, esiste un confine oltre il quale l’etica ci impedisce di andare?
Le risposte che via via egli ci offre, condivisibili o meno, sono assolutamente stimolanti e al passo con il dibattito contemporaneo accesosi intorno alla robotica e all’intelligenza artificiale.
E per concludere mi permetto di citarvi qualche frase, rubata qua e là, a titolo di esempio.
« Ares ha bisogno di essere alimentato.
All’aumentare delle conoscenze, la sua intelligenza cresce in modo rapidissimo ed esponenziale. Il Bruco, come Elmar chiama la struttura nascosta nella montagna, comincia ad alimentarsi da solo e a trarre conclusioni sempre più complesse. Il che solleva la questione di come si dovrà fare per controllarlo in futuro. Tra gli addetti ai lavori inizia a circolare una storiella: se affidi a un’IA universale il compito di produrre la graffetta ideale, l’IA seguirà l’ordine alla lettera e sfornerà graffette sempre migliori, che naturalmente potrebbero sempre essere ancora un po’ meglio, perché ti sei dimenticato di dirle cosa sia la graffetta ideale. Per colpa di questa negligenza, l’IA arriverà a investire tutte le risorse del pianeta Terra nella produzione di graffette e infine trasformerà tutto il sistema solare in graffette.»
(…)
«ma i sentimenti sono il risultato di processi chimici. Neurotrasmettitori. Come fai a riprodurli in un computer? Come fai a dosarli?».
(…)
«All’inizio è stato bizzarro. Vivevo in un computer. (…) In un ambiente virtuale. In altre parole, avevo bisogno di un corpo. In generale, chi si avventura nei mondi virtuali ne ha uno. Il mio era morto. Non ho voluto assistere al mio funerale. Io ero ancora viva. Insomma, qual è il senso di questo rituale? Sotterrare solennemente un corpo o spargere delle ceneri. Lo facciamo perché il corpo è l’ultima cosa che ci “Lo facciamo perché il corpo è l’ultima cosa che ci resta del defunto. Ma quale valore ideale ha un corpo morto, se lo spirito continua a vivere qui e ora?».
(…)
«Il mio spirito si è sdoppiato. La vecchia versione è morta. Ora ci sono soltanto io.»
«E quante volte puoi esserci?»
«Oh, potrei essere moltiplicata all’infinito».
(…)
« il mio spirito si è sdoppiato. La vecchia versione è morta. Ora ci sono soltanto io.»
«E quante volte puoi esserci?»
«Oh, potrei essere moltiplicata all’infinito».
(…)
«Se somma gli anni che ha passato nelle sterili sale delle autopsie, il risultato è metà di una vita umana. Forse anche di più. Le statistiche sono zeppe di motivi per separarsi volontariamente dall’esistenza. Al piacere di una serata al cinema o al ristorante si oppone la certezza sconfortante di marcire sei mesi davanti ai semafori rossi e di restare seduti ottanta giorni sul water. Marianne si è disinfettata le mani più spesso di chiunque altro. Questo rituale le ha fottuto, da solo, tre mesi di vita. Con Kafka avresti potuto fare una superba conversazione su questa esistenza nelle sale d’attesa che racchiudono il minuscolo granello d’oro della vita, cui però non riesci mai ad avvicinarti. Ormai Marianne è così rassegnata da essere diventata anche lei talmente sterile e senza pretese che ogni corridoio d’ospedale le sembra ricco quanto la Trump Tower».
(…)
«Non si può viaggiare nel tempo. Al massimo, si potrebbe andare nel futuro (…) La velocità della luce è, in parole povere, la velocità del tempo. Se tu volassi via alla velocità della luce, vedresti continuamente le mie cinque dita, come congelate. Se invece viaggiassi più veloce della luce, passeresti accanto a fotoni capaci di mostrarti le mie azioni precedenti. Vedresti il tempo scorrere a ritroso. Perciò, in teoria, potresti osservare il passato, ma non fermarti al suo interno. Il tuo viaggio, tuttavia, avrebbe un altro effetto. A seconda della tua velocità, torneresti sulla Terra in un futuro più o meno lontano. Magari il viaggio è durato sette minuti, ma sono passati settant’anni. O settecento.»
(…)
E per concludere: «Può sembrare utopistico, presuntuoso, contro natura. Contro la volontà di Dio, diranno molti. Ma non è stato Dio a creare noi. Siamo stati noi a creare lui. Dio è un algoritmo del preilluminismo. Naturalmente capisco le obiezioni. Anche quelle degli atei, che hanno i loro motivi per dubitare dell’idea di una vita eterna. Ma perché lo fanno? Persino i darwinisti più irriducibili?»