Roberto Cimpanelli è da pochi giorni in libreria con La pazienza del diavolo, Marsilio, il suo libro d’esordio,
Quale è stato il punto di partenza di La pazienza del diavolo, l’idea iniziale da cui tutto ha preso avvio?
Forse lo spunto iniziale è stato il ricordo di un servizio televisivo di qualche tempo fa, mi pare della CNN, a proposito delle stragi in Jugoslavia, anni ‘90. Una povera vecchia vagava tra le macerie di un villaggio distrutto e ripeteva che lì era passato il diavolo: donne violentate, popolazione massacrata, case incendiate. E parlava di una leggenda di quelle parti. Quando il diavolo perde la pazienza nel vedere che nel mondo il male s’è attenuato, manda sulla terra un essere malvagio a compiere orrendi delitti. Questo mostro sarà marchiato fisicamente con un segno (noi diremmo una voglia), che loro chiamano La pazienza del diavolo. Ecco, diciamo che questo è stato uno degli spunti iniziali quando mi sono messo a buttare giù la traccia per una storia per il cinema, ignorando che si sarebbe via via allargata fino a diventare romanzo.
Sei abituato a raccontare per immagini, come è stato passare a raccontare con le parole?
Sì, sono abituato a scrivere per immagini, quindi non so se il mio lavoro possa essere definito “letteratura”, però ha il piccolo pregio di rendere molto visive le scene che racconto.
Esordisci con un thriller: è il tuo genere preferito o è la storia che avevi in mente che lo richiedeva?
Sono amante del giallo e del thriller da tantissimi anni: dai Gialli Mondadori a Simenon, a Chandler, a Hammett, e poi Ellroy, eccetera. Sono anche appassionato di horror e ho distribuito al cinema film di genere, da Creepshow a La Casa e tanti altri.
Mentre scrivevi pensavi solo al libro o avevi già anche in mente una possibile trasposizione cinematografica?
Anche se poi la storia ha preso il sopravvento, l’idea di farne un film o una serie televisiva è sempre stata presente.
Il plot di La pazienza del diavolo è molto complesso, che metodo hai usato per non perdere i fili della trama?
Non c’è stato metodo nel cercare di tenere insieme le fila di un racconto così complesso, solo un totale impazzimento.
E la cosa ha richiesto due anni di lavoro.
Anche i personaggi sono molti e mi sembra che tu abbia dedicato lo stesso spazio e o stesso impegno a tutti, tratteggiandoli con cura.
I personaggi credo siano il vero punto di forza del romanzo, perlomeno lo spero, e questo deriva dalla scrittura cinematografica: sullo schermo, se personaggi e dialoghi non sono azzeccati, hai perso tempo e hai fatto un brutto film.
Nel libro ci sono moltissimi riferimenti a grandi film e a canzoni del passato . Nostalgico o davvero le opere moderne non sono a quell’altezza?
Non voglio dare giudizi sul cinema o sulla musica attuale, però sono della generazione che ha visto l’esplosione di tali capolavori, che ogni paragone con quello che gira oggi mi sembrerebbe ingeneroso. O forse sono semplicemente invecchiato.
Herman beve orzata, anche questo non è così moderno…
No, non è moderno: non lo sono e neanche ambisco ad esserlo. L’orzata è un mio ricordo d’infanzia. In più è molto buona.
Nel libro citi questa frase: “noi siamo i libri che abbiamo letto”. Tu chi sei? Sapresti
descriversi usando libri o famosi personaggi della letteratura?
Difficile descriversi, vanità e presunzione sono in agguato e fanno danni. I miei autori sono, oltre naturalmente a Melville, i grandi russi, i francesi, qualche altro americano e… non ho cultura sufficientemente vasta per citarne altri, chissà quanti tesori mi sono perso. Ma per me, oltre alla letteratura, contano molto cinema e musica, jazz in particolare (suono il sax), e quindi Ellington e Hitchcock, Charlie Parker e Billy Wilder, Sonny Rollins e Fellini, Thelonious Monk e Vittorio De Sica: sono queste le mie importanti fonti d’ispirazione. E mi limito ai primi che mi vengono in mente.
Cosa leggi? Hai un modello a cui ti ispiri?
Leggo molti saggi di politica, thriller e storia.
In la pazienza del diavolo citi l’ésprit de finesse e l’ésprit de géometrie di Pascal. Scrivere un libro in cosa rientra?
Scrivere un libro è una fatica immane, come fare un film e rientra in tutte e due le categorie di Pascal, con l’aggiunta di un pizzico di follia.
Sempre più spesso trovo libri in cui uno dei temi fondamentali è la discrepanza tra legge e giustizia.
Secondo te è così solo in Italia, che nel libro è definita “il paese delle mezze verità” o è così ovunque? In fondo i sistemi giudiziari sono tutti imperfetti al cospetto del concetto di giustizia.
Non credo che il problema siano i vari sistemi giudiziari. Il problema – a mio personale parere – è la natura della nostra società: secondo il modello cui non riusciamo a ribellarci, il benessere (?) di pochi costa la disperazione e spesso la vita ai molti. Ma è un discorso complesso, che ha a che fare con la natura umana: ecco perché Moby Dick è un libro eterno.
Numerosi sono i riferimenti a Moby Dick: dal nome e dal luogo di nascita del protagonista alla ricerca di tutti di sconfiggere i propri demoni, la balena bianca che diventa ossessione e la follia umana.
Anche la maschera bianca del killer è un richiamo a Melville che definiva il bianco il “colore che racchiude allo stesso tempo fascino e terrore?”
Riguardo Moby Dick, vedi al rigo di sopra. Per il colore bianco, anche per Poe era il colore della morte e del terrore sconosciuto (Gordon Pym).
Hai già qualche idea per un prossimo libro?
Il prossimo libro dovrebbe essere il seguito di La pazienza del diavolo (Marsilio mi suggerisce addirittura una trilogia). Ma sto vagheggiando anche una meravigliosa storia d’amore: per adesso ne ho nient’altro che una vaga intuizione, ma so che piano piano l’idea si farà strada, prepotente.
MilanoNera ringrazia Roberto Cimpanelli e Marsilio per la disponibilità