Premessa: provo una certa diffidenza – o è invidia? – verso coloro i quali sanno fare tante cose contemporaneamente. I multidisciplinari, per intenderci. Li guardo con sospetto anche se le discipline in questione presentano intrecci, vicinanze e similitudini. Non che la diffidenza nasca da una generica idea di impossibilità a giocare su più tavoli in modo onesto e coscienzioso quanto, piuttosto, nel sospetto spesso fondato che mentre si scrive – è di questo che si parla – si stia pensando ad un uso “altro” del testo. Encomiabile cercare di far fruttare al meglio i propri sacrifici ma quando è troppo palese l’ottimizzazione il prodotto ne risente di certo. Nel casus belli la premessa si scopre legittimata indagando la biografia di Buddy Giovinazzo che è scrittore, sceneggiatore, regista e produttore. Sa fare un sacco di cose ‘sto qui. Quello che infastidisce un po’ è che le fa decisamente bene tutte. Dopo il film “Libertà vigilata” con Tim Roth quale protagonista, arriva con un noir pubblicato dalla mai abbastanza elogiata Meridiano Zero Altro esempio di chi ne sbaglia poche. Ne “La lunga notte di Berlino” c’è tutto ciò che serve e nel giusto dosaggio. Ci sono Tony e Hardy, gangster eastcoastiani in trasferta a Berlino per sistemare i conti con la mafia russa che, nella Germania unificata del 1995, se stà a allargà e per mettere le mani sulla città-cantiere con i suoi lucrosi appalti (il titolo originale è, infatti, Potsdamer Platz). C’è un fattaccio imprevisto, l’uccisione della figlia di un boss russo, che allunga e complica i tempi e gli effetti di un lavoretto previsto come svelto (la solita ingenua pianificazione che caratterizza gli americani quando si trovano a giocare fuori casa, generali, presidenti o gangster che siano…scusate la digressione). C’è una donna che grazie alla quale – o a causa della quale, scegliere secondo preferenza – vacilla il rigore professionale del protagonista. C’è un paesaggio umano e urbano dolente e cupo. C’è un gran finale. Come dire, notturno da Berlino senza speranza. Personaggi tratteggiati perfettamente, storia nella quale ritmo e adrenalina reggono le oltre trecento pagine, senza risparmio di scene crudemente eloquenti. Unico difetto, vedasi la premessa: essere un po’ troppo pronto per il cinema anche se siamo di fronte ad un compromesso più che accettabile. Comunque bello e “cattivo” davvero anche se qualcuno ha voluto scomodare, con eccessivo entusiasmo, Ellroy e Peace… andiamoci piano, soprattutto parlando del secondo.
La lunga notte di Berlino
gino delledonne