Il tempo non ha pietà – Franco Foschi



Franco Foschi
Il tempo non ha pietà
Todaro
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È tornato da qualche settimana in libreria Franco Foschi, pediatra e scrittore bolognese che per Todaro editore, nella collana Impronte, ideata dall’indimenticata Tecla Dozio e da Veronica Todaro, ha pubblicato il romanzo Il tempo non ha pietà, ambientato a Bologna, in un anno difficile da dimenticare, il 1980, vale a dire l’anno in cui arrivarono alle estreme conseguenze gli anni di piombo che segnarono l’Italia con violenze in strada, lotte di classe, terrorismo, stragi.

Ed è in questo contesto incandescente che facciamo la conoscenza di Modesto Serra, detto Momo, ex poliziotto, aitante e palestrato, carattere bellicoso, amante delle belle donne, di pelle nera, nonostante il nome italiano. Infatti viene da Massawa, in Eritrea, dove ha vissuto un’infanzia felice, sotto l’affettuosa guida paterna. 

Un italiano nero che pensa come un italiano ma si comporta anche come un nero nella Bologna dove già cominciano a prendere piede intere fazioni di immigrati.

Per altro sono passati pochi anni da quando, proprio a Bologna, l’11 marzo del 1977, a seguito dei disordini scaturiti da una manifestazione studentesca, le forze dell’ordine spararono, dopo il lancio di molotov, e rimase uccise Pier Francesco Lo Russo, militante di un’organizzazione di sinistra. Seguirono giorni di tensione e scontri in piazza che scossero profondamente la città e l’esercito presidiò la città coi carri armati.

Uno sfondo storico fin troppo reale, come dice l’autore stesso: “Io c’ero in quegli anni, li ho vissuti, perché studiavo all’università e quando si scatenò il putiferio, io c’ero e fu uno shock vedere i carri armati in via Zamboni. C’era un soldato per ogni via, con fucile mitragliatore al collo che seguiva con lo sguardo chiunque passasse. Anni che non si dimenticano.”

Prende dunque abbrivio da fatti reali la storia romanzata narrata da Franco Foschi che, tramite questo investigatore dai modi spicci, confeziona un giallo vivace che parte da un assunto mai analizzato prima: e se a Bologna nel 1980 ci fosse stato un movimento rivoluzionario di sinistra formato da immigrati? 

Momo entra in scena subito. Ha passato una notte di sesso con una tipa che però di buon mattino lo butta fuori dal letto, ma lui è abituato a ben altro e non ha motivo per non sentirsi pienamente soddisfatto di sé. Passando dal suo ufficio in Piazza Roosevelt trova ad aspettarli due tipi poco raccomandabili e ne nasce una scazzottata.

Chi sono quei tipi? Che volevano da lui?

Seguendo una legge non scritta, ovvero che la giornata cominciata male finirà peggio, Momo viene convocato dal suo ex capo in polizia: serve il suo aiuto per capire cosa sta succedendo alla Bolognina, quartiere a Momo ben noto, dove si teme sia in corso una faida tra bande rivali.

Tutti temono che i disordini del ’77 scatenino un nuovo inferno e serve una mano decisa che sappia come muoversi tra gli immigrati per evitare il peggio. Proprio alla Bolognina vive Albero, ovvero Sem Fall, un gigante di due metri di altezza, di origine senegalesi e nessuno vuole un’altra guerriglia urbana aizzata da chi soffia sempre sui venti della rivoluzione proletaria. Figurarsi su quella di bande di immigrati.

Albero, a capo di un’organizzazione che ha fatto del malaffare il proprio business, però ha ben altro per la testa in quel periodo e anche lui chiede aiuto a Momo: sua figlia di appena diciannove anni è scomparsa e non ha più sue notizie. Momo deve trovarla. Ma la ricerca non sarà facile perché la ragazza non vuole farsi trovare, ha addirittura cambiato nome ed è sprofondata nel mondo della droga che dalla metà degli anni ’70 dilaga nelle città italiane.

Un hard boiled in salsa emiliana con uno sfondo storico e un personaggio che, per dirla con le parole dell’autore, si presentasse come “Uno stronzo travolgente, in modo da portare il lettore dentro una storia senza farlo annoiare neppure per una riga.”

Obiettivo centrato appieno, anche quando il ritmo travolgente viene intercalato dalle visite di Momo al padre che è affetto da demenza senile, e comunica tramite pizzini che, in qualche modo, sembrano anticipare la realtà con citazioni criptiche dal sapore filosofiche ma invece si riveleranno soltanto i vaneggiamenti di un anziano a cui la demenza ha distrutto i neuroni. Un amaro epilogo per una storia che dà ancora più pathos alla trama e ai personaggi.

Roberto Mistretta

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